Dati digitali e Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND)

Redazione 12/12/22
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A cura di Antonio Maesano

Dati digitali come strumento di e-government per la pubblica amministrazione: l’introduzione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati nell’ordinamento italiano.

Indice

1. E-government, dati e processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione: lo stato dell’arte

Secondo la Comunicazione del 26 settembre 2003 della Commissione Europea, per e-government si deve intendere “l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, coniugato a modifiche organizzative ed all’acquisizione di nuove competenze al fine di migliorare i servizi pubblici ed i processi democratici e di rafforzare il sostegno alle politiche pubbliche”. E’ di tutta evidenza come il processo volto a rafforzare forme di e-government nell’ordinamento italiano sia da anni fortemente promosso, sebbene non con i risultati sperati. Per la realizzazione di forme di e-government è necessaria la preventiva realizzazione di un altro processo, quello di digitalizzazione. Volendo definire il processo di digitalizzazione risulta imprescindibile citare il testo giuridico per eccellenza in materia che è il CAD, codice dell’amministrazione digitale, adottato con il d.lgs. 82/2005, il cui art. 12 prevede che “Le pubbliche amministrazioni nell’organizzare  autonomamente  la propria attività  utilizzano le tecnologie dell’informazione e  della comunicazione per la realizzazione  degli  obiettivi  di  efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza,  semplificazione e partecipazione nel rispetto dei principi di uguaglianza  e  di  non discriminazione, nonché per l’effettivo riconoscimento  dei  diritti dei  cittadini  e  delle  imprese  di  cui  al  presente  Codice   in conformità  agli  obiettivi  indicati  nel   Piano   triennale   per l’informatica nella  pubblica  amministrazione  di  cui  all’articolo 14-bis, comma 2, lettera b)”.  Pertanto, è possibile definire la digitalizzazione come quel processo di adozione di strumenti ICT Information and Comunication Technologies – che permettono alla p.a. di agire in conformità di una serie di principi, tanto costituzionali quanto di rilevanza costituzionale, che di fatto consentono la piena ed effettiva realizzazione dell’art. 97 della Costituzione.
Siffatto processo coinvolge non soltanto lo Stato e gli enti pubblici, ma la popolazione interamente intesa: infatti, affinché il processo di digitalizzazione possa sortire l’effetto sperato, non è sufficiente che  solo la pubblica amministrazione rafforzi l’uso delle tecnologie nella sua azione, ma è altresì necessario che anche il cittadino, nella duplice veste di fruitore del servizio e soggetto cooperante nell’attività amministrativa, sia capace di usare le tecnologie suddette. Purtroppo, su entrambi i fronti  l’Italia non si dimostra pronta, come evidenziano i dati DESI (Digital Economy and Society Index) relativi agli ultimi cinque anni.
Le ragioni dei dati appena menzionati sono sicuramente molteplici: è innegabile che una spinta  importante alla crescita in materia di informatizzazione e digitalizzazione generale sia stata data crisi pandemica, che ha portato ad un rafforzamento ed ad una maggiore diffusione del digitale in materia negoziale e di lavoro[1]. Tuttavia, lo stesso tasso di sviluppo non si registra dal punto di vista dell’azione amministrativa e dei pubblici servizi, in cui l’Italia fa fatica a crescere. Il problema in questione è stato oggetto di numerosi studi che hanno cercato di scoprire le cause che ne costituiscono la ragione più profonda. Da un lato la carenza di infrastrutture dal punto di vista tecnico comporta l’impossibilità concreta che la digitalizzazione diventi un fenomeno generalizzato e che possa avere un effetto di cambiamento sostanziale(Schneider E., 2020). Guardando il fenomeno dal lato opposto, la mancanza di abilità e conoscenze informatiche nella popolazione residente in Italia ha sempre condotto lo Stato Italiano a forme di ritrosia nell’adozione di modelli digital-only, consentendo così, attraverso doppi canali di azione o attraverso lo strumento della deroga, il proliferare di forme alternative di azione amministrativa. [2]
Va tuttavia rilevato che la problematica appena evidenziata si collega ad un’ulteriore questione, spesso non centrale nell’analisi degli studiosi in materia di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche, che è quella della scarsa presenza di personale specialistico in informatica nella pubblica amministrazione. Infatti, se la mancanza di competenze informatiche nel pubblico impiego è ormai oggetto di ampi studi[3], ciò che risulta meno vagliato, ma che, ad opinione di chi scrive, importa un reale deficit per l’attuazione di una rivoluzione dei servizi digitali amministrativi, è la carenza di tecnici negli apparati burocratici degli enti statati. A partire dalla seconda metà del novecento, infatti, la pubblica amministrazione ha registrato un forte depauperamento delle aree tecniche, sempre più ridotte se non addirittura eliminate e sostituite attraverso il ricorso all’esternalizzazione dei servizi. Pertanto appare opportuno non solo formare il personale in forza all’amministrazione in senso digitale, ma creare all’interno delle singole pubbliche amministrazioni strutture idonee a progettare, ad eseguire e a gestire piattaforme e strumenti digitali.

