E’ applicabile l’art. 507 c.p.p. anche nel caso di mancato o irrituale deposito della lista testimoniale

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(Annullamento con rinvio)

(Normativa di riferimento: C.p.p. art. 507; Disp. att. c.p.p., art. 151)

Il fatto

Il Tribunale di Grosseto assolveva perché il fatto non sussiste M. M. dai reati di cui agli artt. 81, comma 2 cod. pen. e 73, commi 1 e 4, d.P.R. 309/1990, commessi fino al maggio 2012.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione proposto dalla pubblica accusa

Avverso il suddetto provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Grosseto deducendo l’erronea applicazione della legge processuale penale in relazione all’art. 507 cod. proc. pen. stante il fatto che, se era pacifico che il Pubblico Ministero non aveva depositato la lista testi ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen., tuttavia la decadenza dalla prova poteva essere superata disponendo, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., l’acquisizione delle prove di accusa – escussione del verbalizzante e degli acquirenti della sostanza stupefacente – indicate a verbale all’udienza 4 maggio 2018 dal Pubblico Ministero la cui richiesta era stata respinta dal giudice monocratico fondando tale decisione su una risalente sentenza della Corte di legittimità smentita dalla successive decisioni di questa Corte.

Le argomentazioni sostenute dalla difesa

Con memoria del 23 novembre 2018 il difensore di M. M. chiedeva il rigetto del ricorso atteso che il  presupposto dell’esercizio dei poteri del giudice di cui all’art. 507 cod. proc. pen. è costituito dall’espletamento dell’istruttoria che nel caso non c’è stato avendo il pubblico ministero omesso il deposito della lista testi fermo restando che tardivamente, solo all’udienza del 4 maggio 2018 e non alle udienze deputate all’ammissione della prova, il pubblico ministero aveva sollecitato l’esercizio dei poteri officiosi del giudice.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il Supremo Consesso accoglieva il ricorso proposto alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava prima di tutto come il Tribunale, nel disattendere la richiesta del pubblico ministero di fare ricorso ai poteri di ufficio onde procedere all’assunzione delle prove decisive ai fini del giudizio in fattispecie di conclamato mancato deposito della lista dei testi di accusa, avesse richiamato una decisione della Cassazione a stregua della quale, in tema di istruzione dibattimentale, è esclusa dall’ambito di operatività della disciplina di cui all’art. 507 cod. proc. pen. l’ipotesi in cui vi sia assoluta mancanza di mezzi probatori di parte poiché il potere del giudice di integrare, anche d’ufficio, l’assunzione di nuovi mezzi di prova presuppone, secondo il disposto dell’art. 507 cod. proc. pen., che “terminata l’acquisizione delle prove” emerga l’assoluta necessità di assumere anche d’ufficio nuovi mezzi di prova (Sez. 5, n. 15631 del 01/12/2004, dep. 2005, P.G. omissis, Rv. 232156).

Orbene, gli ermellini stimavano questa opzione interpretativa erronea alla stregua dell’orientamento, avallato dalle decisioni delle Sezioni Unite e dal giudice delle leggi, nella ricostruzione della portata dell’art. 507 cod. proc. pen. posto che le Sezioni Unite (S.U. n. 41281 del 17/10/2006, Rv. 234907), in cui era stato delineato l’ambito di applicazione e la finalità della norma di cui all’art. 507 cod. proc. pen. nel senso che il giudice può esercitare il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto ed hanno precisato che condizioni necessarie per l’esercizio di tale potere sono l’assoluta necessità dell’iniziativa del giudice, da correlare a una prova avente carattere di decisività, e il suo essere circoscritto nell’ambito delle prospettazioni delle parti, la cui facoltà di richiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova resta, peraltro, integra ai sensi dell’art. 495 cod. proc. pen..

