Non retroattività dell’articolo 578-bis: confisca sanzionatoria

Scarica PDF Stampa

La disposizione dell’art. 578-bis cod. proc. pen., con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, non è applicabile retroattivamente
(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 578-bis)
Corte di Cassazione -SS. UU. pen. -sent. n. 4145 del 29-09-2022

Indice

1. Il caso

La Corte di Appello di Torino confermava una pronuncia resa dal giudice di prime cure che, a sua volta, aveva dichiarato la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 condannandolo alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione, disponendo la confisca di beni mobili, immobili e denaro nella sua disponibilità fino alla concorrenza dell’importo di euro 174.467,12.
Ciò posto, avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, eccepiva la nullità delle disposizioni relative alla confisca per equivalente sul rilievo che illegittimamente sarebbe stata applicata la confisca di valore nei suoi confronti e tanto per un duplice ordine di ragioni, e ciò perché, da un lato, la confisca era stata disposta a norma dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, come modificato dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 e tale disposizione era entrata in vigore in epoca successiva alla data di commissione dei reati, dall’altro, trattandosi di confisca per equivalente, la misura, potendo essere disposta solo con la sentenza di condanna o con quella di applicazione della pena su richiesta delle parti, era destinata alla caducazione per effetto della sentenza di non doversi procedere ex art. 529 cod. proc. pen. per intervenuta prescrizione dei reati.

