La Corte suprema americana conferma gli ordini esecutivi di Trump

La Corte Suprema USA rafforza l’immunità presidenziale e gli ordini esecutivi di Trump: riflessioni sull’equilibrio tra poteri e i principi costituzionali.

A pochi mesi dalle elezioni presidenziali l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump risultava imputato in quattro procedimenti penali relativi rispettivamente il primo all’incitamento all’insurrezione nell’assalto al Palazzo del Congresso del 6 gennaio 2021 divenuto oggetto della procedura di impeachment conclusosi con l’archiviazione, il secondo alla frode alle banche e compagnie di assicurazione per aver sopra stimato il valore di numerose azioni, il terzo legato ai documenti riservati sottratti alla Casa Bianca e conservati nella villa di Trump di Mar-a-Lago, Florida, per il quale è stato assolto e il quarto riguardava i pagamenti alla pornostar Stormy Daniels nel quale in data 31 maggio 2024 è stato ritenuto colpevole per tutti i 34 capi di imputazione. Successivamente il 10 gennaio 2025 lo stesso è stato ufficialmente condannato, ma non è stata irrogata alcuna pena in virtù dell’elezione del reo a presidente e dei principi definiti con la cosiddetta “clausola di supremazia” e l’immunità presidenziale, e dell’unconditional discharge che non comporta alcuna sanzione né pecuniaria né detentiva. Già in data 1° luglio 2024, tuttavia, era intervenuta la decisione della Corte Suprema di concedere all’ex presidente un’immunità parziale in relazione al citato assalto a Capitol Hill, provvedimento che ha spianato la strada a Trump verso la Casa Bianca nelle elezioni del 5 novembre 2024. Una volta eletto, la Corte Suprema in data 27 giugno 2025 ha stabilito il principio che le corti federali non possono mettere nel nulla gli ordini esecutivi del presidente, infliggendo così un vulnus alla democrazia statunitense e svilendo il ruolo di autonomia della magistratura. Nel contempo la decisione della Corte ha messo seriamente in dubbio l’efficacia del sistema di pesi e contrappesi (checks and balances) previsto dalla Costituzione statunitense.

Indice

1. La sentenza della Corte Suprema in data 1° luglio 2024


Appare opportuno preliminarmente analizzare i compiti attribuiti alla Corte Suprema dalla Costituzione statunitense per valutare compiutamente il significato delle decisioni in esame. [1]
La Corte suprema degli Stati Uniti d’America (abbreviato SCOTUS, Supreme Court of the United States) è la più alta corte della magistratura federale. Essa ha ampia giurisdizione di appello di ultima istanza su tutti i casi di tribunali federali, come nel caso in esame, e possiede giurisdizione su una ristretta gamma di fattispecie, in particolare “tutti i casi che riguardano ambasciatori, altri ministri e consoli pubblici e quelli in cui uno Stato è parte”[2]. Istituita dall’Articolo III della Costituzione degli Stati Uniti la Corte è composta dal presidente e otto giudici associati. Ogni Giudice ha un mandato a vita, il che significa che continua il suo ufficio fino a quando muore, si dimette o viene rimosso dall’incarico (during good behavior, durante la buona condotta). Quando un posto è vacante, il presidente degli Stati Uniti, con il consenso del Senato, nomina un nuovo Giudice; nell’attuale composizione ben tre giudici sono stati nominati dal Presidente Trump. [3]
L’Articolo II della Costituzione degli Stati Uniti conferisce, poi, al Presidente degli Stati Uniti il potere di proporre e, con il consenso confermativo del Senato, di nominare funzionari pubblici, compresi i giudici della Corte suprema. Questa disposizione è un esempio del principio democratico fondamentale dei pesi e contrappesi (checks and balances) concernente la Costituzione americana. Il presidente ha il potere di proporre, mentre il Senato possiede il poter di respingere o confermare il candidato. Tuttavia, si ritiene che il consesso in questione non abbia quell’inderogabile carattere di terzietà presente in molti sistemi giudiziari di civil law.
Si osserva preliminarmente che Trump risultava indagato in quattro procedimenti penali relativi rispettivamente il primo relativo all’incitamento all’insurrezione nell’assalto al Palazzo del Congresso del 6 gennaio 2021 divenuto oggetto della procedura di impeachment conclusosi con l’assoluzione, il secondo relativo alla frode alle banche e compagnie di assicurazione per aver sopra stimato il valore di numerose azioni, il terzo legato ai documenti riservati sottratti alla Casa Bianca e conservati nella villa di Trump di Mar-a-Lago, Florida, per il quale è stato assolto e il quarto riguardante i pagamenti alla pornostar Stormy Daniels.
Nel merito, si rappresenta che, con sentenza in data 1° luglio 2024, la Corte Suprema americana ha riformato una decisione di una corte d’appello federale che a febbraio 2024 aveva stabilito che l’ex Presidente Trump non dovesse godere dell’immunità per via dei presunti crimini commessi durante la sua presidenza, nel tentativo di annullare i risultati delle elezioni presidenziali americane del 2020 vinte da Joe Biden.
La Corte ha quindi deciso di concedere una parziale immunità presidenziale a Trump nel processo che lo vede imputato per l’aggressione al Congresso da parte dei suoi sostenitori dopo la sconfitta subita alle elezioni presidenziali del novembre 2020. Tuttavia l’immunità riconosciuta è parziale perché è valida solo per gli atti ufficiali (official), ossia le azioni adottate in base ai poteri costituzionali attribuiti al Presidente. Pertanto, Trump non può godere di alcuna immunità per le azioni compiute come cittadino, candidato, leader di partito o comunque compiute al di fuori dell’esercizio delle prerogative presidenziali [4].
È la prima volta dalla fondazione della nazione nel XVIII secolo che la Corte suprema dichiara che gli ex presidenti in alcuni casi possono essere protetti da accuse penali. Tuttavia, il presidente della Corte Suprema John G. Roberts Jr. durante la lettura del dispositivo ha specificato in modo chiaro come “nonostante la concessione dell’immunità, il presidente non è al di sopra della legge”.
La decisione della Corte Suprema ha dunque consentito formalmente al processo di proseguire, ma si sono verificati ulteriori rallentamenti in quanto nel corso del dibattimento dovranno essere distinti, di volta in volta, gli atti ufficiali da quelli privati. Quindi il processo penale che vede imputato l’ex presidente per il ruolo avuto nell’assalto a Capitol Hill essendo stato Trump rieletto alla Casa Bianca è stato sospeso definitivamente insieme agli altri procedimenti penali in corso.
Si ritiene che la decisione della Corte Suprema, nonostante sia stata adottata da un collegio giudicante in maggioranza nominato da Presidenti del partito repubblicano, non può ritenersi, alla luce di un’analisi comparatistica, un monstrum giuridico. Infatti, molte Costituzioni continuano a proclamare il tradizionale principio monarchico della irresponsabilità del Capo dello Stato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni a tutela non della persona, ma della carica, come sostanzialmente avviene anche in Italia (“Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni…”, art. 90 Cost.).
Ciò non vale però per alcuni reati tipici, per i quali il Presidente è soggetto ad una responsabilità penale speciale che tende ad assumere una coloritura politica. Tali reati presidenziali sono variamente indicati: attentato alla Costituzione o violazione della Costituzione; violazione di leggi; alto tradimento; gravi reati; azioni scorrette, incapacità, condotte illegali o incompatibili con la carica (in Italia per alto tradimento o per attentato alla Costituzione, art. 90 Cost. citato). Talune di queste fattispecie potrebbero applicarsi ad alcuni comportamenti di Trump.
Invece per gli atti extra funzionali nella maggioranza degli ordinamenti democratici non è prevista alcuna immunità; in alcuni ordinamenti è richiesta l’autorizzazione a procedere da parte del Parlamento, mentre in altri è stabilita l’improcedibilità fino al termine del mandato da una disposizione di rango costituzionale. [5]
Si rileva, comunque, che i comportamenti dell’ex Presidente degli Stati nei casi che hanno determinato i conseguenti procedimenti penali potrebbero non considerarsi “ufficiali” come ha statuito la sentenza (atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni, secondo la dottrina); pertanto tali procedimenti potrebbero essere portati a termine dai giudici merito. Nel caso di assalto al Congresso, infatti, è difficile considerare che gli atti dell’ex presidente (fare pressioni sul vice presidente Pence, chiedere ai manifestanti di attaccare il Parlamento) possano considerarsi “ufficiali”.
È certo, tuttavia, che Trump è uscito rafforzato dalla decisione della Corte suprema di garantirgli l’immunità presidenziale parziale.
Solo nel procedimento relativo ai pagamenti alla pornostar Stormy Daniels in data 31 maggio 2024 Trump è stato ritenuto colpevole per tutti i 34 capi di imputazione.
La vicenda è emersa nel 2018 quando il Wall Street Journal ha riferito che l’ex avvocato di Trump Michael Cohen ha versato 130.000 dollari nei confronti di Daniels in cambio del suo silenzio durante la campagna elettorale del 2016 mediante falsi documenti aziendali ideati appositamente per nascondere la vera natura e destinazione d’uso del versamento di denaro.
Trump è stato processato a New York per aver falsificato documenti aziendali al fine di nascondere tale pagamento. Una giuria popolare il 30 maggio 2024 lo ha dichiarato colpevole di tutti i 34 capi d’imputazione di cui era accusato, rendendolo il primo ex presidente degli Stati Uniti nella storia a essere prima processato e poi condannato in un processo penale, nonché il primo candidato a prendere parte alle elezioni presidenziali da pregiudicato.
A seguito dell’elezione di Trump per un secondo mandato presidenziale e la sentenza d’immunità della Corte Suprema, il giudice su richiesta della difesa ne ha sospeso temporaneamente a tempo indeterminato l’esecuzione e la comminazione della pena; la difesa inoltre, sulla scorta dell’immunità riconosciuta dalla Corte, ne ha chiesto l’archiviazione ma il giudice ne ha negato l’accoglimento, in quanto sia i fatti ascritti che la condanna e il processo penale si sono svolti quando Trump non era in carica come presidente (e quindi non si può applicare l’immunità presidenziale) e in quanto sono di competenza della giurisdizione statale e non federale. Successivamente il 5 gennaio 2025, dopo una serie di rinvii, il giudice di New York Juan M. Merchan ha annunciato la data di udienza in cui emettere la sentenza di pena. Così Trump con i suoi legali, ha presentato nuovamente ricorso alla Corte suprema che, il 10 gennaio, con cinque voti contro quattro ha respinto la richiesta del presidente neoeletto di bloccare la sentenza di condanna. Lo stesso giorno Trump è stato condannato, ma non è stata comminata alcuna pena da scontare, in virtù dell’elezione del reo a presidente e dei principi definiti con la cosiddetta “clausola di supremazia” e l’immunità presidenziale, e dell’unconditional discharge che non comporta alcuna sanzione né pecuniaria né detentiva.
Pertanto, già questa decisione della Corte Suprema potrebbe aver messo in crisi il valore fondante della democrazia americana in quanto ha consentito il rinvio di alcuni processi che vedono imputato l’attuale presidente degli Stati Uniti.

2. La decisione in data 27 giugno 2025 della Corte Suprema


Ma ad aggravare ulteriormente la tenuta della democrazia statunitense in data 27 giugno 2025 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha emesso una decisione sull’ordine esecutivo con cui il presidente Donald Trump aveva eliminato lo ius soli per i figli di immigrati irregolari. L’ordine era stato sospeso da vari tribunali federali e quindi non è mai entrato in vigore: contro tale provvedimento l’amministrazione Trump aveva fatto ricorso [6].
Preliminarmente si osserva che un ordine esecutivo (executive order) è un provvedimento firmato dal Presidente degli Stati Uniti d’America che indirizza le politiche esecutive delle agenzie del governo federale.
La costituzione statunitense non prevede espressamente tale potere; tuttavia l’articolo II della carta costituzionale afferma genericamente il principio che al presidente è conferito il potere esecutivo.
In seguito la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che tali atti o devono avere fondamento costituzionale [7] oppure possono essere emanati su delega conferita dal Congresso degli Stati Uniti. Nel primo caso si tratta di attribuzioni normative di rango primario conferite al Presidente da singoli, specifici ed espliciti articoli della Costituzione degli Stati Uniti d’America; nel secondo caso, essi sono emanati sulla base di una previsione di legge federale, come nel caso del International Emergency Economic Powers Act, e quindi sono in linea di principio ricadenti nella potestà legislativa del Congresso che, caso per caso, ne delega l’esercizio al Presidente. [8]
Il contenuto del provvedimento, avente forza di legge, è una disposizione rivolta a uno o più funzionari o specifiche agenzie governative indicando al destinatario dell’ordine il modo in cui compiere un certo incarico o gestire una specifica situazione. Ciò determina la possibilità che essi vengano utilizzati per affrontare situazioni di emergenza o comunque per predisporre soluzioni che – se attuate tramite il normale procedimento legislativo – potrebbero non essere utili ed efficaci.
Tuttavia, al pari degli atti legislativi e dei regolamenti amministrativi delle agenzie federali, gli ordini esecutivi sono impugnabili di fronte all’autorità giudiziaria statunitense e alla Corte suprema per violazione della Costituzione; possono tuttavia essere annullati solo dal Presidente tramite emanazione di altro ordine.
La rilevanza di questo particolare tipo di atto di natura presidenziale è fondamentale se si considera che, anche quando ha l’apparenza di un mero atto amministrativo, con esso il Presidente può indirizzare l’applicazione di una norma federale determinandone, in concreto, i profili della sua effettiva applicazione.
Nella fattispecie in esame i giudici della Corte Suprema non hanno valutato l’ordine nel merito, ma hanno stabilito che i tentativi di sospenderlo sono incostituzionali. Al momento non è del tutto chiaro cosa succederà con lo ius soli, ma la decisione è comunque rilevante perché limita i poteri con cui i giudici possono bloccare le sue decisioni.
In base al citato principio tutte le persone nate negli Stati Uniti hanno diritto a ottenerne la cittadinanza. Subito dopo il suo insediamento, lo scorso gennaio, Trump aveva però emesso un ordine esecutivo per negare la cittadinanza statunitense alle persone nate negli Stati Uniti da persone migranti o da immigrati senza un regolare permesso di soggiorno.
L’ordine di Trump sarebbe dovuto entrare in vigore lo scorso 19 febbraio, ma in seguito a vari ricorsi era stato sospeso temporaneamente da un giudice federale, che lo aveva ritenuto “palesemente incostituzionale”. A inizio febbraio, poi, un altro giudice l’aveva sospeso in modo permanente, sostenendo che fosse incompatibile con il XIV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che prevede proprio lo ius soli.
Secondo i sei giudici conservatori della Corte Suprema, queste sospensioni non sono valide perché vanno oltre i poteri dei giudici federali; i tre giudici della Corte di orientamento progressista invece hanno votato per difenderli.
In seguito alla decisione della Corte Suprema, l’ordine esecutivo che elimina lo ius soli per i figli di migranti o immigrati irregolari dovrebbe entrare in vigore dopo 30 giorni nei 28 Stati (su 50) che non avevano presentato ricorsi contro il provvedimento. In questo lasso di tempo però è possibile che anche questi facciano ricorso o cerchino di bloccarlo, come è possibile che varie altre sentenze in cause già in corso ne impediscano l’attuazione. Non è chiaro, allo stato, quindi se l’eliminazione del diritto alla cittadinanza avrà una portata generale.
Tuttavia, la decisione della Corte Suprema ha implicazioni più ampie. Significa in sostanza che i singoli giudici federali non potranno più usare le cosiddette nationwide injunctions (ingiunzioni nazionali) per sospendere misure decise dal governo centrale che hanno validità nazionale.Tali provvedimenti giurisdizionali in passato sono stati usati per annullare decisioni di presidenti sia repubblicani sia democratici; dall’inizio del secondo mandato di Trump molte sue decisioni sono state bloccate o sospese dalle sentenze dei tribunali.
La decisione, proprio perché si è espressa sul potere dei tribunali inferiori e non sulla misura in sé, è destinata ad avere un impatto ben più ampio dello ius soli, potendo in futuro ampliare i poteri dell’esecutivo.
Il giudice conservatore Amy Comey Barrett, ha infatti scritto nella sentenza che “Alcuni sostengono che l’ingiunzione universale fornisca alla magistratura un potente strumento per controllare il potere esecutivo, ma i tribunali federali non esercitano una supervisione generale sul potere esecutivo; risolvono casi e controversie in conformità con l’autorità del Congresso ha loro conferito. Quando un tribunale conclude che il potere esecutivo ha agito illecitamente, la risposta non è che il tribunale debba a sua volta eccedere i suoi”.
La decisione della Corte Suprema coinvolge solo i tribunali federali e non quelli statali, che sono l’altra grande categoria di tribunali nel sistema giudiziario statunitense. I giudici statali hanno competenze su molti casi e tipi di reato, ma non sulle decisioni del presidente e sulle leggi del governo federale e già prima della sentenza non potevano emettere le nationwide injunctions, dato che hanno giurisdizione su un singolo Stato.
La decisione di Trump di negare la cittadinanza ai figli delle persone migranti è coerente con le politiche nei confronti dell’immigrazione, sia legale che illegale. Tra l’altro, a inizio giugno il presidente ha imposto il divieto di entrare negli Stati Uniti ai cittadini di 12 paesi, tra cui Libia, Afghanistan, Congo e Iran, e ha imposto pesanti restrizioni ad altri sette paesi.
La sentenza potrebbe, quindi, avere effetti oltre che sulla questione relativa al diritto di cittadinanza per nascita, anche sul blocco ai finanziamenti per i rifugiati, sul congelamento delle sovvenzioni non necessarie e dei fondi per i cambiamenti di genere e su molte altre materie ritenute prioritarie.

3. Conclusioni


Tradizionalmente si sostiene che la forma di governo negli Stati Uniti è fondata su una divisione rigida dei poteri, derivante dall’inesistenza del rapporto di fiducia e dal potere di scioglimento del Congresso e dall’attribuzione a ciascuno di essi di una funzione esclusiva.
Tuttavia, il principio della separazione va combinato con quello del bilanciamento dei poteri, in base al quale attraverso un sistema di checks and balances (freni e contrappesi) ogni potere ha la possibilità di controllare e condizionare gli altri nell’esercizio delle rispettive funzioni.
In effetti vari sono i poteri di interferenza reciproca tra congresso e presidente.
Innanzitutto il Congresso ha il c.d. “potere della borsa”, in quanto attraverso il potere del bilancio e delle più importanti leggi di spesa decide in quale misura stanziare i fondi che servono al presidente per l’attuazione delle sue politiche; proprio in questi giorni il Senato ha approvato in prima lettura tale legge.
In secondo luogo il Congresso esercita un importante potere di controllo tramite le commissioni permanenti e le commissioni di indagine di fronte alle quali possono essere obbligati a deporre funzionari pubblici e privati cittadini.
Specifici poteri sono attribuiti al Senato che deve dare il suo consenso alle nomine presidenziali dei funzionari federali, compresi i segretari di Stato e i giudici della Corte Suprema.
Proprio tale sistema di nomina ha evidenziato nella fattispecie in esame una mancanza di autonomia e di terzietà della Corte Suprema che ha risentito nell’adozione della sentenza dell’appartenenza allo stesso schieramento politico del presidente e potrebbe rappresentare un vulnus strutturale alla democrazia statunitense.
Come ha sottolineato il giudice Sonia Sotomayor di nomina democratica, esprimendo il suo dissenso dalla maggioranza dei colleghi, “lo Stato di diritto non è scontato in questo Paese, né in altri. È un precetto della nostra democrazia che durerà solo se coloro che, in ogni ambito, saranno abbastanza coraggiosi, lotteranno per la sua sopravvivenza. Oggi la Corte abdica al suo ruolo vitale in questo sforzo”.
Una simile decisione potrebbe avere effetti rilevanti sulle nascite negli Stati Uniti. Se ci dovesse essere l’abolizione completa dello ius soli, infatti, 260 mila bambini che nascono ogni anno sui 3,7 milioni di bambini totali (dato del Bureau of Census) potrebbero non avere più una cittadinanza. Nel lungo periodo, questa scelta produrrebbe milioni di cittadini apolidi negli Stati Uniti.
La sentenza, inoltre, potrebbe creare il caos, anche se la sospensione dell’ingiunzione entrerà in vigore dopo 30 giorni. E’ probabile, infatti, che nel frattempo ai 22 Stati che avevano fatto causa contro l’ordine di Trump se ne potrebbero aggiungere altri, anche attraverso delle class action. Quindi allo scadere del mese ci potremmo trovare in una situazione in cui si può essere o meno considerati cittadini americani a seconda dello Stato in cui si è nati. Infatti, lo ius soli è un principio solidamente acquisito negli Stati uniti, fin dall’’800, dalla ratifica del XIV emendamento e dalla sentenza Wong Kim Ark dopo la quale non è mai stato contestato.
Pertanto, la decisione in esame potrebbe rappresentare un pericolo per la democrazia, non solo e non tanto per il suo contenuto, ma perché è il frutto di una decisione politica della Corte Suprema determinata dalla disciplina costituzionale del sistema giudiziario statunitense che non garantisce in modo efficace l’autonomia dei giudici e che, se non utilizzata con equilibrio e imparzialità, potrà mettere in pericolo per l’avvenire la tenuta democratica di un Paese fondamentale per le democrazie liberali.

Vuoi ricevere aggiornamenti costanti?


Salva questa pagina nella tua Area riservata di Diritto.it e riceverai le notifiche per tutte le pubblicazioni in materia.
Inoltre, con le nostre Newsletter riceverai settimanalmente tutte le novità normative e giurisprudenziali!
Iscriviti!

Iscriviti alla newsletter
Iscrizione completata

Grazie per esserti iscritto alla newsletter.

Seguici sui social


Note

[1] P. Gentilucci, Immunità parziale per Trump: un vulnus alla democrazia?, in Dititto.it del 9 luglio 2024.
[2]  About the Supreme Court, in United States Courts del 17 settembre 2021.
[3]  Essays on Article III: Good Behavior Clause, in Heritage. URL del il 17 settembre 2021.
[4] L. Veronese, La Corte Suprema concede a Trump l’immunità parziale per i fatti di Capitol Hill, in Sole 24 ore del 1° luglio 2024.
[5] G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Giappichelli, Torino, 2016.
[6] Redazione, Una vittoria per Trump alla Corte Suprema, in Il Post del 27 giugno 2025.
[7]  Southern Reporter: Cases argued and determined in the courts of Alabama, Florida, Louisiana, Mississippi, West Publishing Company, 1986, p. 723.
[8] Antieau Chester James-Rich William J., Modern Constitutional Law, 1997, West Group, volume 3, p. 528.

Prof. Paolo Gentilucci

Paolo Gentilucci, Ufficiale della Repubblica (G.U. n. 81 del 5 aprile 2023), già Commissario di Pubblica Sicurezza, Vice direttore delle Imposte Dirette di Firenze e viceprefetto presso il Ministero dell’Interno, dal mese di aprile 2018 è docente presso la Scuola Universitari…Continua a leggere

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento