Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2015 – “Mobbing e discriminazione: due facce di una stessa medaglia”

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E’ configurabile un’ipotesi di mobbing qualora la condotta del datore di lavoro assuma le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente. Ne consegue che la sussistenza della lesione, del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata, procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi, considerando l’idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione. – 1. Con l’impugnata sentenza il Tar del Lazio ha respinto il ricorso proposto dal signor F.A.T., già preside dell’Istituto professionale di Stato per i servizi commerciali di Tropea, per l’accertamento del suo diritto al risarcimento, a titolo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, dei danni subiti a opera delle resistenti amministrazioni scolastiche e per la conseguente condanna di queste ultime al pagamento delle relative somme di denaro.
T.F.A. ha impugnato tale decisione, sostenendo di aver subito un danno biologico e un danno non patrimoniale a seguito delle condotta dell’amministrazione inquadrabile nella fattispecie del mobbing.
Le amministrazioni scolastiche si sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.
Con ordinanza n. 6213/2007 questa Sezione ha disposto l’acquisizione del fascicolo del giudizio di primo grado.
Acquisito il fascicolo, all’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
2. L’oggetto del presente giudizio è costituito da una domanda risarcitoria proposta da T.F.A., preside scolastico, per i danni asseritamene subiti a seguito di un comportamento ritenuto vessatorio da parte dell’amministrazione nel periodo intercorrente dal 1993 al 2000, concretatosi in diversi provvedimenti, la cui illegittimità è stata accertata con sentenza del Tar del Lazio n. 907/1999, confermata dalla decisione di questa Sezione n. 6881/2000.
Con riguardo al profilo della giurisdizione, va preliminarmente rilevato che sulla sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo si è formato un giudicato interno, che esime questo Collegio dall’esame della questione.
Infatti, in ordine all’originaria domanda proposta dall’appellante davanti al giudice ordinario il Tribunale di Vibo Valentia con sentenza n. 541/2004 ha dichiarato il difetto di giurisdizione; successivamente, con l’impugnata sentenza il Tar del Lazio, con statuizione non impugnata, ha anche confermato la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.
3. Passando al merito del ricorso, è opportuno richiamare le vicende, da cui trae origine la domanda risarcitoria.
Con la menzionata sentenza del Tar del Lazio n. 907/99, confermata da questa Sezione e quindi passata in giudicato, sono stati annullati gli atti con i quali il ricorrente era stato rispettivamente: dispensato dal servizio di preside e restituito ai ruoli di provenienza (decreto ministeriale del 20 febbraio 1993); assegnato per l’anno scolastico 1992-93 a prestare servizio di docente presso l’Istituto Tecnico per Geometri di Vibo Valentia (decreto provveditoriale del 21 aprile 1993); destinatario, per l’anno scolastico 1992-93, del giudizio sintetico di "insufficiente" attribuitogli dal Provveditore agli Studi di Catanzaro.
Secondo l’appellante, dalla data di adozione di tali illegittimi provvedimenti (1993) fino alla sentenza emanata dal Consiglio di Stato nel 2000, egli sarebbe stato oggetto di una serie di comportamenti vessatori (critiche, maltrattamenti, ingiustificate ed esasperate offese alla dignità personale, lesione e delegittimazione dell’immagine all’interno e all’esterno della sede di lavoro, attacchi alla professionalità) tali da concretare un’ipotesi di mobbing, generatrice dei compositi profili di danno, quantificati in euro 258.230,00, a titolo di danno morale, e della medesima somma di euro 258.230,00, a titolo di danno biologico e di danno alla professionalità.
Il giudice di primo grado ha ritenuto che la prova della sussistenza del comportamento vessatorio da parte dell’amministrazione e della sussistenza della fattispecie del mobbing non emergesse dalla sentenza n. 907/99 del Tar del Lazio e non fosse stata fornita dal ricorrente.
L’appellante contesta tale statuizione e sostiene che le plurime illegittimità commesse dall’amministrazione ed ormai accertate con sentenza passata in giudicato siano il chiaro indice di un disegno mirato a colpire il ricorrente e a screditarlo, con evidente pregiudizio di carattere patrimoniale e non, collegato al deterioramento delle condizioni di salute e agli effetti del demansionamento subito.
La pretesa risarcitoria è priva di fondamento.
Non è qui in discussione il fatto che il ricorrente sia stato il destinatario di una serie di provvedimenti diretti ad incidere negativamente sulla sua sfera giuridica, rivelatisi illegittimi e in quanto tali annullati dal giudice amministrativo.
Tuttavia, l’illegittimità dell’atto amministrativo, che si assume essere stato causa del danno, è un requisito necessario ma non sufficiente per la fondatezza dell’azione risarcitoria, poiché occorre altresì che il ricorrente dimostri a) la sussistenza di un evento dannoso; b) la qualificazione del danno come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento; c) il nesso di causalità con l’illegittimità o comunque con la condotta (positiva o omissiva) della p.a.; d) l’elemento soggettivo (colpa della p.a.).
Nel caso di specie, tali elementi non emergono dal giudicato formatosi sulle illegittimità compiute dall’amministrazione, che contiene solo argomentazioni giuridiche per le quali le distinte amministrazioni scolastiche hanno agito contra jus; il termine vessatorio, contenuto nella sentenza del Tar e richiamato dall’appellante, va riferito, come chiarito dallo stesso Tar, alla parte narrativa delle tesi del ricorrente, e non ad una valutazione del giudice.
Il ricorrente non ha in alcun modo dimostrato che dagli annullati provvedimenti illegittimi sia a lui derivato un danno biologico, essendosi limitato a produrre alcuni certificati medici, idonei a provare al massimo l’esistenza di alcune patologie, ma non la dipendenza delle stesse dalla condotta dell’amministrazione.
Anche con riferimento alla fattispecie del mobbing, si osserva che il ricorrente non ha fornito idonea prova ed anzi dagli elementi agli atti si può escludere la sussistenza di detta fattispecie.
Il termine mobbing deriva dal verbo to mob (che significa assalire, prendere d’assalto, malmenare) e viene spesso utilizzato in luogo del termine harassment per indicare le molestie morali sul luogo di lavoro.
La giurisprudenza ha chiarito che costituisce mobbing l’insieme delle condotte datoriali protratte nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali, indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali o dalla violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato; sicché, la sussistenza della lesione, del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata – procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi – considerando l’idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa (Cass. Civ. sez. lav., n. 4774/2006).
Tuttavia, determinati comportamenti non possono essere qualificati come harassment o mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole ed alternativa spiegazione.
Nel caso di specie, i provvedimenti adottati dall’amministrazione scolastica, seppur risultati poi illegittimi, sono derivati da una serie di proteste di genitori ed alunni nei confronti del ricorrente, che hanno indotto l’amministrazione ad intervenire.
Negli atti del presente giudizio vi è ampia traccia di tali segnalazioni e, anche senza dover entrare nel merito dei singoli episodi, emerge come l’intento dell’amministrazione non sia stato persecutorio o comunque diretto a sottoporre il dipendente a molesti morali.
La p.a. è intervenuta per cercare di dare una risposta ad un problema, che era stato posto in diverse occasioni da genitori ed alunni; pur non essendo intervenuta nel modo corretto, non vi è la prova dell’esistenza di un disegno complessivo inquadrabile nella fattispecie del mobbing.
Anche con riferimento al demansionamento, la giurisprudenza ha precisato che il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento (Cass. civ., sez. lav., n. 6572/2006; n. 2621/2008; n. 2729/2008).
Tale prova non è stata fornita nel presente giudizio con riferimento ad entrambe le tipologie di danno e ciò conduce alla reiezione della domanda risarcitoria, senza che possa assumere rilievo il richiamo ad altro precedente del Tar (Tar Lazio, n. 6254/2004), non ancora passato in giudicato e comunque collegato ad un caso diverso negli aspetti di fatto.
4. In conclusione, l’appello deve essere respinto.
Tenuto conto della peculiarità della controversia, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M. – Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 

Staiano Rocchina

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