Colpa cosciente e dolo eventuale nella trasmissione dell’H.I.V.

Gaia Negro 25/03/24
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Dottrina e giurisprudenza si sono più volte interrogati sull’elemento psicologico del soggetto affetto da AIDS, che consapevole della propria patologia, consuma rapporti sessuali non protetti con il partner, senza informarlo delle sue condizioni.

Indice

1. Responsabilità penale per trasmissione del virus H.I.V.


In particolare, ci si è chiesti se in questi casi il modello legale da prendere in considerazione ai fini della individuazione della responsabilità[1] e della pena più idonea da irrogare al soggetto agente sia quello della colpa cosciente o del dolo eventuale,
In questo contesto, non può essere eccettuato il richiamo testuale degli articoli 582 e 583 del codice penale che definiscono e disciplinano la “lesione personale”.
L’articolo 582 sancisce che: “Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.
Si procede tuttavia d’ufficio se ricorre taluna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61, n. 11-octies), 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel I co. n. 1), e nel II comma dell’articolo 577.
Si procede altresì d’ufficio se la malattia ha una durata superiore a 20 giorni quando il fatto è commesso contro persona incapace, per età o per infermità”.
L’articolo 583, viceversa, stabilisce che ” La lesione personale è grave e si applica la reclusione da 3 a 7 anni:

  1. se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni;
  2. se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo;

La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da 6 a 12 anni, se dal fatto deriva:

  1. una malattia certamente o probabilmente insanabile;
  2. la perdita di un senso;
  3. la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;

L’articolo 583 c.p., riguarda il reato di “diffusione di malattie infettive pericolose per la vita”. Secondo questa disposizione, chiunque diffonde volontariamente una malattia infettiva pericolosa per la vita, come l’H.I.V., è punito con la reclusione da 5 a 12 anni.

2. Nozione di malattia


La nozione di malattia nel contesto giuridico comprende qualsiasi alterazione anatomica o funzionale che sia in grado di innescare un processo patologico e ridurre in modo significativo la funzionalità del corpo.
Più nello specifico per quanto di interesse, l’infezione dell’aids è considerata dalla scienza medica una malattia certamente non sanabile[2].
L’H.I.V.[3] rappresenta l’agente responsabile della sindrome di immunodeficienza acquisita, l’AIDS[4] appunto, cioè una malattia cronica, non sanabile che può portare a una serie di gravi complicazioni mediche e che può essere fatale se non trattata adeguatamente.
All’uopo il Tribunale di Milano[5] ha statuito come: la trasmissione del virus H.I.V. integri la nozione di “malattia” nel soggetto che viene infettato”.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che “il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione, a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l’adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte”[6]
Tale malattia in si suddivide in tre stadi:

  • la trasmissione del virus ed il radicamento nel soggetto infettato;
  • la latenza;
  • la fase acuta – AIDS in senso proprio

Dopo il radicamento del virus, un’appropriata terapia farmacologia può impedire il verificarsi della fase di AIDS conclamata, che ha esito letale.
Come stabilito dal Supremo Collegio: “la trasmissione del virus H.I.V. rappresenta un sicuro danno alla salute – e quindi costituisce “malattia” – posto che il virus H.I.V. determina dei danni, genericamente intesi, all’organismo ospite, dando luogo ad una molteplicità di eventi biologici nei termini di uno stato patologico peggiorativo, specie sotto il profilo dell’immunodeficienza e dei danni ad essa conseguenti, rispetto ad un quadro non morboso delle funzioni fisiche”. [7]

