Conferimento di incarico di consulenza: atto preparatorio o contratto compiuto? Non rileva l’elemento letterale nell’intestazione, ma l’intenzione delle parti

Redazione 18/05/12
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Biancamaria Consales

A tale conclusione giunge la terza sezione civile della Suprema Corte di Cassazione che, con sentenza n. 7635 del 16 maggio 2012, si è pronunciata sul ricorso proposto da una società, la cui domanda di risarcimento danni era stata respinta nei precedenti gradi di giudizio. Nella fattispecie, la predetta società pretendeva di essere risarcita da due soggetti, i quali, dopo aver conferito alla società un incarico di consulenza per la realizzazione di una clinica, avevano anticipatamente receduto, manifestando di non aver più interesse alla realizzazione del progetto, senza pagare né l’acconto, né il corrispettivo pattuiti.

La domanda era stata respinta in primo grado, poiché il tribunale aveva ritenuto che tra le parti fosse stato concluso un contratto per la gestione tecnico-operativa del progetto, con obbligazione di risultato a carico della società incaricata, rispetto alla quale la stessa si era resa inadempiente, così giustificando il recesso della controparte. Tale sentenza, sebbene con diversa motivazione, veniva confermata dalla Corte di appello, secondo cui la scrittura contenente il conferimento dell’incarico di consulenza avesse natura preparatoria rispetto ad un contratto definitivo mai stipulato.

Gli ermellini hanno, ancora una volta, rigettato la domanda della società ricorrente, la quale aveva ribadito, nel formulare il ricorso, che l’atto di conferimento di incarico di consulenza costituiva, nella fattispecie, un vero e proprio contratto e ciò poteva agevolmente dedursi da tutti i suoi elementi, tra cui l’intestazione dell’atto (“Conferimento di incarico”), dall’oggetto, dalla causa ed anche dalla forma. Dunque, secondo la società ricorrente, gli organi giudicanti nei precedenti gradi di giudizio avevano erroneamente ignorato il significato letterale delle parole.

“L’atto di conferimento di incarico di consulenza – ha precisato la Suprema Corte – non può essere considerato un contratto compiuto. Infatti l’elemento letterale contenuto nell’intestazione dell’atto va superato, dando piuttosto valore e peso alla comune intenzione delle parti, desumibile anche dal loro comportamento. Nella fattispecie una serie di elementi nonché le dichiarazioni dei testimoni hanno portato a ritenere che l’atto in questione non costituisce altro che una mera puntazione alla quale, nelle intenzioni delle parti, avrebbe dovuto far seguito il contratto”.

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