2. Transizione digitale, PNRR e Piano Triennale per l’Informatica della Pubblica Amministrazione

Non potendo per ragioni di brevità fornire un’analisi approfondita del processo di digitalizzazione  della pubblica amministrazione in chiave storica, il presente contributo intende soffermarsi su un recentissimo strumento che, sebbene non si occupi univocamente della transizione digitale della pubblica amministrazione, fa di questa uno dei propri capisaldi: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). E’ infatti attraverso il predetto piano che si è pervenuti ad uno stanziamento massiccio di risorse volto alla creazione e messa in opera della Piattaforma Digitale Nazionale Dati, ormai prevista da oltre un quinquennio e mai effettivamente realizzata. Il PNRR nasce per far fronte ad un’esigenza che prende le mosse dalla crisi pandemica: quest’ultima, infatti, è stata capace di colpire le economie di tutti i paesi europei e del resto del mondo, e, soprattutto l’economia italiana. Come è tristemente noto dalle cronache, l’Italia è stata danneggiata per prima e più duramente dalla crisi sanitaria anche in ragione del fatto che trattasi di un paese fragile dal punto di vista economico, sociale, lavorativo e ambientale. Per far fronte all’emergenza scatenata in grande parte dalla crisi pandemica in tutti gli stati europei, l’Unione Europea ha previsto il Next Generation EU (NGEU), un programma in chiave intergenerazionale che istituisce una serie di investimenti e di riforme in materia ambientale, economica, lavorativa e sociale. Per dare concreta forma ed attuazione alle previsioni del NGEU, l’Italia ha previsto un pacchetto di investimenti e di riforme che prende il nome di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Tra le sei missioni in cui si divide il Piano, spicca, sia in termini di centralità che di stanziamenti, quella della digitalizzazione che ha come destinatari una serie variegata di soggetti tra cui anche la pubblica amministrazione: è chiaro dunque, che l’Italia, cogliendo un’occasione che si potrebbe definire unica, abbia espresso la concreta volontà di realizzare una serie di riforme strutturali volte al superamento di quello stato di “soggezione digitale” che da sempre ha rivestito nel confronto agli altri stati dell’Unione Europea.
Per dare concreta attuazione alla programmazione europea in materia, è necessario che i Piani nazionali attuativi delle riforme previste dal NGEU prevedano che almeno il 20% delle risorse  sia destinato alla transizione digitale. I due assi principali attraverso cui procedere alla transizione digitale sono: la razionalizzazione della pubblica amministrazione e la sua digitalizzazione e lo sviluppo dei servizi pubblici digitali. Per raggiungere i predetti obiettivi l’Italia ha deciso di seguire due principi fondamentali,  quello del “cloud first” e del “once only”, entrambi applicabili, come si vedrà, alla Piattaforma Digitale Nazionale Dati.
Inserito tra i principi guida del Piano Triennale per l’Informatica della Pubblica Amministrazione 2020-22[4] e ancora prima nel Piano 2019-21, il principio del “cloud first” (cloud come prima opzione o cloud innanzitutto) è il principio in forza del quale  “le pubbliche amministrazioni, in fase di definizione di un nuovo progetto e di sviluppo di nuovi servizi, adottano primariamente il paradigma cloud, tenendo conto della necessità di prevenire il rischio di lock-in[5]”. In buona sostanza, la Pubblica Amministrazione nel suo agire deve effettuare una valutazione prioritaria sulla possibilità di erogare i propri servizi in modalità cloud, nelle varie forme IaaS, PaaS e SaaS[6], preferendo, ove possibile, quest’ultima[7]. Le ragioni della centralità del principio del “cloud first” vanno ritrovate nella volontà di modernizzazione della pubblica amministrazione italiana, di miglioramento della sicurezza e dell’affidabilità dei servizi IT.
Più risalente nel tempo risulta la previsione del principio del once only, di cui già si fa menzione nel Piano Triennale per l’Informatica della Pubblica Amministrazione 2017-19. In base all’esaminando principio “le Pubbliche amministrazioni devono evitare di chiedere ai cittadini e alle imprese informazioni già fornite. Sono poi le Pubbliche amministrazioni a condividere tali dati tra i propri uffici, in modo da non caricare cittadini e imprese di gravami aggiuntivi”. E’ di tutta evidenza, quindi, come il principio di once only risponda ad esigenze di semplificazione e razionalizzazione dell’attività amministrativa e sia volto al perseguimento dei principi di efficienza, efficacia ed economicità che devono insegnare l’operato della p.a. nel perseguimento del buon andamento e dell’imparzialità previsti dall’art. 97 della Costituzione.