3. Accertamento del nesso di causalità


È fondamentale che l’evento sia effettivamente conseguenza dell’azione o dell’omissione del soggetto, altrimenti si rischierebbe di punire penalmente una persona per fatti causati da altri fattori.
Il metodo utilizzato per accertare il nesso di causalità è il giudizio controfattuale, che consiste in un processo di eliminazione mentale.
Si valuta se, eliminando la condotta del soggetto, si verificherebbe anche l’eliminazione dell’evento dannoso.
Se l’evento dipende in modo significativo dall’azione o dall’omissione del soggetto, il nesso causale è considerato valido.
Tuttavia, ci sono casi in cui il nesso causale può essere più complesso da stabilire, come nel caso delle infezioni da H.I.V.
Poiché il rapporto di causalità potrebbe non essere immediatamente evidente, il giudice può fare affidamento su leggi scientifiche di copertura che forniscono una spiegazione causale dei fenomeni naturali.
In casi di trasmissione del virus H.I.V., ad esempio, potrebbero essere considerate le conoscenze scientifiche sulle modalità di trasmissione del virus e sugli intervalli di tempo in cui può manifestarsi l’infezione.
Queste leggi scientifiche di copertura possono aiutare il giudice a stabilire un collegamento causale ragionevole tra la condotta dell’autore del reato e l’infezione dell’altra persona.
La legge scientifica a cui si deve ricorrere per accertare il nesso causale nei casi di trasmissione del virus H.I.V. ci dice che, dato un rapporto sessuale non protetto, si ha la possibilità di trasmettere il virus.
Il punto di svolta nel corretto utilizzo delle leggi scientifiche è rappresentato dalla sentenza Franzese[8], attraverso la quale le Sezioni Unite hanno sottolineato che il nesso causale deve essere accertato attraverso un procedimento bifasico al fine di eliminare ogni ragionevole dubbio.
Il primo passaggio è quello di individuare una legge scientifica che permetta di affermare un rapporto di probabilità statistica tra gli eventi che si sono verificati in concreto (causalità generale); mediante il secondo passaggio, si esclude oltre ogni ragionevole dubbio, che l’evento concreto possa essere ricondotto a fattori causali alternativi rispetto a quelli ipotizzati (causalità individuale).
Secondo le leggi scientifiche, le probabilità che l’infezione da H.I.V. possa essere trasmessa tramite un singolo rapporto sessuale sono davvero basse (circa 0,1-02% di probabilità)[9].
La scienza consente quindi di individuare il lasso temporale in cui il contagio si è verificato, per poi, attraverso il processo penale, verificare se nel periodo preso in esame, vi sono stati ulteriori possibili fattori idonei alla trasmissione del virus; ovviamente se in concreto è possibile appurare l’insussistenza di circostanze e cause alternative idonee al contagio della malattia, si potrà senz’altro affermare la sussistenza del nesso di causalità tra condotta ed evento dannoso.

4. La sottile linea tra colpa cosciente o dolo eventuale


Perché vi sia una responsabilità penale effettiva è necessario dimostrare che la persona, conscia della propria patologia (è essenziale che sussista una diagnosi circa la propria sieropositività) abbia compiuto una condotta attiva, volontaria e cosciente tesa a trasmettere il virus.
Il reato sarà considerato doloso se la persona ha volontariamente causato il contagio omettendo di comunicare la propria condizione di salute e di utilizzare le dovute protezioni.
Sarà considerato colposo se il contagio è avvenuto involontariamente (ad es., per rottura del profilattico).
Sono state elaborate diverse teorie riguardano la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente in caso di contagio da H.I.V. attraverso rapporti sessuali non protetti da parte di un individuo consapevolmente affetto dal virus.
La teoria della probabilità afferma che il dolo eventuale si configura quando l’agente si rappresenta l’evento come una conseguenza probabile della propria condotta, senza richiedere un elemento volontaristico specifico.
La colpa cosciente, invece, si applica quando l’agente considera l’evento solo come una possibilità.
Secondo la teoria della possibilità, la punibilità a titolo di dolo eventuale richiede solo la rappresentazione della possibile verificazione dell’evento.
Una versione avanzata di questa teoria prende in considerazione il tipo di conoscenza posseduta dall’agente, distinguendo tra la consapevolezza della pericolosità concreta e astratta della propria condotta rispetto al bene giuridico.
La teoria dell’operosa volontà di evitare sostiene che il dolo eventuale debba essere escluso se l’agente ha preso misure astrattamente idonee per evitare il pericolo di produrre l’evento lesivo.
Infine, le teorie dell’indifferenza o dell’approvazione mettono l’accento sull’atteggiamento interiore dell’agente verso l’evento.
Secondo queste teorie, si configura il dolo eventuale per coloro che approvano o sono indifferenti all’evento, mentre la colpa cosciente riguarda coloro che, pur prevedendo l’evento, non lo desiderano né sperano che si verifichi.
La tesi prevalente nella giurisprudenza attuale è quella dell’accettazione del rischio. Secondo questa teoria, il limite del dolo eventuale è rappresentato dalla certezza che gli eventi possibili rappresentati non si verificheranno.
Pertanto, agisce a titolo di dolo l’agente che, pur non avendo l’evento come scopo, accetta il rischio che si verifichi come risultato della propria condotta, anche se ciò comporta il suo verificarsi.
 Agisce, invece, a titolo di colpa aggravata l’agente che, pur prevedendo l’evento come possibile risultato della propria condotta, agisce nella convinzione che non si verificherà.
La formula di Frank è richiamata a sostegno del criterio dell’accettazione del rischio e richiede una valutazione ex ante dell’impatto che la verifica dell’evento avrebbe avuto sul piano d’azione, al fine di determinare se questo rappresenti o meno un costo che l’agente era disposto a sopportare.
In genere, il reato viene commesso con dolo eventuale, in quanto l’autore non ha intenzione effettiva di causare il contagio ma si rappresenta la possibilità di trasmissione e ne accetta il rischio, non adottando le precauzioni adeguate per evitarlo.