2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

La Terza Sezione Penale, assegnataria del ricorso summenzionato, lo rimetteva alle Sezioni Unite, prospettando l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza.
In particolare, in relazione alla seconda parte del secondo motivo di ricorso, secondo le quali l’applicazione della confisca per equivalente sarebbe stata illegittima per effetto della pronuncia di sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati, la Sezione rimettente osservava come la soluzione del quesito posto con queste ultime censure dipendesse dal perimetro temporale di applicazione attribuibile all’art. 578-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 6, comma 4, d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21, nel testo vigente per effetto della riforma recata dall’art. 1, comma 4, lettera f), legge 9 gennaio 2019, n. 3, risultando perciò necessario stabilire se la disposizione di cui all’art. 578 -bis cod. proc. pen. sia applicabile anche alle confische ordinate per reati commessi anteriormente alla sua entrata in vigore.
A tale proposito, si segnalava l’esistenza, in seno alla giurisprudenza di legittimità, di un contrasto.
In particolare, la Sezione rimettente evidenziava la presenza di due diversi indirizzi giurisprudenziali.
Nel dettaglio, secondo un primo indirizzo interpretativo, l’art. 578-bis cod. proc. pen. consente la confisca per equivalente anche in caso di sentenza dichiarativa della prescrizione di un reato commesso anteriormente alla sua entrata in vigore (Sez. 2, n. 19645 del 02/04/2021; Sez. 6, n. 14041 del 09/01/2020; Sez. 3, n. 8785 del 29/11/2019) attesa la natura processuale dell’art. 578-bis cod. pen. con conseguente applicazione del principio tempus regit actum.
Più nel dettaglio, in base a tale orientamento, la nuova disposizione, secondo quanto emerge dai lavori preparatori, è finalizzata a sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati anche in caso di estinzione del reato e si presenta in continuità con l’elaborazione della giurisprudenza di legittimità, costituzionale e della Corte EDU, sulla «possibilità di disporre la confisca, anche di carattere sanzionatorio, allorché la declaratoria di prescrizione […] si accompagni ad un compiuto accertamento del fatto-reato e della responsabilità […] (Corte cost., sent. n. 49 del 2015; Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, omissis; Corte EDU, 28/06/2018, omissis ed altri c. Italia)», e ciò in quanto la Grande Camera, nella decisione appena citata, ha affermato «la compatibilità con l’art. 7 della Convenzione EDU delle confische-sanzione fondate su accertamenti “sostanziali” di responsabilità» contenuti nel reato dichiarato estinto per prescrizione, purché la sanzione sia proporzionata al fatto.
Di conseguenza, nella confisca per equivalente del prezzo o del profitto del reato, «convergono evidenti finalità ripristinatorie, di semplificazione probatoria ed esecutiva, che le differenziano sostanzialmente da una pura e semplice pena patrimoniale», fermo restando che la confisca in discorso «trova il proprio fondamento e limite nel vantaggio tratto dal reato», e ad essa è, per di più, «applicabile il principio di solidarietà passiva, proprio delle misure riparatorie, che limita la misura ablatoria alla quota di prezzo o profitto conseguito effettivamente e personalmente da ciascuno degli imputati» (Sez. 6, n. 14041 del 09/01/2020), tenuto conto altresì del fatto che l’art. 578-bis cod. proc. pen. costituisce una norma di natura processuale, come tale soggetta al principio tempus regit actum, non introducendo nuovi casi di confisca, ma limitandosi a definire la cornice procedimentale entro cui può essere disposta la cd. ablazione senza condanna, agendo perciò su un profilo processuale e temporale, ma lasciando inalterati i presupposti sostanziali di applicazione del vincolo (legittimazione normativa e identificazione di beni di valore corrispondente al profitto) posto che, secondo questa impostazione, la norma si limita a stabilire che la confisca di valore può essere applicata nel giudizio di impugnazione anche quando sopravvenga l’estinzione del reato per prescrizione, ma sia confermato l’accertamento di responsabilità, non trattandosi, dunque, della introduzione di un nuovo caso di confisca, ma solo della definizione dei limiti temporali entro i quali la stessa può essere applicata in presenza di un accertamento di responsabilità sostanziale.
