Conversione dei contratti a termine: delimitato l’ambito risarcitorio

Redazione 03/05/11
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Con sentenza n. 6663/2011, la Corte di Cassazione ha circoscritto la portata della disciplina risarcitoria introdotta dall’art. 32, commi 5, 6 e 7 della L. 183/2010 (collegato lavoro).

La disposizione normativa afferma che, nei casi in cui vi sia giudizialmente la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore, a titolo di risarcimento, un’indennità onnicomprensiva, nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, e determinata tenendo conto dei criteri individuati dall’art. 8 della L. 604/1966 (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, comportamento e condizioni delle parti).

Tale disciplina non trova, tuttavia, applicazione nei giudizi di legittimità in corso se, nei motivi dell’impugnazione, non è stato fatto espresso riferimento agli effetti economici della nullità del termine apposto al contratto di lavoro.

Il nuovo tetto all’indennità sostitutiva – si legge nella sentenza 6663/2011 – si applica ai giudizi pendenti davanti alla Suprema Corte solo quando, nel ricorso introduttivo del giudizio di legittimità, la parte ha specificamente impugnato anche le conseguenze economiche della sentenza di conversione del contratto. In questo modo restano tagliate fuori dalla nuova disciplina tutti quei ricorsi presentati quando ancora non era approvato il collegato lavoro, se questi non contestavano la quantificazione economica della sentenza di merito (Lilla Laperuta).

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