Difensori di fiducia: è valida la nomina che, sebbene non abbia rispettato le formalità previste dal codice, si evinca per facta concludentia

Redazione 04/05/12
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Biancamaria Consales

L’esercizio effettivo delle funzioni difensive rende valida la nomina del difensore avvenuta senza il rispetto delle formalità previste dal codice. È quanto stabilito, con sentenza n. 16114 del 27 aprile 2012, dalla sesta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, che si è espressa sul ricorso presentato da un legale avverso l’ordinanza del Tribunale, con cui si dichiarava inammissibile l’appello da lui proposto, quale difensore di un soggetto imputato, nei confronti della ordinanza del Gip di rigetto di istanza della misura cautelare in carcere applicata dallo stesso Gip.

Nella fattispecie, l’appello veniva dichiarato inammissibile a causa della invalidità della nomina del suindicato legale, in quanto effettuata mediante telegramma a lui diretto e depositata presso la segreteria della Procura.

Ad avviso del ricorrente, in base alla più recente giurisprudenza di legittimità, il rapporto fiduciario può risultare non solo da nomina espressa, ma anche da fatti concludenti, come ad esempio la presentazione dei motivi di appello o l’esercizio effettivo delle funzioni difensive. Dunque, il deposito da parte del difensore della nomina effettuata a mezzo telegramma sarebbe senza dubbio un atto che renderebbe agevole la verifica dell’esistenza del rapporto fiduciario e dell’effettiva provenienza della dichiarazione, essendo stato il difensore stesso ad inoltrare o consegnare tale nomina, assumendosi la responsabilità della originalità del documento e della sua origine.

La Suprema Corte ha accolto quanto sostenuto dal ricorrente: in particolare, in contrasto con precedenti orientamenti giurisprudenziali, ha affermato che è valida la nomina del difensore di fiducia, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dall’art. 96 c.p.p., in presenza di elementi inequivoci dai quali la nomina possa desumersi per “facta concludentia”.

“In tema di formalità per la nomina del difensore – ha sostenuto la Corte –, i comportamenti concludenti idonei a documentare la riferibilità della nomina all’imputato costituiscono elementi sintomatici dell’esistenza di un rapporto fiduciario tra lo stesso imputato e colui il quale ha svolto di fatto le funzioni di difensore, in quanto la norma di cui all’art. 96 c.p.p. non è una norma inderogabile, ma tipicamente ordinatoria e regolamentare, suscettibile, quindi, si una interpretazione ampia ed elastica”.

Dunque, secondo la Corte, non è condivisibile il principio secondo cui la nomina del difensore di fiducia è atto formale che non ammette equipollenti e per la cui validità processuale è necessaria l’osservanza delle forme e modalità di cui all’art. 96 c.p.p., commi 2 e 3. E nel caso di specie c’è stata la dimostrazione della reale esistenza del rapporto fiduciario tra imputato e difensore a atti concludenti, consistenti essenzialmente nello svolgimento di attività difensive da parte del legale.

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