Osservava in particolare la Corte in questo decisum, che, secondo tale ricostruzione, lo scopo della norma è reso evidente dalla formulazione letterale dell’art. 507 cod. proc. pen. il cui tenore non consente, se non con una evidente forzatura, di leggere il riferimento allo spazio temporale “terminata l’acquisizione delle prove” come un limite ovvero un divieto all’esercizio dei poteri officiosi del giudice all’ipotesi quando l’acquisizione delle prove non vi sia stata o quelle proposte non siano state ammissibili dovendo, viceversa, leggersi come riferimento alla normale fisiologia del processo penale in cui l’assunzione delle prove vi sia stata evidenziandosi al contempo come le Sezioni Unite avessero osservato che le limitazioni che, sottostanno alla lettura fatta propria dalla sentenza impugnata (ossia che vi sia stata assunzione delle prove e non vi sia stata inerzia delle parti), non solo non vengono indicate nella legge delega (la direttiva 73), ma sono volte a configurare il divieto come una sorta di sanzione per l’inerzia della parte, opzione che, tuttavia, contrasta con la formulazione letterale della norma e con i limiti in cui, nel nostro sistema processuale, sono stati accolti i principi del sistema accusatorio i quali non consentono di escludere un’iniziativa di ufficio del giudice diretta ad acquisire le informazioni necessarie per la sua decisione.

Oltre a ciò, si faceva presente la sussistenza di un precedente arresto giurisprudenziale, avvenuto prima della riforma dell’art. 111 Cost. (Sez. U, n. 11227 del 06/11/1992, omissis, Rv. 191607), in cui in questo, come nell’altro visto prima, era stato adeguatamente evidenziato che il diritto delle parti alla prova e potere-dovere di ammissione della prova ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. hanno parametri diversi: negativo il primo (non manifesta superfluità o irrilevanza); positivo la seconda (assoluta necessità) sicché, l’esercizio del potere di cui all’art. 507 cod. proc. pen. non “neutralizza” la sanzione di inammissibilità in quanto la parte decaduta ai sensi dell’art. 468, comma 1, cod. proc. pen. rischia di vedersi comunque denegata, o ristretta, l’ammissione delle prove a suo favore: e ciò, anche nel caso in cui non vi sia stata alcuna precedente acquisizione probatoria.

Tale costrutto ermeneutico, inoltre, osservava sempre la Corte in tale decisione, era stato confermato dal giudice delle leggi, in linea di continuità con una più risalente decisione (Corte costituzionale, sentenza 26 marzo 1993 n. 111) e precisamente, con la sentenza n. 73 del 2010, la Corte Costituzionale, muovendo dal dato letterale – le parole “anche d’ufficio” presenti nella norma censurata, e – ancor più chiaramente – dalle previsioni dell’art. 151 disp. att. cod. proc. pen., aveva escluso che fosse fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 507 cod. proc. pen., in riferimento all’art. 111 Cost., nella parte in cui, secondo l’interpretazione accolta dalle sezioni unite della Corte di cassazione, consente al giudice di disporre l’assunzione di nuovi mezzi di prova anche quando si tratti di prove dalle quali le parti sono decadute per mancato o irrituale deposito della lista prescritta dall’art. 468 cod. proc. pen. e, a seguito di tale decadenza, sia mancata ogni acquisizione probatoria osservandosi al contempo che pertanto, anche nel caso portato all’attenzione del giudice delle leggi, veniva in rilievo l’assunzione di una prova testimoniale disposta dal giudice di ufficio ma su istanza di parte, a seguito della intervenuta decadenza per tardivo deposito della lista testi deponendo per l’applicabilità dell’art. 507 c.p.p. pure in tale situazione.

