Difficoltà nel configurare il “mobbing” per la pluralità di datori di lavoro raffigurati dai singoli condòmini

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Del fenomeno del cd. mobbing in Italia se ne è iniziato a parlare all’inizio degli anni 2000, pur essendo tale problema già conosciuto in precedenza, essendosene occupati alcuni psicologi europei che lo hanno definito quale oppressione psicologica nell’ambiente di lavoro.
Con il termine anglosassone mobbing, letteralmente aggressione, si fa comunemente riferimento a quella moltitudine di condotte reiterate nel tempo, a titolo di esempio, l’emarginazione del lavoratore, l’ostilità nei confronti dello stesso, le continue critiche sull’operato, l’assegnazione di compiti dequalificanti, poste in essere dal datore di lavoro dinnanzi ai colleghi, ai clienti o ai superiori della vittima.

La giurisprudenza sul tema

La giurisprudenza ha delineato anche alcune fattispecie di mobbing definite <<attenuate>>, in particolare, è stato ritenuto che l’assegnazione progressiva di mansioni dequalificanti, l’allocazione in ambienti malsani e inadeguati, l’affidamento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi, rappresentassero comportamenti complessivamente idonei a dequalificare la professionalità del dipendente con compiti di <<bassa e/o nessuna autonomia>> e, dunque, tali da marginalizzarne l’attività lavorativa con un reale svuotamento delle mansioni.
Ai fini dell’integrazione della condotta di mobbing risulta necessario provare l’esistenza di un vero e proprio disegno persecutorio e, quindi, il nesso causale tra la condotta mobbizzante e il danno alla salute sofferto (Cass. 1413/2015).
Una volta provato il nesso causale il datore di lavoro risponderà dei relativi danni ai sensi dell’art. 2087 Cc, atteso che la responsabilità del datore di lavoro è collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge (Cass. 2038/2013).
Con particolare riguardo alle possibili ipotesi di mobbing in condominio e, nella fattispecie concreta, alle condotte vessatorie poste in essere nei confronti del portiere dello stabile condominiale, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25872, Relatore dott.ssa M. Lorito, pubblicata in data 16 ottobre 2018 ha, sia pure incidentalmente, attesa la declaratoria di inammissibilità del ricorso, trattato un giudizio per il quale le Corti di merito avevano ammesso delle oggettive difficoltà nell’accertamento di siffatte condotte allorquando vengano poste in essere dal condominio, in considerazione della <<pluralità di datori di lavoro rappresentati dai singoli condòmini.>>.
Ed invero è noto che il condominio viene comunemente ritenuto un ente di gestione che impersona l’interesse comune dei partecipanti, sfornito di autonoma personalità giuridica che rimane, pertanto, in capo ad ogni singolo condomino.

La natura giuridica del condominio

In altri termini, il condominio non ha una propria autonoma personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, ma è rappresentato dall’amministratore che costituisce, appunto, solo l’organo di rappresentanza unitaria del condominio.
Tuttavia è fuor di dubbio che, qualora il condominio si atteggi alla stessa stregua di un’azienda, come nel caso abbia alle proprie dipendenze dei dipendenti, è proprio l’amministratore che deve incarnare le vesti del datore di lavoro, tanto è vero che lo stesso, ad esempio, è obbligato al rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza sul luogo di lavoro.
Tanto è vero che è stato ritenuto come l’amministratore assuma una posizione di garanzia, tipica del datore di lavoro, qualora <<proceda direttamente all’organizzazione e direzione di lavori da eseguirsi nell’interesse del condominio stesso>> (Cass. 42347/2013).
Ciò si evince anche dal disposto dell’art. 1130 Cc laddove, al secondo comma, tra le attribuzioni dell’amministratore viene annoverata anche quella della disciplina dell’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condòmini.
La questione non è di poco conto e, pur nella possibile obbiettiva difficoltà di individuare condotte mobbizzanti in condominio, in considerazione del fatto che le stesse possono essere perpetrate sia dall’amministratore, ma anche dai singoli condòmini, appare indubbio che la stessa debba e possa essere risolta alla luce della normativa di settore e dei principi elaborati dalla giurisprudenza giuslavoristica.
Ed invero, a prescindere dall’autore materiale della condotta illecita, l’art. 2087 Cc dispone come il l’imprenditore, nello specifico, l’amministratore di condominio, è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte quelle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.
Orbene, in assenza di norme specifiche in relazione alle misure concretamente da attuare per tutelare tale integrità, le stesse risultano rinvenibili dalla norma di ordine generale di cui all’art. 2087 Cc che, appunto, costituisce “norma di chiusura” del sistema antinfortunistico estendibile anche a fattispecie non ancora espressamente considerate (Ex multis: Cass. 17668/2018).
Essa, pertanto, assolve ad una “funzione sussidiaria e di garanzia” del lavoratore, facendo esplicito riferimento a qualsivoglia misura necessaria a tutelare la salute del lavoratore, in ragione del fatto che la sicurezza del lavoratore rappresenta un bene di rilevanza costituzionale che impone a chi si avvalga di una prestazione lavorativa subordinata, di anteporre sempre e comunque la sicurezza di chi esegue la prestazione (Cass. 6337/2012).
Ecco che allora, a prescindere da chi pone in essere la condotta mobbizzante, il datore di lavoro, nello specifico il condominio e, per esso, il suo amministratore, dovrà in ogni caso evitare qualsiasi pregiudizio al proprio dipendente, quand’anche proveniente da un soggetto terzo.
E ciò a prescindere dalla negligenza datoriale ovvero dall’esistenza del nesso causale tra la negligenza e il danno subito dal lavoratore, in considerazione del fatto che la disciplina relativa alla responsabilità per gli infortuni sul lavoro si basa su principi e regole diverse da quelle applicabili nel diritto comune (Corte europea diritti dell’uomo, Sez. V, 12/01/2017, n. 74734/14).

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Avv. Accoti Paolo

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