Equa riparazione: contrasti giurisprudenziali sulla trasmissibilità del diritto

Scarica PDF Stampa

La c.d. legge Pinto, n.89/2001, stabilisce all?art. 2 che <Chi ha sub?to un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libert? fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione.>

Dopo quasi quattro anni dall?entrata in vigore della legge si pu? senza dubbio affermare che questo rimedio ?interno? non ha prodotto i risultati sperati: le condanne sono poche e assolutamente deludenti.

La questione attuale e pi? dibattuta, all?interno delle corti di merito e di legittimit?, sembra essere quella del rapporto tra norme della Convenzione dei diritti dell?uomo e norme interne.

Il problema nasce riguardo al tema della trasmissibilit? o meno del diritto all?equa riparazione.

Recenti sentenze, sia delle corti d?appello territoriali sia della Suprema Corte, mostrano una sostanziale propensione alla negazione di tale diritto agli eredi della ?vittima? della violazione del principio di ragionevole durata del processo, adducendo a motivazione di questa scelta un <generalissimo principio> secondo il quale <nessun diritto all?equa riparazione di un danno patrimoniale o non patrimoniale (?) pu? intendersi costituito in capo a soggetto deceduto prima della normativa interna, per inidoneit? dello stesso a porsi quale centro di imputazione di rapporti giuridici[1]>.

In definitiva, tale orientamento sostiene che il diritto all?equa riparazione sia inesistente quando il de cuius risulti deceduto in un periodo antecedente all?entrata in vigore della legge in esame.

Questo assunto parte da un erroneo presupposto che considera il diritto all?equa riparazione un diritto ?nuovo?, sorto solamente nel 2001 con l?entrata in vigore della legge Pinto. Erroneo, dicevamo, perch? in realt? tale diritto era gi? riconosciuto dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell?uomo, ratificata dallo Stato italiano con la legge 4 agosto 1955, n. 848, a seguito della quale la Convenzione ? entrata a far parte del nostro ordinamento, al pari di qualsiasi norma ordinaria.

In un simile contesto, diventa quindi arduo negare che la l.89/2001, senza introdurre alcuna fattispecie nuova, si ? limitata a dotare di una specifica tutela processuale diritti gi? pienamente riconosciuti sul piano interno. Sicch? l?effetto innovativo della legge va individuato solo nell?avere essa approntato un mezzo interno di tutela del diritto in questione[2].

Un leggero spiraglio di una ?corretta? soluzione della controversia si pu? leggere nella recente sentenza della Suprema Corte del 22 luglio 2005, n. 15489, nella quale vengono enunciati i criteri e le ragioni che portano a riconoscere la trasmissibilit? del diritto all?equa riparazione agli eredi della ?vittima della violazione?, sostenendo appunto che la legge in esame ha solo introdotto a livello interno un meccanismo di riparazione della lesione di un diritto gi? sussistente.

Si auspica che tale pronuncia non resti isolata altrimenti, a seguito della ineffettivit? del rimedio interno, si potrebbe verificare un nuovo flusso di ricorsi verso la Corte europea e rendere vano lo scopo della legge Pinto.



[1] Cass. 1.10.2003, n. 14556.

[2] Cass. nn. 19634/2004, 19622/2004, 17650/2002.

Salmeri Sabrina

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento