L’estinzione del giudizio innanzi alla Corte dei Conti per abbandono

Paola Marino 04/07/23
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Attraverso la sentenza in commento, si analizza uno degli istituti processuali più controversi: ossia l’abbandono, consistente nell’inattività ultrannuale di carattere processuale da parte del Requirente, che produce l’estinzione del giudizio.
Infatti, con riferimento al giudizio contabile, parte della giurisprudenza aveva in passato ritenuto che, in primo grado, l’azione di danno erariale fosse indisponibile e perciò non operasse l’abbandono.
Tale istituto è stato, tuttavia, codificato dall’art. 111, comma 3, del c.g.c. (d.lgs. 174/2016): la sua conseguenza è l’improcedibilità del giudizio.
La Corte dei Conti per il Lazio ha fatto applicazione della norma predetta nella pronuncia di seguito sintetizzata.


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Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per il Lazio – Sentenza n. 172 del 20-03-2023

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Indice

1. La vicenda in sintesi


Con atto di citazione, la Procura della Corte dei Conti per il Lazio conveniva in giudizio una società cooperativa, il suo rappresentante legale, il direttore generale della stessa, per sentirli condannare al pagamento della somma di euro 380.022,00 in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione civile, per le seguenti quote: euro 170 mila ciascuno in capo al legale rappresentante e al direttore generale, ed euro 40.022,00 in capo alla società cooperativa, in relazione a una presunta truffa all’erario, perpetrata nell’ambito della gestione dell’emergenza profughi da parte della società cooperativa.
A parere della Procura, la somma di euro 380.022,00 costituiva danno erariale, perché la società aveva indebitamente ottenuto questa somma nel periodo agosto-dicembre 2011 dal Dipartimento della Protezione civile – Regione Lazio, per il tramite del soggetto attuatore deputato alla gestione dell’emergenza profughi nel territorio laziale, attestando falsamente di avere disponibilità ricettiva per 120 persone, mentre gli accertamenti svolti avevano evidenziato gravi carenze igienico-sanitarie nelle strutture della cooperativa e fenomeni di sovraffollamento, tant’è che la convenzione, a suo tempo stipulata, era successivamente revocata.
A fronte di tali false attestazioni, la cooperativa ha ricevuto rimborsi per 75 migranti ospitati nelle sue strutture, dal giugno al dicembre 2011.
I convenuti si costituivano in giudizio, chiedendo la sospensione del medesimo in attesa della definizione del procedimento penale relativo al reato di emissione di fatture false e altri reati finanziari, pendente dinanzi al Tribunale di Latina, formulando eccezioni di rito e censure di merito.
All’esito del giudizio penale, con nota del 2022, la Procura regionale ha formulato istanza di fissazione di udienza, rappresentando che il Tribunale di Latina aveva trasmesso sentenza irrevocabile (di estinzione del giudizio per prescrizione).
Il legale rappresentante della società, con memoria, ha eccepito difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, in quanto la Procura ha qualificato la fattispecie quale danno erariale, mentre, per il convenuto, avrebbe potuto ipotizzarsi parziale inadempimento contrattuale.
Ha eccepito l’estinzione del giudizio ex art. 99, comma 10, del c.g.c. per la tardività e la decadenza dall’azione promossa dalla Procura Regionale, per lo spirare del termine, in violazione degli artt. 99, comma 11, e 111 c.g.c.
Eccepiva, inoltre,
– l’inammissibilità dell’atto di citazione, in via derivata, per rifiuto di accesso alla documentazione, per violazione del diritto di difesa,  
– l’inammissibilità e/o nullità della domanda attorea e dell’azione per: mancata valutazione delle risultanze istruttorie delle indagini condotte dalla G.d.f.; l’assenza e l’omessa dimostrazione del dolo; l’assenza/mancanza di prova del comportamento illecito, del danno supposto e del quantum; l’omessa considerazione dei rilievi indicati dalla G.d.f. in ordine alla decurtazione delle fatturazioni, quali esborsi della cooperativa, per svolgere le prestazioni, come da convenzione, nel periodo giugno-dicembre 2011.
Nel merito, ha dedotto che il Tribunale di Latina, con sentenza del settembre 2019, dichiarava, ex art. 129 c.p.p., l’estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, con conseguente mancato accertamento della responsabilità e del danno in sede penale.
Ha chiesto, in via subordinata, l’esercizio del potere di riduzione dell’addebito contestato.
Il direttore della società, con memoria, ha dedotto, in via preliminare: la tardività della proposizione dell’istanza di fissazione del giudizio, all’esito della sospensione del medesimo, disposta in ragione della sussistenza del procedimento penale innanzi al Tribunale penale di Latina; quindi, l’infondatezza nel merito dell’addebito formulato dalla Procura erariale per insussistenza dell’elemento soggettivo; ha, quindi, ricordato come, a seguito di giudizio immediato, con sentenza irrevocabile del 2019 del Tribunale di Latina, i reati contestati siano stati dichiarati estinti.
Ha chiesto rigettarsi l’azione di responsabilità amministrativa e, in via subordinata, esercitarsi il potere riduttivo ex art. 52, comma 2, r.d. 1214/1934.