Oltre a ciò, sempre alla luce di questo approdo ermeneutico, si sostiene altresì che la natura (parzialmente) punitiva delle confische di valore impedisce la applicazione retroattiva delle norme che le prevedono, ma non delle norme processuali che definiscono “quando” possono essere applicate (Sez. 2, n. 19645 del 02/04/2021).
Invece, alla stregua di un diverso indirizzo, l’art. 578-bis cod. proc. pen. è applicabile anche alla confisca tributaria ex art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, con la precisazione che, ove questa sia stata disposta per equivalente, non può essere mantenuta in relazione a fatti commessi prima dell’entrata in vigore del citato art. 578-bis cod. proc. pen. in quanto, atteso il suo carattere afflittivo, produce effetti sostanziali e, pertanto, non può operare retroattivamente (Sez. 3, n. 15655 del 02/02/2022; Sez. 3, n. 7882 del 21/01/2022; Sez. 3, n. 39157 del 07/09/2021; Sez. 3, n. 20793 del 18/03/2021) e, a sostegno di ciò, è stato richiamato l’insegnamento, espresso dalle Sez. Unite nella decisione n. 31617 del 26/06/2015, secondo il quale il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto.
Pertanto, la confisca di valore, per la sua natura sanzionatoria, non può produrre effetti in relazione a «fatti anteriori al momento in cui è entrata in vigore la norma che ne rende possibile il mantenimento anche nei casi in cui, in precedenza, ciò non era possibile», con la conseguenza che «solo per i reati commessi successivamente all’entrata in vigore dell’art. 578-bis cod. proc. pen. è possibile il mantenimento della confisca per equivalente» (Sez. 3, n. 39157 del 07/09/2021; Sez. 3, n. 20793 del 18/03/2021), rilevandosi al contempo che, sul punto, la sentenza, emessa dalla Sez. III n. 7882/2022, nel ribadire che il riferimento operato dalla disposizione codicistica alle «altre disposizioni di legge» evoca «le plurime forme di confisca previste dalle leggi penali speciali», come affermato sia da Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, sia da Sez. U, n. 6141 del 25/10/2018, e quindi anche la confisca per equivalente, ha osservato, inoltre, come la soluzione accolta dall’opposto orientamento si porrebbe in contrasto con il combinato disposto degli artt. 25 Cost. e 7 CEDU, per l’«inevitabile riflesso sostanziale» caratteristico della confisca di valore.
Inoltre, l’applicazione retroattiva dell’art. 578-bis cod. proc. pen. a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore determina «l’adozione di una pronuncia (in appello o in cassazione) impositiva di un sacrificio patrimoniale “a sorpresa” — non […] prevedibile per il ricorrente, all’atto della commissione del reato […1».
Oltre a ciò, era infine sottolineato che la natura sanzionatoria costituisce un dato che caratterizza la confisca di valore perché questa può attingere anche beni acquistati anteriormente o successivamente alla commissione del reato, ossia beni privi di connotati di pericolosità e di legami di pertinenzialità con l’illecito, per cui, anche a voler riconoscere alla confisca di valore una natura solo “parzialmente” sanzionatoria, resta ferma la sua natura afflittiva, in quanto l’oggetto dell’ablazione è rappresentato da una porzione di patrimonio che, in sé, non presenta alcun elemento di collegamento con il reato, con la conseguenza che, in relazione a tale forma di ablazione, si pone la necessità di garantire al destinatario una ragionevole prevedibilità delle conseguenze cui si esporrà trasgredendo il precetto penale (Sez. 3, n. 7882 del 21/01/2022).
Orbene, dopo aver esposto il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità sulla questione relativa all’applicabilità della disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen. (anche) alle confische disposte per fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della stessa, la Sezione rimettente ribadiva come detto contrasto si basasse su un profilo estremamente problematico, quale è quello della individuazione della natura sostanziale o processuale della disposizione che viene in rilievo, nella specie l’art. 578- bis cod. proc. pen., evidenziandosi contestualmente che, da un lato, non sembra controverso che il legislatore possa prevedere l’applicazione e, quindi, il “mantenimento“, della confisca per equivalente con una sentenza formalmente non di condanna, dall’altro, la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che la confisca di valore ha natura sostanzialmente punitiva, persino se applicata in conseguenza di illecito amministrativo, e, conseguentemente, «rientra nel raggio applicativo del principio di irretroattività della norma penale sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost., principio che concerne non soltanto le pene definite come tali dall’ordinamento nazionale, ma anche quelle così qualificabili ai sensi dell’art. 7 CEDU» (Corte cost., sent. n. 223 del 2018, § 3.1, ma anche § 6.1 del considerato in diritto, nonché, in termini sovrapponibili, Corte cost., sent. n. 68 del 2017).
La Sezione rimettente, a tale proposito, introduceva tra l’altro un ulteriore profilo problematico interrogandosi sul fatto se la disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., nella parte relativa alle confische di valore, per quanto inserita nel codice di procedura penale, sia o meno da comprendere nel novero di quelle che dettano “norme penali“, agli effetti dell’art. 25, secondo comma, Cost., potendo da ciò dipendere la soluzione del problema, notandosi a questo riguardo come potrebbe essere risolutivo valutare se la disciplina di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen. attenga all’istituto della prescrizione, e ciò in ragione del fatto che la giurisprudenza costituzionale, proprio avendo riguardo alla disciplina della prescrizione, ha ripetutamente chiarito che un istituto che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena, nel nostro ordinamento giuridico rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza (Corte cost., sent. n. 115 del 2018 e Corte cost., ord. n. 24 del 2017).
La Sezione rimettente – ricordando che una tale esigenza è stata ritenuta meritevole di considerazione dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di applicazione delle disposizioni sul Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (cfr. Corte di Giustizia 05/12/2017, M.A. S. e M.B.) – aggiungeva per di più come la giurisprudenza costituzionale abbia recentemente precisato, ancora con specifico riguardo a precetti normativi incidenti in materia di prescrizione, che le disposizioni istitutive di fattispecie di rilievo processuale, ma da cui conseguono significativi effetti di natura sostanziale, ricadono comunque nell’area di applicazione del principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., e, quindi, del principio della irretroattività della legge penale sfavorevole (Corte cost., sent. n. 140 del 2021), concludendosi, affermando che, tuttavia, non appare di immediata definizione la questione se una disciplina relativa al prolungamento nel tempo della possibilità per il giudice di confermare le “sole” statuizioni che dispongono la confisca per equivalente già adottate prima del maturarsi di una causa estintiva del reato rientri nell’ambito dell’istituto della prescrizione, o comunque debba rispettare le garanzie costituzionali di irretroattività operanti in tema di prescrizione.
In particolare, se la precisata disciplina dovesse essere ritenuta esterna all’istituto della prescrizione, potrebbero anche assumere rilievo altre categorie giuridiche, e potrebbe eventualmente valutarsi se la stessa attiene a quelle «norme di procedura» sottoposte al principio tempus regit actum, in linea anche con l’elaborazione della giurisprudenza della Corte EDU (Corte EDU, 22/06/2000, Coéme c. Belgio, §§ 148-151, e Corte EDU, 12/02/2013, Previti c. Italia).
Quand’anche, poi, si aderisse alla prospettiva appena indicata, sempre ad avviso della Sezione terza, potrebbe ancora porsi il problema dell’esatto perimetro cronologico di applicazione della disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., nella parte relativa alle confische di valore, tanto sul rilievo che, dalla sentenza della Corte EDU nel caso Coéme ed altri c. Belgio sembra evincersi che una violazione dell’art. 7 CEDU sarebbe comunque configurabile se la proroga dei termini (in quel caso di prescrizione), mediante l’applicazione immediata di una disposizione processuale, intervenisse dopo che quei termini fossero già decorsi (v. § 149).
Sulla base di tali considerazioni, la Terza Sezione Penale rimetteva quindi il ricorso alle Sezioni Unite.