3. Il principio di interoperabilità e la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND)

I due principi appena analizzati trovano perfetta rispondenza in uno degli strumenti che è ormai da anni presente nelle principali riforme in materia di digitalizzazione della p.a.: la Piattaforma Digitale Nazionale Dati. Prevista già dall’art. 50ter CAD, così come introdotto dal d.lgs. 217/2017, la Piattaforma risponde alla triplice esigenza di gestione in cloud dei big data e delle attività amministrative, di rispetto del principio del once only e infine garantisce la massima interoperabilità tra pubbliche amministrazioni, i cittadini e le imprese. L’obiettivo per cui si intende realizzare la PDND è apertamente esposto dal primo comma dell’art. 50ter, in forza del quale la Piattaforma è “finalizzata a favorire la conoscenza e l’utilizzo  del  patrimonio  informativo  detenuto,   per   finalità istituzionali, dai soggetti di cui all’articolo 2, comma  2,  nonché la condivisione  dei  dati  tra  i  soggetti  che  hanno  diritto  ad accedervi  ai  fini  dell’attuazione   dell’articolo   50   e   della semplificazione degli  adempimenti  amministrativi  dei  cittadini  e delle imprese,[…]”.
Concretamente la PDND si configura come un’infrastruttura che rende possibile tanto l’interoperabilità dei sistemi informativi quanto delle basi dati propri di p.a. e gestori di pubblici servizi. L’accesso al sistema è possibile attraverso l’accreditamento, l’identificazione e la gestione dei livelli di autorizzazione. Per un corretto funzionamento della Piattaforma, l’art. 50ter commi 2bis e 5 prevede un obbligo per i soggetti abilitati di rendere disponibili e accessibili le proprie basi dati, pena la responsabilità dei dirigenti competenti. La condivisione dei dati, fondamentale, dunque, per il proficuo funzionamento della PDND, avviene mediante interfacce di programmazione delle applicazioni (API)[8]. Quanto detto è quanto si evince relativamente al funzionamento della PDND così come positivizzata dall’art. 50ter CAD.: nonostante l’innegabile specializzazione tecnica della norma in esame –  specializzazione che, come già evidenziato, informa l’intero d.lgs. 82/2005 – è stato necessario prevedere un completamento operativo di questa attraverso il ricorso alle Linee Guida dell’AgiD [9].