Oltre a ciò, si sottolineava come la portata della interpretazione offerta dalle Sezioni Unite fosse stata chiarita in successive pronunce della Corte di Cassazione ove si era affermato, sempre in relazione a fattispecie nella quale il pubblico ministero non aveva presentato la lista dei testimoni, che il giudice ha il dovere di attivare, anche d’ufficio, il proprio potere di integrazione probatoria, se indispensabile per la decisione, anche nell’ipotesi in cui vi sia assoluta mancanza di mezzi probatori di parte avendo pertanto costui l’obbligo di motivare in ordine al mancato esercizio di tale potere-dovere (Sez. 1, n. 29490 del 27/06/2013, omissis, Rv. 256116) non essendo rimessa alla sua discrezionalità la scelta tra l’acquisizione della prova e il proscioglimento (o la condanna) dell’imputato a nulla rilevando il fatto che allorché il giudice ripristini, tramite l’applicazione dell’art. 507 cod. proc. pen., poteri probatori da cui una parte è decaduta, finisca inevitabilmente per favorire questa, collaborando, di fatto – laddove essa si identifichi nel pubblico ministero – alla costruzione della piattaforma probatoria d’accusa in una situazione nella quale dovrebbe altrimenti assolvere l’imputato per carenza di prova del fatto contestato dato che se è vero che l’esercizio del potere di cui all’art. 507 cod. proc. pen. può ridondare, in concreto, a potenziale vantaggio della parte che sollecita la prova (peraltro, solo in via di ipotesi, la cui realizzazione è comunque sempre legata al concreto risultato probatorio, al quale può concorrere e sul quale può incidere la controparte mediante il controesame), è altrettanto vero che ciò non può essere concepito come indice di «parzialità»; difatti, se l’ammissione di una prova a richiesta di parte giova sempre, per definizione, a chi, avendo formulato la richiesta stessa (tempestiva o tardiva che sia), si veda accordato uno strumento argomentativo da impiegare a sostegno della propria tesi e pur sempre sottoposto alla verifica della escussione dialettica dibattimentale, la prospettiva del giudice è, invece, diversa da quella della parte visto che il giudice ammette la prova in quanto risponda al criterio legale, parametrato sulla sua idoneità, a permettere una decisione causa cognita (nella specie, in termini di indispensabilità) mentre il fatto che poi la prova, una volta introdotta nel processo, torni a beneficio della parte istante è una delle possibili conseguenze naturali, non un dato che entri nella valutazione del giudice in sede di ammissione.

Una volta conclusa questa disamina giuridica dell’istituto previsto dall’art. 507 c.p.p., i giudici di piazza Cavour evidenziavano come nel caso di specie, in cui vi era stata un’assoluta mancanza di mezzi probatori di parte non avendo il pubblico ministero depositato la lista testi, il Tribunale non potesse pervenire al proscioglimento dell’imputato limitandosi a prendere atto della inerzia della parte pubblica mentre, non essendo in grado di decidere per la insufficienza del materiale probatorio a sua disposizione, avrebbe dovuto verificare l’assoluta indispensabilità, ai fini della decisione, delle prove testimoniali che il pubblico ministero gli aveva sottoposto senza che, con riferimento al momento della richiesta, si potesse ritenere ravvisabile un’ulteriore decadenza essendo sufficiente che la parte formuli la richiesta al giudice in tempo utile ai fini della decisione, e ciò proprio in ragione del fatto che, sulla assoluta necessità dell’esercizio dei poteri di integrazione probatoria che gli sono stati richiesti,  il giudice era  tenuto ad esporre una specifica motivazione la cui mancanza non era superata dal mero rilievo della sanzione processuale dell’inerzia della parte che il Tribunale aveva posto a fondamento della decisione impugnata.

Tal che se ne faceva discendere l’annullamento della sentenza impugnata e la sua trasmissione al giudice che l’aveva pronunziata al quale veniva demandato il compito di  provvedere sulla richiesta di esercitare i poteri d’ufficio previsti dall’art. 507 cod. proc. pen. a prescindere delle decadenze o delle inerzie in cui le parti erano incorse.

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Conclusioni

La sentenza in commento è sicuramente condivisibile in quanto si allinea lungo il solco di quanto già postulato dalla stessa Cassazione, a Sezioni Unite, in precedenti decisioni, e il cui contenuto argomentativo è stato confermato anche da parte del giudice delle leggi.

Del resto, il fatto che il giudice possa disporre l’assunzione di nuovi mezzi di prova anche quando si tratti di prove dalle quali le parti sono decadute per mancato o irrituale deposito della lista prescritta dall’art. 468 cod. proc. pen. e, a seguito di tale decadenza, sia mancata ogni acquisizione probatoria, oltre a trovare conferma nelle sentenze richiamate in questa pronuncia, riceve un riscontro anche di ordine normativo stante il fatto che l’art. 151, c. 1, disp. att. c.p.p. dispone unicamente che nel “caso previsto dall’articolo 507 del codice, il giudice dispone l’assunzione dei nuovi mezzi di prova secondo l’ordine previsto dall’articolo 496 del codice, se le prove sono state richieste dalle parti” mentre non è prevista alcuna deroga a questa statuizione normativa allorchè le parti siano decadute dal loro diritto di farle acquisire per mancato o irrituale deposito della lista prescritta dall’art. 468 cod. proc. pen..

Va da sé dunque che, ove dovesse verificarsi una situazione processuale di tal genere, ben si potrà contestarla nei modi e nelle forme previste dal codice di procedura penale.

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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