Potrebbero interessarti anche

3. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, prima di entrare nel merito della questione, procedevano a delimitarla nei seguenti termini: “Se la disposizione dell’articolo 578-bis cod. proc. pen. sia applicabile, in ipotesi di confisca per equivalente, ai fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore dell’articolo 1, comma 4, lettera f), legge 9 gennaio 2019, n. 3, che ha inserito nella stessa le parole «o la confisca prevista dall’articolo 322-ter cod. pen.”.
Ciò posto, dopo avere in particolare esaminato la doglianza sollevata dal ricorrente con la seconda parte del secondo motivo di ricorso, con la quale si sosteneva che la confisca per equivalente, in considerazione del suo carattere sanzionatorio, non può essere disposta nel caso in cui il processo venga definito con una sentenza di prescrizione, gli Ermellini ritenevano, pur prendendosi atto di come entrambi gli orientamenti giurisprudenziali in contrasto poggiassero su solidi fondamenti esegetici, come dovesse essere accolto in via interpretativa per il secondo indirizzo che, come appena visto poco prima, nega l’applicabilità dell’art. 578-bis cod. proc. pen., con particolare riguardo alla confisca per equivalente, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 6, comma 4, d.lgs. n. 21 del 2018 [o, per la confisca (di valore) prevista dall’art. 322-ter cod. pen., per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 4, lettera f) legge n. 3 del 2019].
Nel dettaglio, i giudici di piazza Cavour, dopo avere stabilito in cosa consiste la natura giuridica della confisca per equivalente (o di valore) (nel senso che tale confisca, oltre ad assolvere anche una funzione ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, o di riallineamento della situazione economica modificata a favore del beneficiario del vantaggio illecito derivante dalla commissione del reato, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile, risulta parametrata al profitto od al prezzo dell’illecito solo da un punto di vista “quantitativo” poiché l’oggetto della ablazione finisce per essere rappresentato direttamente da una porzione del patrimonio, il quale, in sé, non presenta alcun elemento di collegamento col reato, il che consente di declinare la funzione della misura in chiave marcatamente sanzionatoria), ritenevano come il primo indirizzo nomofilattico non potesse essere accolto in quanto i criteri ivi enunciati, a loro avviso, non consentivano affatto di affermare la natura esclusivamente processuale della disposizione in parola.
Si rilevava difatti a tal proposito che il fatto che una norma, collocata topograficamente nel codice di rito, non disciplini i requisiti tipici di una incriminazione, non vale ad escludere di per sé solo la natura sostanziale di essa e la sua sussunzione nell’area regolata dal principio di legalità in materia penale e di tutti i suoi corollari esplicitamente o implicitamente enunciati da norme costituzionali poste a presidio dei diritti fondamentali della persona (principalmente gli artt. 2, 3, 13, 25, 27, 101, 111 Cost.), tra cui il divieto di retroattività in peius delle norme penali.
Chiarito ciò, si osservava come la dottrina abbia tradizionalmente attribuito la natura di norme di diritto penale sostanziale, sia alle norme giuridiche che stabiliscono quali siano i reati e le pene, ma anche a quelle che disciplinano le cause che condizionano, escludono o modificano la punibilità, riservando all’area del diritto processuale penale le norme giuridiche aventi ad oggetto l’attività degli organi statali diretta all’accertamento dello ius puniendi ed evidenziando come, accanto a norme di chiara collocazione, ve ne siano altre, principalmente quelle che attengono al decorso del tempo, le quali potrebbero essere rilevanti tanto per il processo quanto per i rapporti di diritto materiale e per le quali si pone sovente un problema di “riconoscibilità“, fermo restando che lo statuto garantistico, che il diritto costituzionale (art. 25, secondo comma, Cost.) riserva alle norme penali sostanziali, ha portato la dottrina, anche recente, a ritenere che, se l’art. 25, secondo comma, Cost. stabilisce che la sanzione penale può essere applicata (“nessuno può essere punito …”)a chi abbia commesso un fatto di reato, sempre che una legge sia entrata in vigore anteriormente alla commissione del fatto stesso (“… se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”), ciò significa, per la Corte di legittimità, che tutte le norme che alla commissione di un fatto, qualificato come reato, riconnettono l’effetto della punizione sono “coperte” dalla garanzia della irretroattività.
Orbene, quanto appena esposto comporta, per le Sezioni Unite, che il divieto di retroattività delle leggi penali sfavorevoli ricomprende nel concetto di “punizione” e di “legge penale” tutte le norme che incidano negativamente sull’an, sul quantum e sul quomodo della punibilità, tanto più se si considera che la recente giurisprudenza costituzionale ha attribuito natura sostanziale a norme dell’ordinamento penitenziario e dell’ordinamento processuale ritenute, in passato, anche dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 24561 del 30/05/2006), assoggettate al principio del tempus regit actum, ed ha affermato, coniugando il principio di irretroattività delle norme penali in peius con quello di prevedibilità, che il divieto di retroattività mira ad assicurare al destinatario della norma una ragionevole prevedibilità delle conseguenze