La decisione sulla confisca nel caso di improcedibilità ai sensi dell’art. 344 bis c.p.p.

Ida Blasi 22/02/23
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Nell’ambito della “Riforma Cartabia” sulla giustizia penale, con il D.Lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022 (entrato in vigore dopo un primo differimento, il 31 dicembre 2022, per effetto del D.L. n. 162/2022 conv. con L. 199/2022, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 304 del 30 dicembre 2022) è stata dettata un’apposita disciplina con riferimento alla sorte dei beni oggetto di confisca, nel caso in cui si verifichi la peculiare ipotesi di “prescrizione processuale” di cui all’art. 344 bis c.p.p. La disposizione contenuta nell’art. 578 ter c.p.p., ma soprattutto il suo stretto e inscindibile legame con il citato art. 344 bis c.p.p., desta notevoli perplessità sotto molteplici profili.
Per approfondire si consiglia: Disciplina del sequestro e confisca nei reati tributari

Indice

1. Considerazioni generali sulla natura della pronuncia di “improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione”, ex art. 344 bis c.p.p.

La legge 27 settembre 2021, n. 134 ha introdotto, come è noto, l’art. 344 bis nell’impianto del codice di procedura penale, prevedendo una causa di improcedibilità sopravvenuta dell’azione penale, nel caso di superamento dei termini, ivi stabiliti, per la durata dei giudizi di impugnazione.
Al di là degli aspetti che attengono alla esatta definizione di tali termini, per quanto rileva ai fini della presente trattazione, la norma persegue il dichiarato intento di assicurare una ragionevole durata dei processi penali.
Nello sforzo di identificare degli strumenti idonei al conseguimento di tale ambizioso obiettivo, il Legislatore ha optato per la codificazione di un nuovo istituto di matrice processuale, anziché rivedere la disciplina della prescrizione sostanziale.
Indipendentemente dalle vicende politiche e di politica legislativa che sono alla base di tale scelta, si deve osservare come l’istituto della improcedibilità nei giudizi di impugnazione sia stato oggetto di dure critiche, sia sotto il profilo della sua contraddittorietà rispetto al principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., sia sotto il profilo della sua “natura”. Quanto al primo aspetto, è stato – in estrema sintesi – da più parti osservato[1] che, pur esistendo nel sistema processuale vigente altre ipotesi di cause di improcedibilità dell’azione penale, nessuna di queste si ricollega al mero decorso del tempo; fattore quest’ultimo che non giustificherebbe in alcun caso il divieto per il giudice di pronunciarsi sulla fondatezza o non di un’accusa validamente promossa.
Quanto al secondo aspetto, il carattere meramente processuale che nella voluntas legis è assegnato alla improcedibilità per decorso nel tempo nei giudizi di impugnazione, precluderebbe ogni possibilità di addivenire ad un esame nel merito contestuale alla pronuncia.
In altri termini, mentre nel caso dell’estinzione del reato è ben possibile pervenire ad una decisione sul merito per effetto del disposto dell’art. 129, comma 2, c.p.p., nel caso di improcedibilità di cui all’art. 344 bis c.p.p. la matrice processuale della relativa pronuncia renderebbe inapplicabile ogni possibile verifica in ordine alla sussistenza del fatto, alla responsabilità dell’imputato, all’elemento psicologico del reato.
La declaratoria di improcedibilità, pertanto, prevarrebbe su qualunque altra soluzione definitoria del giudizio, finanche traducendosi in una conclusione più sfavorevole all’imputato nei casi di sentenza assolutoria appellata dal Pubblico Ministero.
Alcuni commentatori hanno, di contro, osservato che l’art. 129, comma 2, c.p.p. assegna al giudice un potere officioso di verifica in ordine alla sussistenza di cause di proscioglimento e che, tale potere non resterebbe paralizzato sol per assicurare una ragionevole durata del processo[2].
Secondo tali Autori, pertanto, la decisione sulla improcedibilità sopravvenuta richiederebbe comunque una indagine sul merito della regiudicanda, quantomeno sotto il profilo della sussistenza di eventuali cause di proscioglimento e, di converso, dell’insussistenza di queste con le necessarie conseguenze anche in punto di configurabilità del reato nelle sue componenti oggettive e soggettive e di attribuibilità al condannato.
A prescindere dalle diverse opinioni espresse in dottrina sull’argomento, le quali consentono in ogni caso di cogliere la complessità delle questioni che ruotano intorno all’istituto della improcedibilità sopravvenuta, è il caso di rilevare come anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 344 bis c.p.p. la stessa Relazione illustrativa aggiornata al testo definitivo del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, abbia rimarcato “che la pronunzia di improcedibilità ha carattere processuale e, come tale, impedisce di proseguire nell’esame del merito e di giungere ad una condanna definitiva, caducando la precedente pronuncia”.
Sembra, pertanto, obbligata la soluzione interpretativa che attribuisce alla declaratoria di improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p. una funzione definitoria del giudizio tale da precludere ogni apprezzamento sul merito dei fatti oggetto dell’impugnazione, a differenza di quanto accade nei casi di improcedibilità dipendente dal verificarsi di cause estintive del reato[3].
Tale soluzione, tuttavia, esplica significative ricadute sulla questione concernente la sorte dei beni sequestrati e/o confiscati nel corso del grado di giudizio precedente, come risulta evidente dal disposto dell’art. 578 ter c.p.p.[4]