4. PNRR e PDND: stato di attuazione

La realizzazione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati, a fronte degli insuccessi registrati negli anni, è stata affidata, da ultimo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, approvato dalla Commissione Europea il 22 aprile 2021. Questo destina ben 556 milioni alla realizzazione, affidandola, attraverso un’apposita convenzione, a PagoPA S.p.A.
Ciò che appare interessante, a più di un anno dall’operatività del PNRR, è lo stato di attuazione dell’intervento. Andando tuttavia a guardare alle prime previsioni programmatiche relative alla realizzazione della Piattaforma di interoperabilità dei dati, è il Piano Triennale per l’Informatica delle P.A. 2017-19 a prevedere il primo traguardo, ossia quello della realizzazione della PDND entro dicembre 2020. Inutile sottolineare come il risultato non sia stato neppure lontanamente raggiunto, allo stesso modo di quelli fissati dal successivo Piano Triennale, vale a dire il rilascio della piattaforma entro il 2020 e la pubblicazione dei primi report operativi già al primo trimestre del 2021. Possiamo quindi dire che, il PNRR parte già con un ingente ritardo accumulato dalle precedenti riforme.
Qual è, ad oggi, lo stato di realizzazione del PNRR con riferimento alla Piattaforma Digitale Nazionale Dati? I dati principali possono essere desunti dalle due relazioni del Governo al Parlamento sullo stato di attuazione del PNRR. Con riferimento allo stanziamento relativo ai dati e all’interoperabilità, prevede la Prima Relazione che entro la fine del 2021 dovrebbe prendere avvio la sperimentazione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati che coinvolgerebbe le amministrazioni pilota, essendo state già pubblicate le Linee Guida dell’AgiD e essendo già operativa una forma rudimentale dell’infrastruttura[10].
Con riferimento a questo primo obiettivo, si registra il primo, e forse inevitabile, ritardo. La sperimentazione di cui si è detto, la cui durata è stata fissata in 90 giorni, ha preso avvio nei mesi di giugno- settembre 2022, coinvolgendo un serie limitata di enti pubblici suddivisi tra fruitori (es. Regione Emilia-Romagna, Comune di Torino, MIMS) e erogatori (es. AdE, INPS).
Di segno differente appaiono i dati esposti nella seconda Relazione del Governo al Parlamento sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Al netto del raggiungimento degli obiettivi prefissati, che hanno permesso all’Italia di ottenere ulteriori rate da parte dell’Unione Europea per il finanziamento del PNRR, si legge che è stato realizzato nel periodo di riferimento un prototipo in uso già ad alcune amministrazioni per fini sperimentativi, che sono state approvate le linee guida per l’interoperabilità dei sistemi informativi e sono stati stipulati accordi con il CNR e l’ISTAT per la realizzazione di un catalogo nazionale dei dati. E’ evidente, dunque, che il processo che porterà all’operatività della PDND all’interno dell’ordinamento italiano stia procedendo, seppur con un certo ritardo, non interamente attribuibile al PNRR. Programmaticamente, poi, prevede la seconda Relazione, il rilascio della Piattaforma entro il mese di novembre 2022[11].
Conformemente a quanto previsto, è recentissima la notizia del rilascio della Piattaforma Digitale Nazionale Dati. Dal 21 ottobre 2022, in anticipo rispetto alle previsioni, è attiva la PDND: contestualmente il Governo ha previsto la pubblicazione di un primo avviso da 110 milioni di euro attraverso cui è data la possibilità a tutti i Comuni italiani di aderire alla Piattaforma ricevendo un voucher economico calcolato sulla base della grandezza degli stessi in termini di popolazione. Stupisce il coinvolgimento dell’amministrazioni comunali nel primo lancio della PDND, considerato che queste non erano previste in sede di progettazione: tuttavia la scelta, ad opinione di chi scrive, appare felice, tenuto conto che i Comuni sono tra le amministrazioni pubbliche quelle che detengono ed utilizzano un ingente quantitativo di dati, essendo a capo dei servizi di anagrafe. Non solo, trattasi anche delle amministrazioni maggiormente chiamate ad erogare beni e servizi pubblici, essendo legate al cittadino da un’innegabile prossimità che impone di rendere la maggior parte dei servizi alla luce del principio di sussidiarietà verticale di cui all’art. 118 della Costituzione[12].