cui si esporrà trasgredendo il precetto penale per garantirgli, in linea generale, la certezza di libere scelte d’azione e per consentirgli, nell’ipotesi in cui sia instaurato un procedimento penale a suo carico, di compiere scelte difensive sulla base di ragionevoli ipotesi circa i concreti scenari sanzionatori a cui potrebbe andare incontro in caso di condanna (Corte cost., sent. n. 32 del 2021), tenuto conto altresì del fatto che, sulla scia della predetta decisione, la Corte costituzionale ha altresì posto in evidenza il principio (di carattere generale) in forza del quale «quando ad una fattispecie di rilievo processuale conseguono significativi effetti di natura sostanziale produttivi di conseguenze in malam partem i quali impediscono che la fattispecie estintiva della punibilità si realizzi, la disciplina deve ritenersi coperta dal divieto di retroattività a causa della sua valenza sostanziale, pur mediata dalla regola processuale, cosicché la previsione normativa ricade comunque nell’area di applicazione del principio di legalità (…)», ribadendo che una persona accusata di un reato deve poter conoscere ex ante (ossia al momento della commissione del fatto) la fattispecie di reato, l’entità della pena con proiezione, entro certi limiti, anche alle modalità della sua espiazione (Corte cost., sent. n. 140 del 2021).
Oltre a ciò, la Suprema Corte riteneva per di più come dovesse tenersi in considerazione anche il fascio di tutele convenzionali delineate dall’art. 7 CEDU, in stretta relazione all’ambito di applicabilità del principio di irretroattività in peius nella materia penale, all’interno della quale la confisca per equivalente è classificata dall’ordinamento nazionale e da quello sovranazionale.
Di conseguenza, siccome una delle ragioni poste a fondamento del divieto di retroattività della norma penale in peius risiede nell’esigenza di garantire al destinatario della norma una ragionevole prevedibilità circa le conseguenze cui si esporrà trasgredendo il precetto penale (le cosiddette libere scelte d’azione), per la Suprema Corte, il tempo in cui è realizzata la condotta vietata è centrale rispetto alle modifiche temporali del quadro esistente al momento del compimento delle scelte individuali.
Del resto, le Sezioni Unite hanno già da tempo affermato che, in tema di successione di leggi penali nel tempo, nel caso in cui l’evento del reato intervenga nella vigenza di una legge penale più sfavorevole rispetto a quella in vigore al momento in cui è stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta (Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018) richiamando, in coerenza con la ratio di garanzia del principio di irretroattività, l’art. 7, paragrafo 1, della CEDU, che sancisce il divieto di applicazione retroattiva delle norme penali incriminatrici e, in generale, delle norme penali più severe, in modo da assicurare, come ha precisato la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, nel momento in cui un imputato ha commesso l’atto che ha dato luogo
all’azione penale, esista una disposizione legale che renda l’atto punibile e che la pena imposta non abbia superato i limiti fissati da tale disposizione (Corte EDU, sentenza 22 giugno 2000, Coéme c. Belgio, § 145).
Parallelamente, anche il principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost. esige che, al momento del fatto commesso, il soggetto abbia non soltanto la necessaria conoscibilità del precetto, ma anche la conoscibilità e prevedibilità della sanzione penale prevista per la relativa violazione e, sotto tale profilo, appare allora utile, per la Cassazione, osservare come l’art. 7 CEDU appresti uno scudo per assicurare che la norma penale sia “accessibile” per il destinatario, anche sotto il profilo sanzionatorio e che le conseguenze della condotta siano assistite dal requisito della “prevedibilità” (Corte cost. sent. n. 364 del 1988) fermo restando che, pure dal canto suo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – così come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU – non consente l’applicazione retroattiva dell’interpretazione giurisprudenziale di una norma penale, allorquando il risultato interpretativo non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa (Sez. 2, n. 21596 del 18/02/2016; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013).
Nel caso in esame, è possibile quindi affermare, per i giudici di legittimità ordinaria, che, allorquando il ricorrente aveva posto in essere le condotte contestate, non fosse ragionevolmente prevedibile, al di fuori di una pronuncia di condanna in senso formale, l’applicazione di una sanzione penale, come la confisca per equivalente, nei casi in cui la legge penale ne avesse previsto l’irrogazione a seguito della realizzazione di un’infrazione penalmente rilevante.
Perciò, alla luce delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte EDU, si ricava, per la Corte, che, nel “fuoco della prevedibilità“, debbano farsi rientrare anche le conseguenze sanzionatorie della condotta in modo da garantire l’effettiva prevedibilità anche di esse al momento della commissione del fatto, senza che il legislatore, modificando la normativa, possa realizzare nei confronti del destinatario un effetto “a sorpresa” e, dunque, imprevedibile, in quanto ciò si porrebbe in contrasto con l’art. 7 CEDU e, quindi, con l’art. 117 Cost., e ciò anche in ragione del fatto che la prima garanzia per l’individuo, nell’ottica della Convenzione europea, consiste nell’esclusione della “sorpresa” e richiede invece la “prevedibilità” del limite posto dallo Stato al godimento di un diritto o all’esercizio di una libertà dell’individuo sicché, in tale ottica, la “sorpresa“, per le Sezioni Unite, è essa stessa costitutiva di abuso.