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2. Il decisum della Corte dei Conti per il Lazio


In via preliminare, quanto all’eccezione di difetto di giurisdizione, la Corte richiama l’orientamento consolidato della Cassazione, secondo cui assumono funzione dirimente, ai fini del radicamento della giurisdizione contabile, non già la natura giuridica del soggetto responsabile del detrimento, ma la natura pubblicistica del patrimonio danneggiato e delle finalità perseguite; con la conseguenza che, se un privato incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla P.A. in maniera tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, realizza un danno per l’ente pubblico, anche sotto il mero profilo della sottrazione del finanziamento ad altri soggetti in grado di realizzare l’intervento pubblico.
Ravvisandosi, nel caso di specie, rapporto di servizio tra società e pubblica amministrazione, assolvendo la prima l’incarico di un contributo qualificato alle funzioni pubbliche di accoglienza degli immigrati provenienti dal Nord-Africa, sussiste la giurisdizione del giudice contabile.
Sempre in via preliminare, seguendo un ordine logico-giuridico delle questioni poste, il Collegio scrutina la censura di intervenuta estinzione del giudizio, ex art. 111, comma 3, c.g.c., formulata dalla difesa del convenuto.
L’eccezione è fondata.
L’abbandono costituisce causa di improcedibilità del giudizio (Sez. riun., n. 56/A/1996) e la sentenza che lo pronuncia ha contenuto meramente dichiarativo; l’estinzione del processo, che consegue all’abbandono, si produce ipso iure nel momento in cui viene a scadenza l’anno d’inattività (cfr., ex plurimis, Sez. riun., n. 4/A/1996; Sez. III, n. 331/1998; Sez. II, nn. 190/2001, 275/2005, 189/2007 e 16/2012).
Nella fattispecie, si ritiene sussistente la situazione di inattività del Requirente, che costituisce il presupposto per l’estinzione del giudizio.
Infatti, a norma dell’art. 111, comma 3, c.g.c., “Il processo si estingue, altresì, se per un anno non si sia presentata domanda di fissazione dell’udienza o non si sia fatto alcun altro atto di procedura”.
Per tali ragioni, la Corte dei Conti per il Lazio, pur ritenendo la giurisdizione, ha dichiarato l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 111, comma 3, c.g.c.

