E’ inammissibile il ricorso per Cassazione proposto dall’imputato anche se avvocato cassazionista

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 613)

Il fatto

La Corte di appello de L’Aquila aveva confermato quella del Tribunale di Teramo che aveva a sua volta dichiarato non doversi procedere per essere i reati ascrittigli (esercizio abusivo della professione) estinti per intervenuta prescrizione.

La Corte distrettuale, in particolare, aveva confermato la declaratoria di prescrizione del reato stante la pregiudizialità della prescrizione, la mancata rinuncia alla stessa da parte dell’imputato e la prevalenza della causa estintiva sulle dedotte questioni di nullità.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Il ricorrente impugnava la sentenza summenzionata deducendo i seguenti motivi di ricorso: 1) nullità della sentenza impugnata non avendo la Corte distrettuale esaminato il motivo di appello con il quale era stata denunciata la nullità della sentenza di primo grado, pronunciata mentre pendeva procedimento di ricusazione del magistrato e in costanza di efficacia dell’ordinanza con la quale la Corte di appello aveva disposto la sospensione di ogni attività dibattimentale in guisa tale che la sentenza di primo grado non era semplicemente inficiata di nullità, ai sensi dell’art. 178 c.p.p., ma era affetta dal radicale vizio di carenza del potere giudicante del Tribunale di Teramo per effetto del combinato disposto dell’art. 37 c.p.p., comma 2, e art. 41 c.p.p., comma 2; 2) l’affermazione della prevalenza della declaratoria di prescrizione sulla nullità processuale contrastava con la regola affermata dalla sentenza n. 85 del 2008 della Corte Costituzionale potendo derivare da sentenza di proscioglimento pregiudizio morale persino superiore a quello di sentenza di condanna; 3) inapplicabilità della statuizione recata dalla giurisprudenza di legittimità richiamata dalla Corte distrettuale – sentenza n. 595 del 2012 – poiché le nullità denunciate dal ricorrente non erano costituite dalla nullità endoprocessuale ma investivano l’esercizio dell’azione penale e, quindi, l’esistenza stessa della richiesta di rinvio a giudizio comportava l’inesistenza del rapporto processuale fermo restando che l’imputato, fin dal primo grado, aveva dedotto la nullità dell’avviso conclusione indagini perché mai notificato al difensore di fiducia nonché del decreto di citazione diretta a giudizio, per la medesima ragione; 4) la giurisprudenza richiamata nella sentenza impugnata era eccentrica rispetto alla decisione assunta perché non era pertinente alla decisione di primo grado, viziata per le ragioni esposte al punto precedente, ma applicabile solo al giudizio di legittimità; 5) la motivazione autonoma della Corte di L’Aquila era affetta da plurimi errori in diritto sulle ragioni che ostavano al proscioglimento di merito atteso che la norma incriminatrice di cui all’art. 348 c.p. era inapplicabile alla fattispecie, come quella in esame, nel quale la domanda giudiziale era stata formulata direttamente dal titolare della posizione di diritto tenuto conto altresì del fatto che le conclusioni della Corte non erano congruenti con il contenuto dei ricorsi acquisiti che avevano ad oggetto la formulazione di domanda per l’importo che, ai sensi dell’art. 417 c.p.c., consentiva la sottoscrizione ad opera della parte e tanto ciò è vero che il Pretore di Teramo aveva dato corso alla notifica a cura della cancelleria; dunque, questa circostanza andava valutata anche ai fini della sussistenza del dolo, incrinato da tale assunto.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione

Il Supremo Consesso osservava in via pregiudiziale come dovesse essere dichiarata irricevibile la memoria depositata perché intempestiva dato che il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall’art. 611 c.p.p., relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di Cassazione dall’obbligo di prendere in esame le stesse (Sez. 1, n. 19925 del 04/04/2014).

Premesso ciò, il ricorso veniva dichiarato inammissibile perché proposto da soggetto non legittimato, vale a dire lo stesso imputato.

Si evidenziava a tal proposito, una volta fatto presente che l’art. 613 c.p.p. è stato modificato, con riguardo alla possibilità che l’atto di ricorso potesse essere sottoscritto personalmente dall’imputato, per effetto della L. n. 103 del 2017, applicabile ai ricorsi proposti successivamente alla data di entrata in vigore (3 agosto 2017), come le Sezioni Unite (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018) avessero precisato che il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento, compresi quelli in materia cautelare, non può essere proposto dalla parte ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione dato che le modalità di proposizione del ricorso, attenendo al concreto esercizio del diritto di impugnazione, spettante alla parte personalmente, vanno tenute distinte dal concreto esercizio del potere di impugnazione per il quale si richiede la necessaria rappresentanza tecnica del difensore.

In merito a questo orientamento nomofilattico, gli Ermellini ritenevano come non potesse reputarsi non applicabile nel caso di specie, solo perché colui che aveva proposto il ricorso era un avvocato cassazionista dato che le più recenti decisioni emesse dalla Cassazione in subiecta materia si sono espresse nel senso di ritenere inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall’imputato che sia anche avvocato cassazionista (Sez. 6, n. 46021 del 19/09/2018; Sez. 6, n. 10893 del 16/10/2018, dep. 2019), per la incompatibilità in materia penale dell’autodifesa da parte dell’imputato, e ciò in ragione del fatto che, nel caso di imputato-avvocato, non si accompagna alla specifica preparazione tecnica, di cui pure il soggetto è portatore, il necessario distacco per garantire effettività della difesa e dunque consentire a costui di ricorrere per Cassazione sarebbe in contrasto con la rilevanza costituzionale riconosciuta all’attività di difesa dei diritti quale componente non rinunciabile dello Stato di diritto (art. 24 Cost.) tenuto conto altresì del fatto che la facoltà di stare in giudizio personalmente e senza il ministero del difensore da parte di chi abbia la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore presso il giudice adito, non può essere ammessa al di fuori dell’ambito del processo civile per il quale rileva la disposizione dell’art. 86 c.p.c., disposizione questa della quale non è consentita un’applicazione analogica nel processo penale, stante la diversa natura degli interessi che in quest’ultimo processo vengono in rilievo.