Orbene, da ciò si giungeva alla conclusione secondo cui, da un lato, un obbligo per lo Stato di una preventiva e adeguata informazione sui precetti da osservare nonché su tutte le conseguenze sanzionatorie che derivano dalla loro violazione e, dall’altro, il diritto dei cittadini di accedere e calcolare in un preciso arco temporale, ossia al momento in cui è posta in essere la condotta, se e quale comportamento tenere, avendo essi il diritto a non essere sorpresi ex post da estensioni interpretative o da mutamenti dello stato di fatto non conoscibili e, dunque, non prevedibili ex ante, fermo restando che la Corte EDU ha poi precisato che le norme in materia di retroattività, contenute nell’art. 7 della Convenzione, si applicano soltanto alle disposizioni che definiscono i reati e le pene che li puniscono, con la precisazione che, quando una disposizione che il diritto interno definisce processuale ha un’influenza sulla severità della pena da infliggere, per la Corte EDU tale disposizione deve essere qualificata come «diritto penale materiale», a cui è applicabile l’ultimo capoverso dell’articolo 7 § 1 (Scoppola c. Italia (n. 2), § 110-113, in tema di applicazione di una disposizione del codice di procedura penale relativa alla severità della pena da infliggere quando il processo si sia svolto secondo il rito abbreviato).
Gli approdi cui era giunta la dottrina e l’esame della recente giurisprudenza costituzionale e convenzionale in materia restituiscono, pertanto, per la Corte di legittimità, un quadro alla luce del quale, rispetto allo ius superveniens e all’operatività del principio di irretroattività, occorre avere riguardo all’intera disciplina «in forza» della quale si è o non si è «puniti» e tutto ciò porta, dunque, a superare una visione tutta incentrata sul momento statico, pure importante, dell’incriminazione, incapace tuttavia di “leggere” le nuove forme di penalità e le questioni, che si agitano nel diritto vivente, sulla modifica della natura della pena, tradizionalmente intesa, e sul conseguente “ampliamento” del concetto di sanzione.
Pertanto, per il Supremo Consesso, una prima conclusione può trarsi, ossia che la natura anche di diritto sostanziale dell’art. 578-bis cod. proc. pen. rende inapplicabile la disposizione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge che tale disposizione ha introdotto e deve, quindi, ritenersi che la disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., abbia natura mista (processuale e sostanziale), come sostenuto dal secondo indirizzo giurisprudenziale che, sulla base anche della natura sostanziale della disposizione de qua, ha ritenuto applicabile ad essa sia il regime garantistico apprestato sia dall’art. 25, secondo comma, Cost. che quello convenzionale apprestato dall’art. 7 CEDU con particolare riferimento al divieto di retroattività in materia penale.
Ebbene, alla stregua di tali considerazioni giuridiche, le Sezioni Unite traevano le conclusioni definitive per la soluzione del quesito rimesso, ritenendo necessario evidenziare come le sentenze, che sostengono il primo orientamento, non prendano in considerazione il fatto che l’art. 578-bis cod. proc. pen. – consentendo al giudice dell’impugnazione, allorquando è stata ordinata la confisca per equivalente, di decidere, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione  per amnistia, ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato – non sia una norma meramente ricognitiva di un principio esistente nell’ordinamento, sebbene non codificato, ma sia una norma che ha natura costitutiva in parte qua, perché attributiva del potere, in precedenza precluso al giudice, di mantenere in vita una pena (la confisca per equivalente) che, anteriormente all’introduzione dell’articolo 578-bis cod. proc. pen., non poteva, secondo il diritto vivente, in alcun modo essere applicata nel caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
Dunque, la natura pienamente costitutiva della disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., ad avviso del Supremo Consesso, esclude che la confisca di valore possa essere retroattivamente applicata a fatti commessi quando, nel caso di estinzione del reato, tale misura non era in alcun modo adottabile nei confronti dell’autore del reato, quand’anche ne fosse stata accertata la responsabilità penale fermo restando che un tale principio valeva per la confisca in forma diretta, ma non anche per la confisca di valore, la quale, per essere applicata, nei giudizi di merito, esige che sia stata emessa una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (come per la confisca nei reati tributari ex art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000) e che, per essere mantenuta nei giudizi di impugnazione, richiede che una espressa disposizione di legge (l’art. 578-bis cod. proc. pen. appunto) ne consenta il mantenimento e che rimanga inalterato il giudizio di responsabilità penale.
In conclusione, la questione posta dall’ordinanza di rimessione veniva risolta attraverso l’enunciazione del seguente principio di diritto: «La disposizione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale ed è, pertanto, inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, che ha introdotto la suddetta disposizione».