2. Cenni introduttivi in materia di confisca e cause estintive del reato.

Prima di analizzare l’art. 578 ter c.p.p., occorre compiere un necessario sintetico excursus sulle tipologie di confisca previste dal vigente ordinamento e, segnatamente, dal Codice Penale oltre che da alcune disposizioni che si innestano nella legislazione speciale e ripercorrere il rapporto tra le stesse e i casi in cui si verifichino cause estintive del reato. Tale excursus conduce, infatti, a cogliere la genesi dell’art. 578 bis c.p.p. introdotto dall’art. 6, comma 4, D.Lgs. 1° marzo 2018, n. 28, poi novellato dall’art. 1, comma 4, lett. f), L. 9 gennaio 2019, n. 3, cui parzialmente si ispira – nei termini che si vedranno più avanti – anche il nuovo art. 578 ter c.p.p.
Ebbene, la confisca, come è noto, non presenta una dimensione unitaria, se non sotto il profilo dell’effetto concreto che produce, consistente nell’ablazione coattiva di beni al patrimonio pubblico, mentre con riferimento alle condizioni per la sua applicazione e alle finalità con essa perseguite occorre tener conto della disciplina specifica per ciascuna tipologia da cui può derivare la funzione e la natura di vera e propria sanzione, di misura di sicurezza o di misura giuridica civile o amministrativa[5].
È stato, nella specie, affermato che “possono pertanto coesistere, in linea di principio, nel sistema penale, modelli diversi di confisca, perché diverse, anche in ragione del sorgere di nuove esigenze di politica criminale da soddisfare, possono essere le finalità perseguite dal Legislatore. Ciascuno di tali modelli è dotato di una sua specificità normativa, che spetta all’interprete ricostruire, attraverso una ragionata disamina delle condizioni previste per l’applicazione del provvedimento ablativo e delle finalità perseguite, in rapporto al concreto atteggiarsi degli effetti che esso è destinato a produrre, apparendo in contrasto con il tratto tipizzante con cui la confisca è accolta nell’ordinamento, secondo le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale nel lontano 1961 (rimaste, come si vedrà, tuttora invariate), la possibilità di costruire una dommatica dell’istituto, prendendo come modello esclusivo la disciplina prevista per una delle possibili forme che esso assume nella realtà normativa[6].
Ma oltre alla distinzione tra confisca intesa come misura di sicurezza o come sanzione, assume indubbio rilievo anche l’aspetto afferente alla obbligatorietà o facoltatività della stessa e alla necessità che sia preceduta da una condanna o che la sua applicazione possa prescinderne.
Quanto a questi specifici profili, muovendo dal disposto dell’art. 240 c.p., si è osservato che sul piano delle condizioni che ne giustificano l’imposizione, oltre alla confisca facoltativa, è prevista al comma 2, la compresenza di due diverse tipologie di misura ablativa di beni economici, collegati a vario titolo alla commissione di un reato e alla nascita di un procedimento penale, delle quali, tuttavia, l’una postula l’esistenza di una condanna, l’altra ne prevede l’applicazione in assenza di condanna (art. 240, comma 2, n. 2, “… 2. È sempre ordinata la confisca: (…) 2) delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna …”)[7].
Al disposto dell’art. 240 c.p. è assegnato, nella sostanza, un valore di norma generale con riferimento alla tematica della confisca, da cui deriva il principio della impossibilità di procedere alla sua applicazione o al suo mantenimento qualora difetti il presupposto normativamente previsto della condanna dell’imputato, fatta eccezione dei soli casi concernenti “cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura” contemplati, come sopra detto, dal comma 2, n. 2) della stessa norma.
La distinzione tra le due menzionate tipologie di confisca obbligatoria, in assenza o in presenza di condanna apre l’ulteriore scenario correlato all’esigenza di definire il concetto stesso di “condanna”.
