Come devono essere intese le gravi sofferenze di cui all’art. 727, co. 2, c.p.
(Riferimenti normativi: Cod. pen., art. 727)
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1. La questione
Il Tribunale di Genova condannava l’imputato alla pena, condizionalmente sospesa, di 5.000 Euro di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 727, comma 2, c.p.
Avverso questo provvedimento il difensore dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione.
Orbene, tra i motivi addotti in questa impugnazione, tale legale deduceva l’erronea formulazione del giudizio di colpevolezza, ritenendo, a suo avviso, come la pronuncia di condanna non avesse operato una corretta applicazione dell’art. 727 c.p., posto che le risultanze probatorie acquisite, sempre secondo la sua opinione, avrebbero smentito la ricorrenza del necessario requisito delle “gravi sofferenze” degli animali.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato infondato.
In particolare, gli Ermellini reputavano come fosse immune da censure la qualificazione giuridica del fatto, avendo il giudice monocratico rimarcato la circostanza che l’imputato, pur non causando ai cani vere e proprie sevizie, tuttavia li aveva detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura, provocando loro gravi sofferenze, il che, a loro avviso, valeva a rendere configurabile la contestata contravvenzione di cui all’art. 727 comma 2 c.p. che punisce la condotta di chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze, richiamandosi in tal senso il principio di diritto secondo cui, in tema di reato di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, previsto dall’art. 727, comma 2, c.p., la grave sofferenza dell’animale, elemento oggettivo della fattispecie, deve essere desunta dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere, essendosi precisato che anche le sole condizioni dell’ambiente di detenzione possono essere fonte di gravi sofferenze per l’animale, quando sono incompatibili con la sua natura (cfr. Sez. 3, n. 52031 del 04/10/2016, Rv. 268778 – 01).
3. Conclusioni
Fermo restando che, come è noto, l’art. 727, co. 2, cod. pen. dispone che alla “stessa pena (vale a dire: l’arresto fino ad un anno o l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro ndr.) soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”, nella decisione in esame, è chiarito in cosa consistono siffatte gravi sofferenze.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, in tema di reato di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, previsto dall’art. 727, comma 2, c.p., la grave sofferenza dell’animale, elemento oggettivo della fattispecie, deve essere desunta dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere, essendosi precisato che anche le sole condizioni dell’ambiente di detenzione possono essere fonte di gravi sofferenze per l’animale, quando sono incompatibili con la sua natura.
Siffatto provvedimento, quindi, ben può essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare tale elemento costitutivo di codesta fattispecie contravvenzionale.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in questa sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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