3. Considerazioni finali


Con riferimento all’estinzione del giudizio, occorre rimarcare come il r.d. 1038 del 1933 (regolamento di procedura del giudizio contabile) non contenesse una disciplina generale in merito, limitandosi al rinviare al c.p.c.
L’art. 75 r.d. 1214 del 1934 (TU leggi Corte dei Conti), sullo schema dell’antica perenzione d’istanza (art. 338, comma 1, c.p.c. del 1865), disponeva che i ricorsi e gli appelli relativi ai giudizi della Corte dei Conti dovessero ritenersi abbandonati se per un anno non fosse stata presentata domanda di fissazione d’udienza o non fosse fatto alcun atto di procedura (perenzione, peraltro, non applicabile ai giudizi di conto).
Ora, il nuovo Codice di giustizia contabile, ha codificato le cause di estinzione del processo per inattività delle parti, come mutuate dagli artt. 307 e 310 c.p.c., conservando la fattispecie dell’abbandono.
L’art. 111 c.g.c. richiama le cause di estinzione del giudizio per inattività delle parti (art. 307, comma 3, c.p.c.), ma non quelle contemplate dal comma 1 dell’art. 307 c.p.c., tra cui la mancata costituzione delle parti e la mancata comparizione di entrambe le parti all’udienza, poiché ipotesi incompatibili con la struttura del giudizio contabile, in cui è parte il pubblico ministero, anche in considerazione del fatto che il neointrodotto c.g.c. rinvia al c.p.c. solo per l’applicazione di principi generali (art. 7 c.g.c.), avendo ormai “codificato” gli istituti processuali, propri del rito civile, compatibili con il procedimento giurisdizionale contabile.
Il comma 3 dell’art. 111 c.g.c. riproduce l’art. 75 r.d. 1214/1934, senza l’eccezione per i giudizi di conto (pur regolati ora da norme specifiche: art. 150 c.g.c.).
In realtà, l’istituto dell’abbandono, per quanto codificato, è stato oggetto di contrasto giurisprudenziale.
Secondo un primo filone interpretativo, in primo grado, l’istituto dell’abbandono non opererebbe, stante l’indisponiblità dell’azione di danno erariale.
Per un secondo filone ermeneutico, l’abbandono, invece, risponderebbe alla regola generale dell’impulso di parte.
L’abbandono è stato pacificamente ammesso nel giudizio d’appello, prevalendo il principio della disponibilità dell’impugnazione.
L’istituto costituisce causa di improcedibilità del giudizio e la sentenza che lo pronuncia è di natura dichiarativa.
Per impedire la decorrenza del termine dell’abbandono, è ritenuta sufficiente l’istanza di fissazione di udienza, anche se contestuale all’atto di impugnazione.
Scongiura l’abbandono solo un atto di procedura, non già un semplice atto preliminare (esempio: richiesta di copia in segreteria per notifica) o un mero rinvio della causa ad opera del giudice.
L’estinzione opera di diritto, può essere rilevata anche d’ufficio (in quanto rispondente a un interesse pubblico) e va dichiarata necessariamente con sentenza (non con ordinanza).
L’art. 111, comma 5, c.g.c., prevede che l’estinzione del processo non estingue l’azione, salvo siano intervenute prescrizione o decadenza proprio in relazione a quest’ultima.
Non è stata codificata, tra le cause di estinzione, la cessazione della materia del contendere (comportante il completo reintegro delle finanze pubbliche).
Per la Cassazione, tuttavia, questa non costituisce un’atipica causa di estinzione, ma rientra tra quelle tipiche (come la rinunzia o l’inattività delle parti), per cui non sarebbe possibile la sua declaratoria d’ufficio.
In materia di pensioni di guerra, è previsto espressamente che il ricorrente rinunci agli atti del giudizio, in caso di accoglimento della sua domanda in via amministrativa (art. 13 D.P.R. 834/1981).
Nel giudizio di responsabilità amministrativa, il giudice deve accertare l’avvenuto reintegro dell’amministrazione; non basta che quest’ultima abbia avviato un’azione di recupero per ritenere integrata la cessazione della materia del contendere.
Si precisa che il reintegro dà luogo a una pronuncia di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere, quando sia avvenuto dopo l’inizio del giudizio; se invece sia avvenuto prima del giudizio, determina il rigetto della domanda per insussistenza del danno.
Le spese del giudizio, in caso di cessata materia del contendere, vanno disposte secondo il principio della soccombenza virtuale.

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Paola Marino

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