Consulta: stop alla sospensione automatica della genitorialità

La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, co. 2, cod. pen. (sospensione automatica della genitorialità ai genitori condannati)

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La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, co. 2, cod. pen. (sospensione automatica della genitorialità ai genitori condannati): vediamo come. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione.

Corte costituzionale -sentenza n. 55 del 24-03-2025

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Il Tribunale ordinario di Siena, sezione penale, era chiamato a giudicare della responsabilità penale di due genitori per il reato di maltrattamenti in famiglia (ex artt. 81 e 572, secondo comma, cod. pen.) «perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, ponevano in essere abitualmente, con finalità educative, condotte violente ed aggressive nei confronti dei figli minori conviventi».
In particolare, siffatto giudice riferiva che, ritiratosi in camera di consiglio e pervenuto al riconoscimento della responsabilità penale ascritta agli imputati, erano «emersi profili di non manifesta infondatezza in ordine all’an e al quantum dell’applicazione della pena accessoria» della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, quale prevista dall’art. 34, secondo comma, cod. pen..
Più nel dettaglio, secondo codesto Tribunale, se i presupposti per l’applicazione della pena accessoria sarebbero integrati, in quanto gli atti di maltrattamento e vessazione compiuti dai genitori in danno dei figli minori si erano estrinsecati in «metodi educativi connotati dall’uso abituale di violenze con gravi pregiudizi per gli interessi morali e materiali delle persone offese», però, al contempo, durante il processo, era emersa «la ricomposizione del quadro familiare, tanto da far apparire l’accertato fatto di maltrattamenti come insuscettibile di ulteriore reiterazione».
Orbene, per tale organo giudicante, in questo quadro, la «automatica applicazione della pena accessoria, nella misura fissa stabilita dalla legge, appare suscettibile di produrre effetti nocivi nell’interesse del minore». Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione.

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2. Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione: illegittimità costituzionale dell’art. 34, co. 2, cod. pen., in riferimento agli artt. 2, 3, 27, 29 e 30 della Costituzione, nonché all’art. 8 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176


Il Tribunale ordinario di Siena, sezione penale, a fronte della situazione suesposta, pertanto, sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, del codice penale, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, 29 e 30 della Costituzione, nonché all’art. 8 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176.
In particolare, il giudice rimettente rilevava che, nella sentenza n. 222 del 2018, la Corte costituzionale aveva affermato che l’attribuzione al giudice di una certa discrezionalità nella determinazione in concreto della pena, entro il minimo e il massimo previsti dalla legge, costituisce «naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali», tanto che «se la “regola” è rappresentata dalla “discrezionalità”, ogni fattispecie sanzionata con pena fissa (qualunque ne sia la specie) è per ciò solo “indiziata” di illegittimità».
Ebbene, nel caso di specie, ad avviso del giudice a quo, la rigidità applicativa determinerebbe risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso «rispetto ai fatti commessi con abuso di responsabilità genitoriale meno gravi», oltre che distoniche rispetto al principio di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, con violazione degli artt. 3 e 27 Cost., tenuto conto altresì del fatto che la durata fissa della pena accessoria, inoltre, non sarebbe proporzionata «rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili ai presupposti applicativi» dell’art. 34, secondo comma, cod. pen..
D’altra parte, continuava il giudice remittente nel suo ragionamento decisorio, a seguito della sentenza della Consulta n. 102 del 2020, nella analoga fattispecie della sottrazione e trattenimento di minore all’estero di cui all’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen., la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale «non consegue automaticamente alla condanna, ma postula la valutazione del giudice, che deve tenere conto, ai fini sia della irrogazione che della durata, dell’evoluzione successiva delle relazioni tra il minore e il genitore autore del reato e dei provvedimenti eventualmente adottati in sede civile, in funzione dell’esigenza di ricerca della soluzione ottimale per il minore».
La disposizione censurata, pertanto, per siffatto organo giudicante, «comporta conseguenze che ricadono sui figli dei condannati non già semplicemente de facto – come può avvenire per qualsiasi provvedimento giudiziario – ma de jure», così violando gli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost., oltre che l’art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo: «complesso normativo», questo, dal quale emerge il preminente interesse dei minori quale principio che dovrebbe guidare ogni decisione che li riguarda, «di talché qualsiasi provvedimento che incide sulla responsabilità genitoriale potrebbe giustificarsi solo in quanto non contrasti con l’esigenza di tutela del minore».
L’art. 34, secondo comma, cod. pen., infine, sempre ad avviso del giudice a quo, contrasterebbe con il principio di proporzionalità ex artt. 3 e 27 Cost., anche perché la pena comminata sarebbe eccessiva quando «risulti comprovato il ripristino della situazione familiare» e sia dunque meritevole di tutela l’interesse del minore «alla preservazione del nucleo familiare così ricomposto».
Il giudice rimettente chiedeva, di conseguenza, che l’art. 34, secondo comma, cod. pen. fosse dichiarato costituzionalmente illegittimo sia «nella parte in cui non prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporla», sia «nella parte in cui la misura della sospensione della responsabilità genitoriale è disposta per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, anziché in misura eguale a quella della pena principale inflitta», rilevandosi contestualmente che l’accoglimento in parte qua richiesto non troverebbe alcuna preclusione, poiché il sistema nel suo complesso offrirebbe al Giudice delle leggi già «precisi punti di riferimento» e «soluzioni “già esistenti”» (citandosi all’uopo la sentenza n. 236 del 2016), quali sarebbero quelli di cui all’art. 37 cod. pen..

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3. La soluzione adottata dalla Consulta


I giudici di legittimità costituzionale, dopo avere dichiarato dichiarate inammissibili le questioni sollevate in riferimento all’art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo, evocato «come un riferimento immediato e non quale norma interposta in rapporto al primo comma dell’art. 117 Cost.» (sentenza n. 62 del 2021), stimavano invece fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 Cost., concernenti l’automatica applicazione della pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.
In particolare, il Giudice delle leggi notava prima di tutto come la medesima Consulta avesse già stimato costituzionalmente illegittime norme che, come quella censurata, imponevano al giudice, in ragione della condanna del genitore per specifici reati richiamati dalle medesime norme, l’applicazione di pene accessorie analoghe o identiche a quella prevista dall’art. 34, secondo comma, cod. pen..
Difatti, si evidenziava a tal proposito che, con la sentenza n. 31 del 2012, era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 cod. pen. «nella parte in cui prevede che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato di cui all’art. 567, secondo comma, cod. pen., debba conseguire automaticamente la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto».
Premesso ciò, si faceva presente come la stessa Corte di Cassazione avesse osservato che, nella disciplina censurata, veniva in rilievo «non soltanto l’interesse dello Stato all’esercizio della potestà punitiva nonché l’interesse dell’imputato (e delle altre eventuali parti processuali) alla celebrazione di un giusto processo, condotto nel rispetto dei diritti sostanziali e processuali delle parti stesse, ma anche l’interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione», tanto più se si considera che l’interesse del minore, da un lato, è «complesso, articolato in diverse situazioni giuridiche, che hanno trovato riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento internazionale sia in quello interno», dall’altro, è inevitabilmente coinvolto da una decisione che determini la perdita della responsabilità genitoriale, il cui nucleo essenziale, quale si ricava dall’art. 30 Cost. e dall’art. 147 del codice civile, consiste nell’«obbligo dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la salute e la crescita anche spirituali, secondo le possibilità socio-economiche dei genitori stessi».
Se, dunque, per la Corte, la responsabilità genitoriale, «correttamente esercitata, risponde all’interesse morale e materiale del minore», può anche di converso darsi che sia nell’interesse di quest’ultimo l’adozione di provvedimenti – quale anche la decadenza dalla responsabilità genitoriale – che rimedino ai casi di gravi inadempienze dei genitori, tuttavia, è irragionevole precludere «al giudice ogni possibilità di valutazione e di bilanciamento, nel caso concreto, tra l’interesse stesso e la necessità di applicare comunque la pena accessoria in ragione della natura e delle caratteristiche dell’episodio criminoso, tali da giustificare la detta applicazione appunto a tutela di quell’interesse».
Del resto, nella successiva sentenza n. 7 del 2013, la Consulta ebbe modo di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 569 cod. pen. «nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato, previsto dall’articolo 566, secondo comma, del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto».
In particolare, sempre in sede di giustizia costituzionale, evocando espressamente la decisione dell’anno precedente, si affermava poi che «tenuto conto della ratio decidendi che ha informato la richiamata pronuncia, appare evidente che lo stesso ordine di rilievi può riguardare anche il delitto di soppressione di stato, oggetto del giudizio a quo, posto che l’automatismo che caratterizza l’applicazione della pena accessoria risulta compromettere gli stessi interessi del minore che la richiamata sentenza della Corte ha inteso salvaguardare».
Oltre a ciò, si faceva altresì presente come sia stato tra l’altro sottolineato, in quella occasione, che l’automatismo legislativo presentava profili problematici di «particolare acutezza, proprio perché viene a proporsi in tutto il suo risalto, come necessario termine di raffronto (e, dunque, quale limite costituzionale di operatività della sanzione), la salvaguardia delle esigenze educative ed affettive del minore: esigenze che finirebbero per essere inaccettabilmente compromesse, ove si facesse luogo ad una non necessaria interruzione del rapporto tra il minore ed i propri genitori» dal momento che l’interruzione, sul piano giuridico, della relazione tra genitore e figlio minore può giustificarsi solo «in funzione di tutela degli interessi del minore» e non può che essere il giudice a valutare, in concreto, se tale interruzione risponda o meno a tali interessi, «così da assegnare all’accertamento giurisdizionale sul reato null’altro che il valore di “indice” per misurare la idoneità o meno del genitore ad esercitare le proprie potestà: vale a dire il fascio di doveri e poteri sulla cui falsariga realizzare in concreto gli interessi del figlio minore».
Ciò posto, si notava per di più come, ancora più di recente, il Giudice delle leggi si fosse pronunciato su una norma che, come quella censurata nel caso di specie, prevedeva l’automatica applicazione della pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale visto che, con la sentenza n. 102 del 2020, era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., l’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen., «nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale».
Nel dettaglio, in tale decisione era stato posto in evidenza che «tale pena accessoria presenta caratteri del tutto peculiari rispetto alle altre pene previste dal codice penale, dal momento che, incidendo su una relazione, colpisce direttamente, accanto al condannato, anche il minore, che di tale relazione è il co-protagonista», facendosene conseguire da ciò che gli effetti della sua applicazione non si riverberano in via meramente riflessa ed eventuale su persone diverse dal condannato, come solitamente accade, ma investono necessariamente il minore, in quanto il genitore è privato, «per tutto il tempo della sospensione, dell’intero fascio di diritti, poteri e obblighi inerenti al concetto legale di “responsabilità genitoriale”, con conseguente venir meno di ogni potere di assumere decisioni “per” il figlio».
Orbene, per la Consulta, proprio tale impatto, tutt’altro che trascurabile sul minore, svelava la «cecità» della previsione legislativa in ordine «all’evoluzione, successiva al reato, delle relazioni tra il figlio minore e il genitore autore del reato medesimo» dato che l’automatismo in questione non consentiva al giudice di valutare in concreto se l’applicazione della pena accessoria «risponda in concreto agli interessi del minore, da apprezzare secondo le circostanze di fatto esistenti al momento della sua applicazione: le quali, naturalmente, comprendono anche tutto ciò che è accaduto dopo il fatto da cui è scaturita la responsabilità penale del genitore».
D’altro canto, sempre ad avviso della Consulta, l’irragionevolezza dell’automatismo risultava ulteriormente dal fatto che la pena accessoria era «destinata a essere inesorabilmente eseguita soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza, spesso a molti anni di distanza dal fatto»; anni durante i quali il giudice penale gode di ampi margini di valutazione in ordine all’adozione o meno di un provvedimento cautelare di sospensione, in tutto o in parte, dall’esercizio della responsabilità genitoriale, salvo poi perdere ogni discrezionalità di apprezzamento, «qualunque cosa sia accaduta nel frattempo, e indipendentemente da qualsiasi valutazione circa l’interesse attuale del minore», quando la sentenza di condanna passa in esecuzione.
Orbene, in continuità con i princìpi sinora richiamati, integralmente ribaditi nella pronuncia qui in commento, erano accolte le questioni di legittimità costituzionale suesposte, assumendo al riguardo innanzitutto rilevanza decisiva la progressiva emersione, anche in questo ramo dell’ordinamento, della centralità dell’interesse del minore nel sistema normativo, alla luce dei princìpi costituzionali e della stessa evoluzione della legislazione ordinaria.
Il rigido automatismo che impone al giudice di applicare la pena accessoria in questione, in effetti, per il Giudice delle leggi, non consente una valutazione in concreto dell’interesse del minore a vedere recisa, sia pure temporaneamente, o mantenuta, nonostante l’irrogazione della pena principale, quella relazione tra genitori e figli (nella quale agli obblighi derivanti dalla responsabilità genitoriale corrisponde il diritto del minore ad essere mantenuto e istruito dai genitori) in tutte quelle ipotesi – di cui costituisce esempio il caso all’esame del giudice rimettente – in cui risulti accertata la ricomposizione del quadro familiare e l’interesse del minore possa risultare meglio protetto, quindi, senza che sia sospesa la responsabilità genitoriale, venendone altrimenti paradossalmente leso poiché il giudice rimettente è pervenuto al riconoscimento della responsabilità penale dei due genitori, entrambi imputati per il reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti dei figli minori conviventi (art. 572, secondo comma, cod. pen.), avendo al contempo riscontrato, per un verso, il ravvedimento degli imputati e la ricomposizione del nucleo familiare e, per l’altro, l’interesse del minore alla preservazione del nucleo familiare così ricomposto; ciononostante, dovrebbe applicare, in quanto a ciò tenuto dall’art. 34, secondo comma, cod. pen., anche la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, assumendo così una decisione che ritiene «suscettibile di produrre effetti nocivi nell’interesse del minore».
Ebbene, se l’art. 34, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui prevede che la condanna per il delitto ex art. 572, secondo comma, cod. pen., commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale, comporta l’automatica sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, reca, dunque, una norma strutturalmente identica a quella già dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 102 del 2020, anche l’odierna norma censurata pone l’irragionevole presunzione assoluta che, a fronte di una condanna del genitore per il reato di maltrattamenti in famiglia, l’interesse del minore sia sempre e soltanto tutelato sospendendo il genitore dall’esercizio della responsabilità genitoriale mentre, al contrario, le norme costituzionali, evocate a parametro (artt. 2, 3 e 30 Cost.), impongono che sia il giudice penale a valutare se la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale sia, in concreto e alla luce dell’evoluzione, successiva al reato, del rapporto tra figlio e genitore, la soluzione ottimale per il minore, in quanto rispondente alla tutela dei suoi preminenti interessi.
L’art. 34, secondo comma, cod. pen., pertanto, era dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui dispone che la condanna per il delitto ex art. 572, secondo comma, cod. pen., commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale, comporta la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporla, fermo restando che, per un verso, erano assorbite le questioni di legittimità costituzionale, aventi a oggetto il medesimo automatismo legislativo, sollevate in riferimento agli artt. 27 e 29 Cost., per altro verso, restava affidata alla prudente considerazione del legislatore se «il giudice penale sia l’autorità giurisdizionale più idonea a compiere la valutazione di effettiva rispondenza all’interesse del minore di un provvedimento che lo riguarda» (sentenza n. 102 del 2020), o se invece tale valutazione possa essere meglio compiuta dal Tribunale dei minorenni, al quale lo stesso art. 34, quinto comma, cod. pen. prevede che, «quando sia concessa la sospensione condizionale della pena, gli atti del procedimento veng[ano] trasmessi».

4. Conclusioni: illegittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede che la condanna per il delitto ex art. 572, secondo comma, cod. pen., commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale, comporta la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporla


Fermo restando che, da una parte, l’art. 34, co. 2, cod. pen. statuisce che la “condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale importa la sospensione dall’esercizio di essa per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, dall’altra, l’art. 572, co. 2, cod. pen. dispone che, in materia di maltrattamenti contro familiari e conviventi, la “pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi”, con la decisione in esame, si esclude l’automaticità dell’applicazione di siffatta sospensione secondo questa cadenza temporale, rimettendo tale decisione alla valutazione del giudice, se disporla o meno.
Difatti, come accennato poco prima, la Consulta, nella decisione qui in esame, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede che la condanna per il delitto ex art. 572, secondo comma, cod. pen., commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale, comporta la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporla.
Tuttavia, se la questione, sotto il profilo sostanziale, è stata risolta dal Giudice delle leggi in questi termini, sotto il versante procedurale, la soluzione su chi debba decidere in tali ipotesi è stata rimessa alla determinazione del legislatore.
Come visto già in precedenza, invero, si afferma in questa sentenza che per l’appunto spetterà al legislatore stabilire se il giudice penale sia l’autorità giurisdizionale più idonea a compiere la valutazione di effettiva rispondenza all’interesse del minore di un provvedimento che lo riguarda o se invece tale valutazione possa essere meglio compiuta dal Tribunale dei minorenni.
Non resta dunque che attendere come il “Parlamento” deciderà su siffatta questione.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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