Configurabilità della detenzione abusiva di arma comune da sparo

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4263 del 31 gennaio 2024, ha fornito chiarimenti riguardo alla detenzione abusiva di arma comune da sparo.

Per avere un quadro unitario delle varie riforme che si sono susseguite nel diritto e nella procedura penale e, quindi, della complessiva normativa vigente, si consiglia il seguente volume: Le riforme della giustizia penale

Corte di Cassazione – Sez. VI Pen. – Sent. n. 4263 del 31/01/2024

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Indice

1. I fatti

Il Tribunale del riesame di Catanzaro, annullava l’ordinanza del Gip che aveva disposto la custodia cautelare in carcere dell’indagato in relazione al reato di detenzione e porto di armi (artr. 2, 4 e 7, l. 895/1967), aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen. (c.d. aggravante mafiosa), confermandola, invece, in relazione ai reati di ricettazione (art. 648 cod. pen.), detenzione abusiva di armi (art. 697 cod. pen.) anch’essi aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen.
Avverso l’ordinanza, è stato presentato ricorso affidato a due motivi: violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. per difetto di gravità indiziaria e vizio di motivazione in quanto, secondo la difesa, l’ipotesi accusatoria è stata fondata su captazioni da cui si evince, tuttavia, che l’indagato giunse sul luogo degli eventi solo successivamente e che, in quel momento, suo zio gli intimò di andare a prendere un fucile nascosto, avvolto nel cellophane, nei pressi di una casa disabitata; erronea applicazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e vizio di motivazione, adducendo che la configurabilità di tale aggravante è stata basata dai Giudici del merito sul fatto che l’indagato avesse “aderito volontariamente alla dinamica delittuosa, rafforzando il proposito dello zio allorquando manifestava compiacimento per il fatto che lo stesso avesse percosso la persona offesa, mostrando di mettersi a disposizione per l’esecuzione materiale dell’agguato mediante utilizzo delle armi“, senza, però, indicare i passaggi del dialogo da cui si desume tale compiacimento.
Per avere un quadro unitario delle varie riforme che si sono susseguite nel diritto e nella procedura penale e, quindi, della complessiva normativa vigente, si consiglia il seguente volume.

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In questa stagione breve ma normativamente intensa sono state adottate diverse novità in materia di diritto e procedura penale. Non si è trattato di una riforma organica, come è stata, ad esempio, la riforma Cartabia, ma di un insieme di interventi che hanno interessato vari ambiti della disciplina penalistica, sia sostanziale, che procedurale.Obiettivo del presente volume è pertanto raccogliere e analizzare in un quadro unitario le diverse novità normative, dal decreto c.d. antirave alla legge per il contrasto della violenza sulle donne, passando in rassegna anche le prime valutazioni formulate dalla dottrina al fine di offrire una guida utile ai professionisti che si trovano ad affrontare le diverse problematiche in un quadro profondamente modificato.Completano la trattazione utili tabelle riepilogative per una più rapida consultazione delle novità.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB), giornalista pubblicista e cultore della materia in procedura penale. Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica Diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.

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2. Detenzione abusiva di arma comune da sparo: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, analizza la questione e osserva che l’incolpazione provvisoria dell’indagato concerne i delitti di detenzione abusiva di armi (art. 697 cod. pen.), nonché di detenzione e porto di armi (artt. 2 e 4 l. n. 895/1967) e, specificamente, del fucile, ma l’ordinanza impugnata incorre in una contraddizione.
Nel primo passaggio, infatti, afferma che l’indagato era (semplicemente) “in grado di conoscere l’esatta collocazione del fucile“, locuzione che, ad avviso della Corte, è “interpretabile nel senso che, dietro indicazioni, sarebbe potuto (in futuro) venire a conoscenza del posto in cui il fucile era stato da altri riposto“.
Nel secondo passaggio, invece, riferisce che l’indagato “conosceva (con certezza) l’ubicazione dell’arma, circostanza suscettibile, a date condizioni, di integrare le ipotesi di reato provvisoriamente contestate“.
Ebbene, il discrimine risiede proprio in questa ambiguità/contraddittorietà lessicale dell’ordinanza che la Suprema Corte ritiene “tutt’altro che irrilevante”.
Infatti, ai fini della configurazione del delitto di detenzione abusiva di arma comune da sparo, è “necessaria una relazione stabile del soggetto con la stessa, in quanto il concetto di detenzione per sua natura implica un minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore ed oggetto detenuto ed un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte dell’agente.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione, riprendendo costante e consolidata giurisprudenza, ha sottolineato che “pur non essendo necessario che l’agente abbia sempre con sé o presso di sé l’arma abusivamente detenuta e pur in assenza di una prossimità fisica con il dispositivo, si richiede che questo sia custodito o mantenuto in un luogo dal quale l’agente possa prelevarlo, sia direttamente, che indirettamente, secondo le proprie autonome e libere determinazioni volitive“.
È questo il requisito a cui il legislatore affida la valutazione di pericolosità, in assenza della quale il fatto sarebbe privo di offensività e, prima ancora, ad avviso della Suprema Corte, radicalmente atipico.
Di conseguenza, la Corte annulla con rinvio il provvedimento impugnato per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, aggiungendo che, ove in sede di rinvio risultino indizi da cui desumere la detenzione dell’arma, la contestata circostanza aggravante, ipotizzata nel provvedimento impugnato nella sua manifestazione peraltro oggettiva e non soggettiva, dovrebbe essere riferita ai delitti ipotizzati nel capo di incolpazione.

Riccardo Polito

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