Esercizio dell’attività commerciale nell’immobile oggetto di istanza di condono edilizio ( Tribunale Amministrativo Regionale della Campania -Sezione Terza- , Sentenza n. 05081/2015

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Una società esercente da oltre quaranta anni l’attività di gestione di un lido balneare lamenta, innanzi al competente Tar Napoli, la violazione dell’art. 38 Legge n. 47 del 1985 deducendo che un suo immobile – impiegato per l’esercizio dello stabilimento balneare – è oggetto (da oltre 30 anni) di una pratica di condono edilizio ex L. n. 47 del 1985.

Tale immobile è relativo ad una parte dello stabilimento, e cioè quella adibita a ristorante e sala ricevimenti, mentre l’attività principale si svolge sulle altre aree sulle quali non pende alcuna pratica di condono edilizio (piattaforme, le cabine ecc.) ed, ai sensi dell’art. 38 della citata Legge n. 47 la presentazione della domanda entro il termine perentorio della domanda di cui all’art. 31, accompagnata dalla attestazione del versamento della somma di cui al primo comma dell’articolo 35 sospende – a dire di parte ricorrente – il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative legati all’abusivismo.

La prospettazione di parte ricorrente – secondo l’adito Tar – merita condivisione operando il principio di diritto, ampiamente condiviso in giurisprudenza, per il quale la presentazione della domanda di condono comporta la sospensione dei procedimenti amministrativi e penali dipendenti dall’abusività delle opere oggetto dell’istanza stessa.

Ciò a chiare note dispone l’art. 44 della L. n. 47/1985, richiamato dall’art. 32, comma 25 del D.L. n. 269/2003 convertito con L. n. 326/2003.

Segnala, sul punto, il Collegio giudicante che la giurisprudenza ha a più riprese predicato il cennato principio, dichiarando l’illegittimità dei provvedimenti sanzionatori adottati prima della definizione delle istanze di condono edilizio.

E cioè a dire, l’avvenuta presentazione delle istanze di condono comporta l’obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi sulle stesse prima di dare ulteriore corso al procedimento repressivo

In buona sostanza, è possibile enucleare dal sistema per il quale la presentazione della domanda di condono accompagnata dai versamenti delle somme dovute ha effetti meramente conservativi dello status quo ante e non anche ampliativi della sfera giuridica dell’istante in relazione a “tutte” le attività dipendenti dall’abusività delle opere oggetto dell’istanza.

Tale principio deve intendersi riferita a qualsiasi attività che pur pacificamente trova, tra i suoi indefettibili presupposti, quello della conformità urbanistico – edilizia dei locali ove l’attività medesima è svolta, per modo che anche l’attività commerciale svolta nei locali interessati dalla domanda di condono, sì come dipendente dall’abusività delle opere oggetto dell’istanza e però anch’essa, in forza del citato art. 38, non è assoggettabile alle sanzioni amministrative.

Si evidenzia altresì in sentenza che il Comun, da parte sua, con l’emanazione di un apposito Disciplinare ha tentato di ovviare alla preclusione posta dall’art. 44 della L. n. 47 del 1985 alla irrogazione di sanzioni in pendenza di istanza di condono, richiamando la previsione di cui al comma 7 lett. b) dell’art. 2 del “Disciplinare per la gestione del procedimento unico in materia di attività produttive”, approvato con apposita Disposizione del Direttore Generale, escludendo dall’ambito di applicazione dei procedimenti gestiti dal S.u.a.p. “gli immobili a destinazione produttiva per i quali è pendente un procedimento non esitato di condono edilizio”.

Si tratta – sottolinea il Collegio giudicante – con tutta evidenza di un espediente attraverso il quale non può aggirarsi l’applicazione di norme primarie ed inderogabili quali derivanti dalla liberalizzazione delle attività commerciali (art. 19, Legge 7 agosto 1990, n. 241) e dalla istituzione dello sportello unico per le attività produttive (art. 38, D.L. n. 112 del 2008) attraverso una mera norma interna di organizzazione che non può avere alcuna rilevanza nell’ordinamento generale.

Ne deriva l’illegittimità della citata disposizione del “Disciplinare per la gestione del procedimento unico in materia di attività produttive”, per quanto di ragione, ossia se e nella misura esso, valga a fondare la dichiarazione di improcedibilità della S.c.i.a. presentata da un soggetto per continuare ad usare l’immobile oggetto della domanda di condono secondo l’utilizzo preesistente.

Orbene, il Tar Napoli, facendo ulteriore applicazione dei suddetti principi alla fattispecie sottoposta al suo giudizio, ha ritenuto che la domanda (S.c.i.a.) presentata dalla società ricorrente ha solo effetti conservativi dell’esistente, ma non anche effetti ampliativi, lasciando, ciò, impregiudicata la valutazione di definitiva liceità o meno dell’attività oggetto di segnalazione, alla stregua dell’esito della definizione delle istanze di condono.

E quindi, cogenti principi di lealtà e correttezza dell’operato della P.A. ostano ad una prassi per la quale in pendenza di condono (cioè a valle della autodenuncia del privato alla P.A. delle proprie irregolarità urbanistico/edilizie), l’Amministrazione comunale possa emettere il provvedimento negativo/sanzionatorio di diniego della possibilità di continuare ad esercitare attività commerciale nel relativo immobile basato proprio sul presupposto della irregolarità edilizio dello stesso.

Tale orientamento è, a ben vedere, consolidato in giurisprudenza. Si è anche di recente affermato che “L’avvenuta presentazione delle istanze di condono comporta l’obbligo, nella specie non assolto, per l’Amministrazione di pronunciarsi sulle stesse prima di dare ulteriore corso al procedimento repressivo, tant’è che, a norma degli artt. 38 e 44, l. n. 47 del 1985, si verifica la sospensione dei procedimenti amministrativi sanzionatori, con la conseguenza che i provvedimenti repressivi adottati in pendenza di istanza di condono sono illegittimi perché in contrasto con l’art. 38, l. n. 47 del 1985, il cui disposto impone all’Amministrazione di astenersi, sino alla definizione del procedimento attivato per il rilascio della concessione in sanatoria, da ogni iniziativa repressiva che vanificherebbe a priori il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria” (T.a.r. Campania – Napoli, sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2005).

Nello stesso senso si è chiarito che “quando viene presentata una domanda di condono edilizio, proprio in base al disposto dell’art. 38, l. n. 47 del 1985, l’Amministrazione non può emettere un provvedimento sanzionatorio senza aver prima definito il procedimento scaturante dall’istanza di sanatoria, ostandovi i principi di lealtà, coerenza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, i quali impongono la previa definizione del procedimento di condono prima di assumere iniziative potenzialmente pregiudizievoli per lo stesso esito della sanatoria edilizia “ (T.a.r. Lazio – Roma, sez. I, 4 aprile 2012, n. 3101).

Non solo. “I provvedimenti repressivi adottati in pendenza di istanza di condono devono ritenersi illegittimi perché in contrasto con l’art. 38, l. n. 47 del 1985, il cui disposto impone all’Amministrazione di astenersi da ogni iniziativa repressiva che vanificherebbe a priori il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria. Ciò vale anche quando si tratti di immobili ricadenti in zona vincolata, essendo comunque l’Amministrazione tenuta, a fronte della domanda, ad esprimersi anche in senso negativo circa la sussistenza dei presupposti per la sanabilità dell’intervento, ai sensi dell’art. 32 comma 27, lett. d), d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla l. n. 326 del 2003” (T.a.r. Campania – Napoli, sez. III, 1 febbraio 2011, n. 633).

 

Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics

Cassano Giuseppe

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