Si faceva pertanto presente che proprio la natura degli interessi in gioco nel processo penale (ovverosia la libertà personale) e la mancata previsione nell’ordinamento penale interno di una norma di carattere generale che stabilisca la difesa tecnica personale della parte nel processo penale e nei procedimenti incidentali che ad esso accedono, impediscono la possibilità di declinare il diritto di difesa, costituzionalmente garantito, nella forma dell’autodifesa tecnica e, quindi, la necessità di affiancare alla difesa personale della parte, la difesa tecnica di un terzo.

Difatti, osserva la Corte, se alla difesa personale, o autodifesa, è correlata la partecipazione dell’imputato nel processo attraverso l’esercizio dei poteri processuali necessari ad influire sul convincimento del giudice, sia ove questi siano riservati esclusivamente al primo, sia ove risultino condivisi nel loro esercizio con il difensore per le distinte previsioni contenute nell’art. 99 c.p.p., comma 1, prima e seconda parte, e nell’art. 111 Cost., comma 3, alla difesa tecnica, contemplata dall’art. 24 Cost., comma 2, invece, si accompagna la diversa prospettiva del corretto svolgimento del processo e del funzionamento della giustizia, destinata a cogliere della prima la valenza di strumento di garanzia del contraddittorio da realizzarsi nella parità dialettica tra accusa e difesa.

Tal che se ne faceva discendere come la finalità di garantire all’imputato il corretto svolgimento del processo per un interesse pubblico sia destinato, come tale, a superare l’interesse del singolo, rinviene espressione nel consolidato indirizzo del giudice delle leggi (tra le altre: Corte Cost. sent., n. 59 del 1959; Id., n. 188 del 1980; Id., n. 125 del 1979) che qualifica la difesa tecnica quale imprescindibile garanzia del regolare esercizio del potere giurisdizionale fermo restando che non vi è contrasto tra il sistema della difesa quale imprescindibile garanzia del regolare esercizio del potere giurisdizionale.giudiziaria penale adottato dall’ordinamento italiano e la Convenzione e.d.u. (art. 6, art. § 3, lett. c) nella puntualizzazione che quest’ultimo, là dove stabilisce che ogni imputato ha diritto di difendersi da sé medesimo o mediante l’assistenza di un difensore, non ponga all’imputato l’alternativa di scegliere tra autodifesa o difesa tecnica, volendo piuttosto assicurare al primo un sistema minimo di garanzie diretto a salvaguardare il diritto all’autodifesa in quegli ordinamenti degli Stati aderenti in cui potrebbe non esservi il diritto alla difesa tecnica dato che è così che il sistema penale dell’ordinamento italiano, in cui si assiste ad un concorso dell’attività difensiva dell’imputato con quella del professionista, difensore tecnico, non urta con il principio convenzionale non traducendosi in una compressione o esclusione della difesa personale, ma nella integrazione di essa con l’attività defensionale tecnica, in tal modo assicurando all’imputato una più incisiva tutela delle sue posizioni, nell’osservanza del principio di effettività sancito dalla Convenzione.

Difatti, secondo il Supremo Consesso, il diritto all’autodifesa non è un diritto assoluto, ma è limitato dal diritto dello Stato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia (Sez. 1, n. 7786 del 29/01/2008, cit.) ferma l’evidenza che la Corte Edu, non precisando le condizioni di esercizio del diritto difesa, ha lasciato agli Stati contraenti, come dalla stessa chiarito, la scelta di mezzi idonei a consentire al loro sistema giudiziario di garantire siffatto diritto, integrativo dei requisiti di un equo processo (sentenza del 27 aprile 2006 – Ricorso n. 30961/03 – Sannino c/Italia).

La Suprema Corte, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, da una parte, postulava il principio di diritto secondo il quale nel processo penale non è consentito all’imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l’autodifesa, difettando un’espressa previsione di legge che la legittimi con la precisazione che la preclusione dell’autodifesa-esclusiva nel processo penale opera nel senso della incompatibilità dell’imputato-avvocato a proporre impugnativa e nel giudizio in cassazione lascia altresì esclusa, ove il ricorrente è un avvocato cassazionista, lo svolgimento alle attività difensive d’udienza, dall’altro, dichiarava come non possieda efficacia, nel senso di estendere la previsione recata dall’art. 86 c.p.c., la disposizione recata dalla L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13, comma 1, (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) “là dove si stabilisce che “L’avvocato può esercitare l’incarico professionale anche a proprio favore” atteso che di quest’ultima norma deve essere data invero una lettura coordinata con le prescrizioni specifiche di ogni ramo dell’ordinamento e le correlate previsioni procedurali (Sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013) in tal modo riconoscendosi alla prima un carattere meramente ricognitivo di fonti aliunde contenute e che non sono positivamente previste in materia penale.

Conclusioni

La sentenza in esame è condivisibile.

In questa decisione, invero, si nega la possibilità che un avvocato cassazionista, quando è imputato, possa proporre personalmente ricorso per Cassazione, alla luce di un pregresso orientamento nomofilattico con cui gli Ermellini sono addivenuti nel passato alla medesima conclusione nonché mediante una articolata disamina su cosa consiste l’autodifesa e la difesa tecnica e cosa distingue la prima dalla seconda.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica processuale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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