Nel novero delle disposizioni che prevedono l’imposizione della misura ablativa in presenza di condanna, infatti, possono ravvisarsi ipotesi in cui la confisca sia ammessa anche in assenza di una pronuncia contenente un giudicato formale di condanna, ritenendosi sufficiente un accertamento sostanziale sulla sussistenza del reato e sulla responsabilità o attribuibilità del fatto all’imputato. Trattasi, secondo la complessa elaborazione giurisprudenziale in materia[8] – non sempre caratterizzata da univocità[9] – delle fattispecie di confisca aventi natura di misura di sicurezza, anziché sanzionatoria.
In particolare, le prime, destinate ad assolvere ad una funzione specialpreventiva, sono suscettibili di essere ordinate anche nei casi di estinzione del reato purché l’accertamento della responsabilità confluisca in una pronuncia che non solo sostanzialmente, ma anche formalmente la dichiari, con la conseguenza che l’esistenza del reato, l’esistenza di una relazione tra la res e l’autore del reato ovvero il soggetto che la detenga, debbono avere costituito oggetto di una condanna in senso “sostanziale”[10].
Le seconde, invece, proprio per la peculiare natura di vere e proprie pene (si pensi alle varie ipotesi di confisca per equivalente) presuppongono un giudicato formale di condanna.
Sulla base di tali premesse, può a questo punto osservarsi come la vexata quaestio relativa alla natura delle diverse tipologie di confisca e alla possibilità di applicazione della stessa nei casi di estinzione del reato per amnistia o prescrizione, abbia indotto il Legislatore nazionale all’introduzione di una apposita disposizione che prevedesse espressamente una decisione sulla confisca.
Difatti, l’art. 578 bis c.p.p., la cui rubrica recita “Decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione”, veniva introdotto nel codice di rito dall’art. 6, comma 4, del D.Lgs. 1° marzo 2018, n. 21 e successivamente modificato dall’art. 1, comma 4, lett. f) della L. 9 gennaio 2019, n. 3.
In estrema sintesi, nella sua formulazione attuale, la citata disposizione stabilisce che quando sia stata ordinata la confisca in casi particolari di cui al comma 1 dell’art. 240 bis c.p. e da altre disposizioni di legge ovvero dall’art. 322 ter c.p., nel caso di estinzione del reato per prescrizione o amnistia, il giudice di appello o la Corte di Cassazione decidano sull’impugnazione, ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato.
Ciò avrebbe risolto o dovuto risolvere la questione del destino dei beni sequestrati o confiscati (in via non ancora definitiva), così ovviando al vuoto normativo che la giurisprudenza nazionale aveva dovuto colmare, anche a seguito di alcuni interventi della Corte EDU in materia di confisca urbanistica.
L’ambito applicativo della norma de qua abbraccia diverse ipotesi di confisca, vale a dire quelle di confisca in casi particolari (c.d. per sproporzione) originariamente previste dall’art. 12 sexies D.L. 302/1992, conv. dalla L. n. 256/1992 e poi sostanzialmente trasfuse nel testo dell’art. 240 bis c.p., quelle espressamente previste – anche per equivalente – dall’art. 322 bis c.p. con riferimento ad una serie di delitti contro la pubblica amministrazione, nonché quelle in generale disciplinate da altre disposizioni di legge.
Al riguardo, si è osservato che tra le confische disciplinate da altre disposizioni di legge sono da ricomprendere anche i provvedimenti ablatori aventi portata latu sensu sanzionatoria[11], tra i quali, ad esempio, proprio la confisca urbanistica costituente sanzione amministrativa[12] e ciò anche a prescindere dal rilievo che l’applicazione di quest’ultima non presuppone – a differenza delle altre tipologie richiamate dalla norma –  una condanna in senso formale, bensì un “accertamento” che debba poi tradursi in una condanna nell’accezione sostanziale sopra già chiarita.
E’ stato, altresì, osservato che l’esigenza di una statuizione in materia di confisca in presenza di una delle cause estintive del reato indicate dall’art. 578 bis c.p.p. deve avvenire nell’ambito di un giudizio in cui sia stato assicurato il contraddittorio sulla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato stesso, con la precisazione però che, una volta intervenuta la causa estintiva, il giudizio non può proseguire al solo fine di compiere tale accertamento in applicazione dell’art. 129 c.p.p[13].