4. Conclusioni

Con la decisione in esame le Sezioni Unite, dopo un lungo e articolato ragionamento giuridico, hanno postulato il principio di diritto secondo cui la disposizione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale ed è, pertanto, inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, che ha introdotto la suddetta disposizione.
Pertanto, per effetto di questo arresto giurisprudenziale, la disposizione succitata, in relazione alla confisca equivalente o qualsivoglia confisca che sia connotata da una componente afflittiva, non può trovare applicazione prima dell’entrata in vigore dell’art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ossia la disposizione legislativa che ha introdotto la suddetta statuizione normativa.
Ove invece si sia verificata una situazione temporale di questo genere, ben si potrà impugnare il provvedimento con cui è stata disposta la confisca, nei modi e nelle forme previste dal codice di rito penale.
Ad ogni modo il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

Volume consigliato

FORMATO CARTACEO

Sequestri e confische

Aggiornata alla recente giurisprudenza, l’opera affronta le diverse misure di contrasto alla ricchezza illecita, con un taglio pratico-operativo utile al Professionista per comprendere l’ambito di applicazione dei sequestri e delle varie tipologie di confisca, tra cui quella disposta nell’ambito della criminalità organizzata di stampo mafioso.Una trattazione dettagliata è dedicata alle molteplici ipotesi di sequestro disciplinate dal codice di procedura penale, nell’ambito della quale si analizza la disciplina delle misure cautelari reali e del sequestro probatorio con riferimento sia ai profili sostanziali che a quelli processuali.Oggetto di un’ampia e articolata disamina è, poi, l’ipotesi classica di confisca, con riferimento alla quale si analizzano la confisca facoltativa e la confisca obbligatoria e si illustrano le problematiche relative all’applicazione di tale forma di ablazione nel procedimento di applicazione della pena concordata dalle parti (patteggiamento).Dalla fattispecie tradizionale di confisca si procede all’esame delle singole ipotesi di confisca speciale, analizzandone le criticità applicative e i possibili rimedi; il lavoro si conclude con un’approfondita analisi delle misure di prevenzione patrimoniali.L’intera opera si completa con la trattazione dei profili processuali, legati all’iter di applicazione della misura e ai mezzi di impugnazione.Luigi CaprielloAvvocato presso il foro di Reggio Calabria.

Luigi Capriello | Maggioli Editore 2020

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento