Risarcito il danno catastrofale al paziente deceduto che era vigile durante il ricovero in ospedale. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: la morte del paziente
La figlia di un paziente morto per arresto cardiorespiratorio presso l’Ospedale locale, adiva il Tribunale di Napoli chiedendo la condanna della struttura sanitaria al risarcimento dei danni subiti sia in via ereditaria che in via diretta per la morte del padre.
In particolare, l’attrice sponeva che il padre, affetto da asma bronchiale, veniva trasportato al Pronto soccorso in quanto affetto da dispnea e che veniva subito sottoposto a radiografia al torace, da cui emergeva la presenza di un’area nodulare meritevole di integrazione diagnostica.
Nonostante ciò, il paziente veniva ricoverato al Pronto Soccorso su di una barella (per assenza di posti letto) ed alcune ore dopo veniva ritrovato in arresto respiratorio e trasferito d’urgenza presso il reparto di rianimazione, dove, la sera del giorno successivo, decedeva.
Secondo l’attrice la morte era addebitabile alla condotta dei sanitari dell’ospedale, per l’omessa o non adeguata assistenza del padre che aveva determinato l’arresto cardio respiratorio.
In considerazione di ciò, l’attrice chiedeva la condanna della struttura sanitaria al risarcimento del danno per la perdita di chances di sopravvivenza del padre e precisamente: il risarcimento dei danni a carattere non patrimoniale, sia in via ereditaria, quale erede del titolare del diritto, per il danno biologico ed il danno morale catastrofico per la morte del padre; sia iure proprio, quale titolare del diritto alla serenità familiare che oramai era compromesso in modo permanente.
La struttura sanitaria si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea, ritenendola infondata per mancanza di nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e la morte del padre. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
In primo luogo, il giudice campano esamina gli aspetti relativi alla responsabilità dei sanitari nella determinazione dell’evento dannoso.
A tal proposito, in base a quanto emerso dalla CTU svolta in giudizio, il Tribunale ritiene che i sanitari dell’ospedale avrebbero dovuto richiedere delle ulteriori valutazioni diagnostiche del paziente, fra cui anche una TAC che avrebbe potuto chiarire la natura non meglio precisata della radiopacità che era emersa dalla radiografia che era stata effettuata.
Inoltre, anche il radiologo che aveva effettuato detta radiografia sul paziente, aveva consigliato un’indagine di approfondimento che non fu effettuata, senza alcuna motivazione che giustificasse la mancata indagine.
Infine, la struttura sanitaria non aveva documentato le modalità di monitoraggio e di gestione del paziente mentre questi risultava nella barella.
Secondo i CTU tutti i suddetti inadempimenti diagnostici e di gestione del paziente posti in essere dai sanitari, ha influito negativamente sul decorso clinico della malattia determinando il suo sviluppo in maniera più sfavorevole per il paziente.
Nonostante ciò, però, i periti del tribunale non hanno ritenuto che, con elevata probabilità superiore al 50%, lo svolgimento degli esami diagnostici più specifici e la conseguente applicazione della terapia corretta avrebbero evitato l’esito infausto, cioè la morte del paziente.
Invece, secondo i CTU si può ritenere che i suddetti inadempimenti dei sanitari hanno determinato una riduzione delle possibilità di guarigione e quindi di sopravvivenza del paziente: in particolare, detta perdita di chance di sopravvivenza del paziente è stimabile nel 20/30 %.
Secondo il giudice il danno da perdita di chance di sopravvivenza è risarcibile equitativamente, come possibilità perduta, se è provato il nesso causale tra la condotta dei sanitari e l’evento incerto (cioè la possibilità perduta di guarigione) e se le conseguenze pregiudizievoli (cioè le ripercussioni sulla sfera non patrimoniale) risultino apprezzabili, serie e consistenti.
Nel caso di specie, i CTU hanno evidenziato nella loro relazione la sussistenza del nesso di causalità tra gli inadempimenti dei sanitari e la riduzione (pari al 20/30%) delle possibilità di guarigione del paziente.
Secondo il Tribunale, inoltre, detta chance di sopravvivenza è anche seria, apprezzabile e consistente, in quanto la esatta e tempestiva embolia polmonare avrebbe consentito una giusta strategia terapeutica e il paziente avrebbe avuto maggiori possibilità di sopravvivere.
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3. La decisione del Tribunale: il danno catastrofale
In considerazione di quanto sopra, il giudice ha ritenuto di quantificare la perdita di chances di sopravvivenza del paziente nel 25% e quindi ha provveduto a liquidare i danni connessi a tale perdita.
Per quanto riguarda il danno da perdita del rapporto parentale, chiesto iure proprio dall’attrice, il giudice ha ricordato che tale voce di danno serve per ristorare il familiare dal pregiudizio subito sia per la sofferenza psichica che è costretto a sopportare per l’impossibilità di proseguire il rapporto di comunanza familiare sia per lo sconvolgimento della vita. L’attore deve ovviamente provare la sussistenza di detto danno, anche se potrà assolvere detto onere anche attraverso l’uso di presunzioni semplici e massime di comune esperienza.
Secondo il giudice, l’effettività e la consistenza della relazione parentale che sussiste nel rapporto genitore – figlia, può essere acquisita anche in via presuntiva.
Pertanto, nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto di ricavare la sussistenza della relazione parentale tra l’attrice e la vittima, semplicemente dalla prova della relazione di parentela tra detti due soggetti data dal certificato di famiglia.
La somma liquidata a titolo di ristoro del danno da perdita del rapporto parentale, è stata poi ridotta al 25% dal giudice, proprio in ragione del gatto che il danno risarcibile è solo la perdita di chances (quantificata nel 25%).
Per quanto riguarda, invece, il risarcimento del danno terminale subito personalmente dal paziente e trasmesso alla figlia in via ereditaria, il tribunale ha ricordato che dalla morte del paziente possono derivare due tipologie di danni.
Il danno biologico terminale, che è un pregiudizio alla salute, da invalidità temporanea sebbene massimo nella sua entità ed intensità, da accertarsi con criteri medico-legali e da liquidarsi, avuto riguardo alla specificità del caso concreto, se tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo.
Il danno catastrofale (detto anche danno morale terminale), che consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando, ai fini della liquidazione in via equitativa in base alle specificità del caso concreto, soltanto l’intensità della sofferenza medesima.
Nel caso di specie, è emerso che il paziente era stato prevalentemente vigile e cosciente nel periodo in cui era stato ricoverato presso il nosocomio ed inoltre che le condizioni del paziente erano state gravi e le cure cui era stato sottoposto erano state molto invasive. Pertanto, tenuto conto di ciò (e della riduzione connessa alla perdita di chance) il giudice ha liquidato un danno biologico terminale, comprensivo anche della componente morale, pari ad €. 2.000 per i due giorni trascorsi tra l’inizio della malattia e la morte del paziente.
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