Coppie omosessuali: la Corte Ue dice si alle adozioni dei figli del partner

Redazione 20/02/13
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Anna Costagliola

Una sentenza storica quella che la Corte europea per i diritti dell’uomo ha pronunciato (qui il testo integrale) su ricorso di una coppia di donne austriache che ha sollevato un caso di «adozione omosessuale», mettendo in causa l’impossibilità di una donna di adottare il figlio della sua compagna avuto da una precedente relazione eterosessuale. Dopo essersi viste negare, in tutti i gradi di giudizio, la possibilità per una delle due di adottare il figlio dell’altra, le due donne hanno deciso, infatti, di ricorrere alla Corte europea denunciando la violazione del rispetto della privacy (art. 8 CEDU) e una discriminazione fondata sul diverso orientamento sessuale (art. 14 CEDU).

Negli anni più recenti varie sono state le rivendicazioni da parte di coppie omosessuali relativamente alla possibilità di adottare un bambino, analogamente a quanto consentito alle coppie eterosessuali, e in particolare il figlio del partner dello stesso sesso. Il dibattito sul punto si è manifestato molto vivace, in considerazione delle implicazioni etiche del tema, registrandosi, sia tra gli operatori qualificati che tra la gente comune, un prevalente orientamento tradizionalista e conservatore, che stigmatizza la necessità della presenza di genitori di entrambi i sessi nell’educazione dei figli anche adottivi. Una corrente minoritaria, invece, vede nella negazione della possibilità di adottare da parte degli omosessuali una discriminazione fondata esclusivamente sugli orientamenti sessuali.

Tanto premesso, si comprende tutta l’importanza della sentenza con cui la Corte europea ha affermato il diritto dei partner, nelle coppie omosessuali, di adottare i figli dei compagni, così come avviene per le coppie eterosessuali non sposate. La sentenza è definitiva, perché pronunciata dalla Grande Chambre della Corte europea, vale a dire la massima autorità giudiziaria in materia di diritti umani europei, nei cui confronti non è ammessa possibilità di appello. Peraltro, le sentenze della Grande Camera fissano la giurisprudenza della Corte e non sono vincolanti solo per lo Stato ricorrente, bensì per tutti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa.

Il caso su cui la Corte ha stabilito la violazione degli artt. 14 e 8 della Convenzione europea dei diritti umani, che sanciscono la non discriminazione e il diritto al rispetto della vita familiare, prende dunque il via dal desiderio di due donne austriache che vivono da anni una relazione stabile di diventare legalmente una «famiglia» riconosciuta come tale dalla società e dal diritto, mediante l’adozione da parte di una di esse del figlio della compagna. Tuttavia la denegazione di una tale possibilità opposta dalle autorità austriache discende da un paradosso insito nel diritto nazionale in base al quale l’adozione da parte di un uomo interrompe il legame tra il bambino e il suo padre biologico, così come l’adozione da parte di una donna rompe il legame con la madre biologica, con la conseguenza che la concessione dell’adozione alla partner avrebbe fatto perdere i diritti alla madre naturale, sua compagna. Una tale adozione «sostitutiva» è talvolta resa possibile nell’ambito delle coppie eterosessuali ricomposte, consentendosi, a certe condizioni, che un uomo che vive in modo stabile con la madre del bambino possa sostituirsi al padre biologico e adottare il bambino. A tal fine è necessario il consenso del genitore che perderà il suo legame di affiliazione ovvero la decisione di un Tribunale basata sulla constatazione degli interessi del bambino e dell’indegnità del genitore biologico di conservare i suoi diritti sul bambino.

Dopo il rifiuto del padre di rinunciare ai suoi diritti, le donne si sono rivolte alla giustizia austriaca chiedendo di privarlo dei suoi diritti genitoriali e di consentire l’adozione sostituendo il padre del bambino con la donna adottante. Le autorità austriache non hanno autorizzato l’adozione, sostenendo che non è possibile sostituire il padre con una donna e che non ci sono gli estremi per privare il padre dei suoi diritti, come sarebbe anche contrario all’interesse del minore sostituire la madre con una «matrigna», rompendo il legame di filiazione del ragazzo con la madre.

Nel caso in questione, pertanto, il diritto austriaco non consentiva l’adozione del bambino perché questa non avrebbe creato un nuovo legame o rimpiazzato quello con il padre, ma avrebbe reciso quello con la madre naturale.

La Grande Camera, accogliendo il ricorso della coppia omosessuale, ha constatato che la differenza di trattamento tra i ricorrenti e una coppia eterosessuale non era giustificata dalla necessità di proteggere la famiglia, nel senso tradizionale del termine, o gli interessi del minore. La distinzione di trattamento era dunque discriminatoria, con conseguente violazione dell’art. 14 della CEDU, in combinato disposto dell’art. 8. Allo stesso tempo, però, la Corte ha sottolineato che gli Stati non sono tenuti a riconoscere il diritto all’adozione dei figli dei partner alle coppie non sposate.

Sulla stessa scia della Grande Camera, anche la Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe, nello stesso giorno, ha stabilito che qualsiasi restrizione alla possibilità per un partner di adottare i figli dell’altro è incostituzionale, superandosi così la limitazione di questo diritto di «adozione successiva» per le sole persone unite in matrimonio.

Si tratta dunque di un notevole passo avanti in direzione dei diritti delle coppie omosessuali. Nonostante, infatti, le coppie gay siano riconosciute, in varie forme, quasi in tutta l’Europa, l’adozione resta una questione irrisolta in molti Paesi. Una sentenza a favore delle adozioni da parte della Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo potrebbe fare da spinta per il riconoscimento di questo diritto in sempre più Paesi, sul presupposto che l’orientamento sessuale non fa di una persona un genitore affidabile o meno, concernendo esclusivamente la manifestazione della personalità di un individuo, per cui il rifiuto della sua richiesta di adozione sulla base del «diverso» orientamento sessuale vale a concretizzare una discriminazione non giustificabile.

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