5. Conclusioni

Essendo operativa da poco più di qualche giorno e avendo aderito all’avviso pubblicato un numero ridotto di Comuni, sarà necessario attendere le prime messe in opera per comprendere effettivamente il funzionamento della Piattaforma Digitale Nazionale Dati. Tuttavia, è possibile comunque analizzare i dati raccolti e fin qui riassunti in merito al processo di digitalizzazione della p.a. italiana nell’ottica della creazione di un e-goverment, che si realizza anche attraverso la creazione di sistemi di interoperabilità come la PDND. E’ infatti innegabile che negli ultimi due anni ci sia stato un grande processo di accelerazione in senso digitale da parte dell’Italia, reso possibile grazie al PNRR, che ha visto l’Italia protagonista in termini di quantità di risorse erogate. E’ altresì innegabile, però, che il progresso in tema di digitalizzazione ha inizio, seppur lentamente, qualche anno prima rispetto all’operatività del PNRR, come hanno dimostrato i dati DESI 2019.
Con riferimento alla PDND, è di tutta evidenza come il PNRR sia stato il vero e proprio punto di svolta per la realizzazione, che fino all’entrata in vigore di questo risultava essere in stand-by nonostante una previsione di legge risalente al 2017. Ci si auspica che l’accelerazione data alla realizzazione di questo importante progetto si trasformi in costanza, in modo tale che possano dirsi realizzati i principi del cloud first e del once only, il quale ultimo si stima che permetterà un risparmio di spesa di circa cinque miliardi all’anno per i paesi membri dell’UE[13]. Sono evidenti, poi, non solo i vantaggi in termini di spesa pubblica, ma anche i vantaggi per i cittadini, in termini di qualità dei servizi ricevuti da parte della pubblica amministrazione e per quest’ultima, in termini di efficienza, efficacia, sicurezza, trasparenza ed economicità della propria azione. A fronte, però, dei summenzionati vantaggi che l’implementazione e l’operatività della PDND porterà, non possono tacersi altrettanti dubbi emersi dallo studio dello strumento.
Il primo dubbio riguarda la concreta diffusione della Piattaforma tra le pubbliche amministrazioni: da sempre, infatti, si registra una certa ritrosia da parte delle amministrazioni pubbliche al cambiamento, specie se in senso digitale. Come evidenziato supra, le ragioni sono molteplici: dall’assenza o scarsa efficacia di metodi e forme di accompagnamento graduale, alla carenza di tecnici idonei a supportare gli apparati più strettamente amministrativi fino ad arrivare alle questioni relative all’età media dei dipendenti pubblici, particolarmente elevata e quindi poco incline al cambiamento informatico.  Chi scrive concorda, poi, con chi ritiene che una scarsa diffusione, al netto degli obblighi di legge, potrebbe essere dovuta al timore delle amministrazioni rispetto al periodo di adeguamento al nuovo sistema, che comporta ingenti costi sia in termini di formazione del personale che di output[14].
Ancora, non appare confortante il dato testuale dell’art. 50ter CAD nel momento in cui prescrive che siano le pubbliche amministrazioni, accreditate alla piattaforma, a sviluppare le interfacce per garantire il funzionamento della stessa. Infatti, la delega alle singole amministrazioni di un compito così altamente specialistico appare del tutto distopico, tenuto conto che, accanto ad enti pubblici che sarebbero capaci – attraverso il ricorso a specifici apparati tecnici interni – di realizzare quanto in parola, esistono una serie molto ampia di piccole amministrazioni assolutamente sfornite di risorse strumentali e umane idonee in questo senso[15].
Rimanendo in tema di risorse umane, suscita qualche perplessità anche il tipo di formazione che debba avere il soggetto adibito ad operare concretamente sulla Piattaforma, considerato che potrebbe trovarsi ad estrapolare dati a cui non è capace di dare la corretta interpretazione. Si pensi ad esempio ad una pubblica amministrazione che, all’atto di assunzione di un dipendente, estrapoli il casellario giudiziario di questi direttamente dalla Piattaforma.
Da ultimo, suscita qualche perplessità anche l’attuale impostazione di funzionamento della Piattaforma, reso parzialmente noto all’atto del rilascio. E’ previsto un passaggio autorizzativo che appare del tutto sovrabbondante: è stabilito, infatti, che al momento della necessità di un da to, l’ente fruitore debba, nella quasi totalità dei casi, mandarne richiesta all’ente erogatore, motivandone le finalità[16]. Soltanto qualora quest’ultimo ritenga le finalità opportune e legittime, permetterà l’accesso al dato con un atto autorizzativo. Il passaggio in esame appare del tutto superfluo e capace di rallentare pesantemente l’operato della pubblica amministrazione, andando contro alle stesse ragioni di economia operativa che spingono all’adozione della PDND. Si ritiene, pertanto, che sarebbe più opportuno rendere aprioristicamente disponibili i dati a tutte le p.a., eventualmente prevedendo strumenti di tracciabilità che rendano possibile risalire alle movimentazioni di accesso ai dati.

  1. [1]

    Canonico, P., Tomo, A., Hinna, A., Giusino, L., (Cur.) (2021) La digitalizzazione nella Pubblica Amministrazione, Egea.
    [2] A tal proposito si pensi a tutte le deroghe introdotte dal legislatore col fine specifico di permettere tanto alla pubblica amministrazione quanto ai cittadini e alle imprese di adeguarsi tecnicamente alle intervenute novità in materia digitale. Emblematico, in questo senso appare il caso relativo all’obbligo per i prestatori di  servizi  di  pagamento abilitati di utilizzare esclusivamente la piattaforma digitale prevista dall’art. 2 del d.lgs. 82/2005: l’obbligo, inizialmente previsto dalla normativa a decorrere dal 1 gennaio 2019, con una serie di aggiornamenti normativi, è stato fatto slittare fino al 28 febbraio 2021.
    [3] Banca d’Italia, (2022), L’informatizzazione nelle Amministrazioni Locali.
    [4] Sul tema si veda https://www.diritto.it/il-piano-triennale-per-linformatica-2020-2022-la-trasformazione-digitale-della-pubblica-amministrazione/ .
    [5] Piano Triennale per l’Informatica della Pubblica Amministrazione 2020- 22, p. 8.
    [6] IaaS, PaaS e SaaS sono le tre tipologie principali di cloud computing che si diversificano tra loro per il differente grado di gestione lasciato all’utente.
    [7] Già nel Piano Triennale per l’Informatica della Pubblica Amministrazione 2019-21 il principio del “cloud first” è stato declinato in senso “SaaS first” considerato che questa tipologia di cloud permette di ridurre il più possibile l’overhead tecnico e amministrativo delle p.a. dovuto alla gestione di servizi IT che richiedono competenze tecniche specialistiche che, come si è visto supra, non sono attualmente in possesso agli enti statali.
    [8] Le API (Application Program Interface) sono degli intermediari software che, agendo da ponte, permettono a due applicazioni di comunicare tra loro.
    [9] Linee Guida sull’infrastruttura tecnologica della Piattaforma Digitale Nazionale Dati per l’interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati” del 10.12.2021.
    [10] Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, 23 dicembre 2021.
    [11] Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, 5 ottobre 2022.
    [12] Sul tema della PDND e dell’Intelligenza artificiale nelle amministrazioni comunali si veda https://www.diritto.it/lintelligenza-artificiale-al-servizio-della-pubblica-amministrazione-2-0/ .
    [13] European Commission, (2017) EU-wide digital Once-Only Principle for citizens and businesses – Policy options and their impacts, Directorate-General of Communications Networks, Content & Technology.
    [14] Santulli, A., (2021),  Lo “Stato digitale” pubblico e privato nelle infrastrutture digitali nazionali strategiche, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, Giuffrè editore.
    [15] Si pensi, in tal senso, a piccoli Comuni o alle Istituzioni Scolastiche.
    [16] Il dato è stato reso noto al webinar sul funzionamento della PDND realizzato il 25 ottobre 2022 dall’ANCI in collaborazione con il Dipartimento per la trasformazione digitale della PDCM.

A cura di Antonio Maesano

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