Estinzione della società nel giudizio in corso: la legittimazione processuale si trasferisce automaticamente in capo ai soci

Redazione 11/04/13
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Anna Costagliola

Intervenuta la cancellazione della società dal registro delle imprese nelle more di un giudizio in corso, la legittimazione processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente in capo ai soci. È quanto afferma la terza sezione civile della Cassazione nella sentenza n. 8596 del 9 aprile scorso.

La citata sentenza si pone così in linea di continuità con il dictum delle Sezioni Unite che, chiamate di recente a prendere posizione sul tema, con la sentenza n. 6070 del 12 marzo 2013, hanno statuito che in materia di società di capitali la cancellazione dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo, nel caso in cui tale adempimento abbia avuto luogo in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 4 del D.Lgs. 6/2003 che, modificando l’art. 2495, co. 2, c.c., ha attribuito efficacia costitutiva alla cancellazione (si veda l’articolo su questo stesso sito). Dunque, alla stregua del nuovo disposto normativo, la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese, che nel precedente regime normativo si riteneva non valesse a provocare l’estinzione dell’ente qualora non tutti i rapporti ad esso facenti capo fossero stati definiti, è ora invece da considerarsi senz’altro produttiva dell’effetto estintivo. Per le società cancellate in epoca anteriore al 1° gennaio 2004, l’estinzione opera solo a partire da tale data.

Le Sezioni Unite hanno ancora osservato come una lettura costituzionalmente orientata del novellato art. 2495 c.c. imponga un ripensamento anche della disciplina relativa alle società di persone, ripensamento in virtù del quale la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venir meno della loro la loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento contestualmente alla pubblicità nell’ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 6/2003, e con decorrenza dal 1° gennaio 2004 nel caso in cui abbia avuto luogo in data anteriore.

Sotto il profilo processuale, nella sentenza resa dalle Sezioni Unite si legge quanto la terza sezione della Cassazione ha inteso ribadire con la pronuncia in oggetto, nella quale si precisa che la cancellazione dal registro delle imprese determina l’estinzione del soggetto giuridico e, dunque, la perdita della sua capacità processuale. Ne consegue che, nei processi in corso, anche se essi non siano interrotti per mancata dichiarazione dell’evento interruttivo da parte del difensore, la legittimazione, sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente in capo ai soci ex art. 110 c.p.c. Questi ultimi, per effetto della vicenda estintiva, divengono partecipi della comunione in ordine ai beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione e, se ritualmente evocati in giudizio, divengono parti di questo, pur se estranei ai precedenti gradi del processo.

Tanto premesso, i giudici di legittimità hanno respinto il ricorso proposto da una società di capitali a mezzo del suo liquidatore, essendo provato che la stessa era stata cancellata dal registro delle imprese nelle more del giudizio di appello. Pertanto, non essendo più la società in liquidazione, il liquidatore e legale rappresentante della stessa, non essendo più tale, risultava privo della capacità processuale ex art. 75 c.p.c. a proporre ricorso per cassazione, come priva di legittimazione processuale appare la ricorrente società.

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