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3.   La decisione sulla confisca e i provvedimenti sui beni in sequestro nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, prevista dal nuovo art. 578 ter c.p.p.

L’impostazione adottata in relazione ai casi di pronuncia sulla confisca nell’ipotesi considerata dall’art. 578 bis c.p.p., è solo in parte trasfusa nella nuova disposizione di cui all’art. 578 ter c.p.p. introdotta per disciplinare l’ipotesi in cui si renda necessaria una decisione in materia di confisca quando si verifichi la causa di improcedibilità sopravvenuta dovuta al decorso dei termini stabiliti dall’art. 344 bis c.p.p., per la conclusione dei giudizi di impugnazione.
Se, infatti, alla base dell’esigenza di prevedere apposite regole sulla sorte dei beni sequestrati o confiscati vi è quella di evitarne la dispersione consentendo che cose intrinsecamente pericolose restino in circolazione o che l’imputato possa fruire e trarre vantaggi dal profitto o dal prodotto del reato, è però altrettanto vero che l’esigenza di una pronuncia sull’esistenza del reato e sulla sua riferibilità soggettiva, anche in senso sostanziale, è il presupposto indefettibile per il mantenimento di ipotesi di confisca aventi natura sanzionatoria e di alcune tipologie aventi carattere di misura di sicurezza per le quali è espressamente richiesta una condanna, mentre nel caso della pronuncia ex art. 344 bis c.p.p., come osservato in premessa, non vi sarebbe spazio per alcuna verifica formale o sostanziale sul thema decidendum.
Ed invero, il comma 1 dell’art. 578 ter c.p.p. stabilisce che i giudici d’appello o la Corte di Cassazione, contestualmente alla declaratoria di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione, “dispongono la confisca nei casi in cui la legge la prevede obbligatoriamente anche quando non è stata pronunciata condanna”.
Dall’esame dei lavori preparatori e dal testo della relazione illustrativa, oltre a trarsi come si è già detto conferma della natura prettamente processuale della pronuncia di cui all’art. 344 bis c.p.p., si desume che quest’ultima parte della disposizione di cui al comma 1 dell’art. 578 bis c.p.p. debba essere intesa come riferibile esclusivamente ai casi di confisca obbligatoria prevista in assenza di condanna, identificabili in quelli di cui all’art. 240, comma 2, n. 2), c.p.
In particolare, la Relazione illustrativa aggiornata al testo definitivo del D.Lgs. n. 150/2022, evidenziava la necessità, per cogliere la portata applicativa della disciplina dei rapporti tra l’improcedibilità sopravvenuta de qua e la confisca, di analizzare il quadro generale di sistema a partire dalla considerazione che la pronunzia di improcedibilità, per il suo carattere processuale, impedisce di proseguire nell’esame del merito e di giungere ad una condanna definitiva, caducando la precedente pronuncia. Nel raffronto con la disciplina – sopra richiamata – fissata dall’art. 578 bis c.p.p., la Relazione ha altresì espressamente rimarcato che “né può ricorrersi a un’estensione della differente disciplina prevista dall’art. 578 bis c.p.p. nel caso di estinzione del reato per prescrizione, poiché il superamento dei termini massimi previsti per il giudizio di impugnazione è uno sbarramento processuale che impedisce qualsivoglia prosecuzione del giudizio, anche solo finalizzata all’accertamento della responsabilità da un punto di vista sostanziale e svincolato dalla forma assunta dal provvedimento (come invece consentito, a seguito della sentenza della C. Cost., 26.3.2015 n. 49, nel caso di sentenza di proscioglimento per prescrizione). Sarebbe impropria, del resto, l’assimilazione di una causa impediente della prosecuzione del giudizio di natura processuale a una causa estintiva del reato che è fenomeno attinente al merito del processo”.
Da tale rilievo, la Relazione ha tratto l’unica conclusione che allo stato appare coerente rispetto alle condizioni per disporre la confisca, e cioè che l’improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p. determina una privazione di effetti della confisca in sede penale, con la sola eccezione costituita dalle ipotesi di confisca obbligatoriamente prevista dalla legge anche fuori dai casi di condanna, come nella specie le cose intrinsecamente criminose di cui all’art. 240, comma 2, n. 2), c.p.
Sembrerebbero, pertanto, restare al di fuori del perimetro applicativo dell’art. 578 bis c.p. sia le ipotesi di confisca – misura di sicurezza obbligatoria previste dallo stesso codice penale nonché da leggi speciali, ivi comprese a titolo esemplificativo quelle di cui agli artt. 240, comma 2, n. 1) e 1 bis) e 240 bis c.p., sia tutte le ipotesi di confisca per equivalente giacché caratterizzate da natura eminentemente sanzionatoria[14].
