Contratti a termine, l’assenza di una causale deve comunque essere verificabile nel merito

Redazione 22/10/13
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Lilla Laperuta

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 23702 del 18 ottobre 2013, ha fornito alcune precisazioni in relazione alla fattispecie di contratto a tempo determinato disciplinata dal D.Lgs. 368/2001.

Assunto dalla ricorrente è che la società per azioni a capitale pubblico (nella specie si trattava di una s.p.a. Farmacie comunali riunite) è sottratta alle norme di diritto privato concernenti i contratti di lavoro a tempo determinato e, quindi, alla conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, nel caso di nullità della clausola appositiva del termine.

Tale posizione, sostiene il Supremo Collegio, è contraria ai principi dell’ordinamento dell’Unione europea né trova conferma nella legislazione nazionale.

Dalla direttiva europea 28 giugno 1990 n. 70 e dall’allegato accordo del 18 marzo 1999, soprattutto dal preambolo, risulta che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ed essere la forma generale di rapporto di lavoro anche se in talune circostanze, ossia eccezionalmente, quelli a termine possono meglio corrispondere ai bisogni dei datori e dei prestatori di lavoro.

L’organizzazione di un servizio pubblico secondo un modello privatistico non solleva l’ente organizzatore dai vincoli di finanza pubblica ma non lo sottrae neppure, salva espressa eccezione, alla normativa civilistica propria del modello, come avviene appunto per le società per azioni. Nel caso in specie, pertanto, la Spa pubblica non può appellarsi al mero rispetto dei vincoli di finanza pubblica per giustificare la stipula del contratto a termine.

La Suprema Corte, inoltre, ha precisato che l’assenza di una causale a giustificare l’apposizione del termine deve comunque essere verificabile nel merito. Sul punto i giudici ricordano che l’unica fattispecie di contratto a tempo determinato “acausale” è quella contenuta nella previsione dell’art. 1, co. 8, L. 92/2012, che, introducendo l’art. 1-bis D.Lgs. 368 del 2001, ha permesso in un caso eccezionale la non indicazione della ragione giustificativa del termine. Ma quell’ipotesi eccezionale «dev’essere comunque verificabile».

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