A seguire, il comma 2 dell’art. 578 bis c.p. dispone che al di fuori delle ipotesi sin qui esaminate, se vi siano beni in sequestro in relazione ai quali sia stata applicata la confisca, i giudici delle impugnazioni, contestualmente all’emissione della pronunzia di improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p., dispongono con ordinanza la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto o al Procuratore nazionale antimafia o antiterrorismo competenti a proporre le misure di prevenzione patrimoniale ai sensi del D.Lgs. 159/2011.
Infine, il comma 3 prevede che il sequestro disposto nel procedimento penale perda efficacia qualora entro novanta giorni dalla trasmissione degli atti, non venga emesso decreto di sequestro anticipato.
Dalla lettura dei due commi richiamati, si comprende come il Legislatore abbia tentato di districarsi attraverso le difficoltà legate all’impossibilità per i giudici dei gradi di impugnazione di provvedere direttamente ad una pronuncia sulla confisca, quando non si tratti di confisca possibile in assenza di condanna, individuando quale unica soluzione la strada della adozione di una decisione secondo i principi dettati in materia di misure di prevenzione dal D.Lgs. 159/2011.
Di fatto, pertanto, la decisione sulla sorte dei beni sequestrati o confiscati è trasferita in una sede del tutto diversa e affidata alla verifica di presupposti che, in larga parte, non sono sovrapponibili a quelli legittimanti l’adozione del sequestro o della confisca nell’ambito del procedimento penale.
In ordine alle ragioni giustificative dell’opzione scelta, dalla già citata Relazione illustrativa si apprende e si chiarisce come sia stata esclusa la pur considerata ipotesi di un trasferimento, ad esempio, nell’ambito del giudizio civile[15], dal momento che la prosecuzione, in quella sede, nel caso di improcedibilità  ex art. 344 bis c.p.p. è ancorata alla sola adozione di una decisione agli effetti civili (che può includere anche quella concernente le eventuali cautele reali), di per sé geneticamente accessoria nel processo penale.
Ebbene, può osservarsi come il trasferimento della decisione sulla confisca nella sede del procedimento di prevenzione desti non poche perplessità.
Invero, mentre le confische previste dal codice penale o dalle leggi speciali, siano esse misure di sicurezza o sanzioni possono o debbono essere adottate sul presupposto della sussistenza di un reato, fatta eccezione per l’ipotesi della confisca di cose che siano intrinsecamente pericolose, l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale è possibile soltanto a condizione che il soggetto destinatario rientri in una delle categorie di pericolosità di cui all’art. 4 del D.Lgs. 159/2011 ovvero nelle ipotesi descritte dai commi 1, lett. b) e 2 dell’art. 16 stesso Decreto e che i beni oggetto dell’apprensione siano in valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta dal proposto ovvero risulti che essi siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
E’ sufficiente porre mente all’elenco delle fattispecie di pericolosità tipizzate dall’art. 4 del D.Lgs. 159/2011, per avvedersi come esse comprendano[16] fattispecie di pericolosità comune che postulano quantomeno una reiterazione o una abitualità nella commissione di attività delittuose, o comunque che il proposto sia indiziato di una serie di reati ivi espressamente elencati che, tuttavia, non esauriscono minimamente i casi in cui sia, astrattamente o concretamente, prevista la confisca misura di sicurezza o la confisca sanzione in base alla legislazione penale (o derivante dalla legislazione speciale).
In altri termini, limitando la portata applicativa del disposto dell’art. 578 ter, comma 1, c.p.p. alle sole ipotesi di confisca obbligatoria anche in assenza di condanna (art. 240, comma 2, n. 2), c.p.) e trasferendo la decisione di “merito” relativa ad ogni altra ipotesi di confisca nell’ambito del procedimento di prevenzione, potrà verificarsi una dispersione di beni sequestrati – o già confiscati non definitivamente – in tutti i casi in cui il soggetto precedentemente imputato non possa identificarsi in uno dei “soggetti destinatari” delle misure di prevenzione patrimoniale di cui al combinato degli artt. 16, 4 e 1 del D.Lgs. 159/2011.
Del pari, anche i parametri posti alla base dell’apprezzamento circa l’appartenenza del soggetto alle fattispecie di pericolosità previste dal “codice antimafia”, differiscono dalle condizioni per l’applicazione della confisca misura di sicurezza o della confisca sanzionatoria soprattutto quando queste avrebbero richiesto una condanna in senso formale o quantomeno sostanziale e, ancor più significativamente, quando si sia in presenza di una confisca sanzionatoria “per equivalente”.
Se è pur vero, dunque, che una decisione sulla confisca trasferita nell’ambito di un procedimento di prevenzione assicurerebbe il contraddittorio sui presupposti applicativi del provvedimento ablativo è, però, altrettanto vero che l’oggetto del contraddittorio presenterebbe in sé un contenuto ben diverso da quello che ab origine sarebbe stato necessario, avendo riguardo alla disciplina codicistica sostanziale e processuale.

4. Conclusioni

In definitiva, il sistema dei rapporti tra l’improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p. e la decisione sui beni sequestrati o confiscati come disegnata dall’art. 578 ter c.p.p., finisce per evidenziare una serie di vuoti di tutela che tutti dipendono invariabilmente dalla scelta di voler assicurare una ragionevole durata dei processi penali attraverso un istituto di matrice processuale legato al decorso del tempo, anziché ripristinare la disciplina in tema di prescrizione sostanziale nei giudizi di impugnazione.

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  1. [1]

    Improcedibilità e ragionevole durata del processo, P. Ferrua, www.penaledp.it; Improcedibilità: uno stupefacente caso di evaporazione del processo, P. Ferrua, Processo e Giustizia, 2022, n. 1; Sulla disciplina della improcedibilità. Una posizione critica, M. Daniele, P. Ferrua, R. Orlandi, A. Scalfati, G. Spangher, in Questione Giustizia, 06.09.2021.

  2. [2]

    Si veda in proposito, Appunti sulla disciplina dell’improcedibilità per irragionevole durata dei giudizi di impugnazione, A. Nappi, Questione Giustizia, 2021, 09.12.2021.

  3. [3]

    Si veda, al riguardo, anche la Relazione del Massimario della S.C. Corte di Cassazione, n. 20/2021, del 03.11.2021, in particolare, par. 8, ove si è osservato che, pur non essendo stata prevista alcuna modifica dell’art. 129 c.p.p., tale disposizione non sarà comunque più applicabile nei giudizi di impugnazione alla luce della sospensione del decorso della prescrizione sostanziale in tali gradi di giudizio; né la medesima norma può apparire applicabile in occasione della pronuncia sulla improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p., dal momento che “con la scadenza del termine di durata del giudizio di impugnazione, viene sostanzialmente ad estinguersi la possibilità di proseguire l’azione penale e, dunque, si <<consuma>> lo stesso potere di decidere del giudice sul merito dell’imputazione”; inoltre “secondo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite Martinenghi, la mancanza di una condizione di procedibilità osta, infatti, a qualsiasi altra indagine in fatto (Sez. U., n. 49783 del 24.09.2009, rv. 245163). Nel caso di specie, il Supremo Consesso ha affermato che la declaratoria di procedibilità per difetto di querela prevale su quella determinata dall’estinzione del reato per morte del reo. Sulla base di tale principio potrebbe, dunque, ritenersi che, ove sia maturato il termine di durata del giudizio di impugnazione, al giudice sia ormai preclusa la possibilità di emettere una sentenza di proscioglimento dell’imputato secondo una delle formule contemplate dall’art. 129, comma 1, c.p.p., trattandosi, comunque, di una pronuncia sull’azione penale che ne presuppone la procedibilità e la possibilità di esaminare il merito dell’imputazione”.

  4. [4]

    Art. 578 ter c.p.p. Decisione sulla confisca e provvedimenti sui beni in sequestro nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione: “1. Il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare l’azione penale improcedibile ai sensi dell’art. 344 bis, dispongono la confisca nei casi in cui la legge la prevede obbligatoriamente anche quando non è stata pronunciata condanna. 2. Fuori dai casi di cui al comma 1, se vi sono beni in sequestro di cui è stata disposta la confisca, il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare l’azione penale improcedibile ai sensi dell’art. 344 bis, dispongono con ordinanza la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto o al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo competenti a proporre le misure patrimoniali di cui al titolo II del Libro I del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 150. 3. Il sequestro disposto nel procedimento penale cessa di avere effetto se, entro novanta giorni dalla ordinanza di cui al comma 2, non è disposto il sequestro ai sensi dell’art. 20 o 22 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.. 159”.

  5. [5]

    Cass. Pen. S.U., sent. n. 5 del 25.03.1993, rv. 193120, ric. Carlea.

  6. [6]

    Cass. Pen. Sez. 5, sent. n. 52, ud. 15.10.2020, ric. Cipriani.

  7. [7]

    Cass. Pen. S.U., n. 38834 del 10.07.2008, dep. 15.10.2008, PM c/De Maio; nonché Cass. Pen. S.U. Carlea.

  8. [8]

    Elaborazione la cui genesi rimonta all’esigenza di stabilire la compatibilità della confisca con l’estinzione del reato dovuta ad amnistia (S.U. Carlea, in relazione alla confisca ex art. 722 c.p.) ovvero dovuta allo spirare dei termini di prescrizione, con riferimento alla confisca urbanistica di cui al D.P.R. 380/2001, art. 44 (si veda, in ultimo, Cass. S.U. n. 13539 del 30.01.2020, dep. 30.04.2020, che ha affermato i seguenti principi di diritto: “la confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato, purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129, comma 1, c.p.p., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento. In caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di Cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578 bis c.p.p., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001”).

  9. [9]

    Si veda, ad esempio, il recente revirement sui principi affermati dalle Sezioni Unite Lucci, relativamente alla natura preventiva della confisca obbligatoria del prezzo del reato di cui all’art. 240, comma 2, c.p. e di cui all’art. 322 ter c.p., cui si assiste in Cass. Pen. Sez. 5, n. 52 del 2021, cit.

  10. [10]

    Si veda Corte Costituzionale, sentenza n. 49/2015, in tema di confisca urbanistica, nonché S.U. n. 13539 del 30.01.2020, cit.

  11. [11]

    Si veda, in proposito, Cass. S.U. n. 13539 del 30.01.2020, dep. 30.04.2020.

  12. [12]

    Oltre alla confisca urbanistica, l’art. 578 bis c.p.p. è stato ritenuto applicabile, ad esempio, anche alla confisca tributaria di cui all’art. 12 bis D.Lgs. 74/2000, benché nei casi di confisca per equivalente di natura prettamente sanzionatoria questa non possa essere mantenuta con riferimento a fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 578 bis c.p.p.; si vedano, ad esempio, Cass. Pen. III, n. 20793 del 18.03.2021; Cass. Pen. III, n. 39157 del 07.09.2021; Cass. Pen. III, n. 7882 del 21.02.2022.

  13. [13]

    Si veda, in proposito, il principio di diritto enunciato in Cass. S.U. n. 13539, cit., con riferimento all’ipotesi di confisca urbanistica di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001, secondo cui “la confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta  causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129, comma 1, proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento”.

  14. [14]

    Si veda ad esempio, sia pure con riferimento al testo dello schema di decreto delegato, La Riforma penale (L. n. 134/2021): le disposizioni in materia di sequestro e confisca dello schema di decreto delegato presentato dal Governo, F. Menditto, in Sistema Penale, Fascicolo 9/2022, p. 73.

  15. [15]

    Si veda il testo del novellato art. 578 c.p.p., commi 1 bis e 1 ter: “1 bis. Quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, e in ogni caso di impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili, il giudice di appello e la corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, nel dichiarare improcedibile l’azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 344 bis, rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile. 1 ter. Nei casi di cui al comma 1 bis, gli effetti del sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato, permangono fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili non è più soggetta a impugnazione”.

  16. [16]

    Per effetto dell’espresso richiamo all’art. 1 dello stesso D.Lgs. 159/2011.

Ida Blasi

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