5. Trasmissione H.I.V., ipotesi di colpa cosciente o dolo eventuale? Analisi della giurisprudenza di legittimità


Al fine di stabilire se la trasmissione H.I.V. ricada astrattamente nell’alveo della colpa cosciente o dolo eventuale è opportuno verificare la giurisprudenza di legittimità.
In particolare, si ricordi la sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione, Sez. V del 17 dicembre 2008 – 26 marzo 2009, n. 13388 relativa ad un caso di lesioni personali gravissime provocate proprio da trasmissione del virus H.I.V.
In tal caso l’imputato era stato ritenuto responsabile in primo grado del reato a titolo di dolo eventuale e la condanna è stata confermata in secondo grado dalla Corte di Appello di Firenze.
Gli elementi considerati dalla Corte includono le dichiarazioni della vittima, l’esame medico-legale che ha confermato che l’imputato era portatore di H.I.V. e che il virus era dello stesso tipo di quello contratto da F.B., e le prove ottenute da un’indagine sul computer che ha dimostrato che l’imputato cercava partner con cui consumare rapporti sessuali non protetti nonostante fosse consapevole della propria malattia. Il ricorso presentato dall’imputato è stato respinto.
La Corte di Cassazione nel caso sottoposto al suo vaglio ha sottolineato l’insussistenza di errore nella qualificazione del reato, poiché l’imputato era stato ritenuto responsabile esattamente dello stesso reato contestatogli, ovvero lesioni personali gravissime, nonostante nella contestazione fosse menzionato l’AIDS e non l’H.I.V.
Inoltre, gli ermellini hanno confermato l’applicazione corretta dell’articolo 40 del codice penale riguardante il nesso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso.
Infine, la Cassazione ha respinto l’argomentazione secondo cui il reato sarebbe stato commesso a titolo di colpa anziché di dolo, sostenendo che il comportamento dell’imputato corrispondeva allo schema legale del dolo eventuale, in quanto egli era consapevole della propria malattia e dell’alta probabilità di trasmetterla durante il rapporto non protetto, pur continuando a cercare partner per tali attività.
La donna, è morta diversi anni dopo aver contratto il virus, senza aver potuto ricorrere a cure adeguate.
Da ultimo in tale arresto la Corte ha ritenuto che: “tale comportamento corrisponde esattamente allo schema legale del dolo eventuale, atteso che contempla l’espressa accettazione delle conseguenze estreme della condotta, che sembrerebbero quasi auspicate” del resto la sentenza impugnata ha anche accertato che la p.o. aveva voluto la penetrazione, ma alla esclusiva condizione che fosse protetta; per la sua professione( …) infatti, F. era ben consapevole di quanto fosse grave il rischio di un rapporto senza profilattico”.
Ancora, si deve richiamare la sentenza Cass. pen., Sez. I, 3 agosto 2001, n. 30425, relativa ad un caso di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento.
L’imputato aveva cagionato la morte della moglie a causa dell’AIDS, trasmesso attraverso rapporti sessuali non protetti, nonostante fosse consapevole della propria sieropositività e avesse conoscenza dei modi di trasmissione del virus.
Inizialmente, in primo grado l’imputato era stato condannato per omicidio volontario, poiché il giudice aveva ravvisato la presenza del dolo eventuale, basandosi sulla ripetizione dei rapporti sessuali e sulla mancanza di adozione di precauzioni durante gli stessi. Tuttavia, in appello, il fatto è stato considerato come omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento.
I giudici di secondo grado hanno rilevato che l’atteggiamento dell’imputato rappresentava una vera e propria rimozione e reiezione psicologica della possibilità di contagio e della conseguente morte della moglie.
Anche in questo caso la Suprema Corte ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica data dalla Corte territoriale, osservando che l’imputato aveva sempre agito confidando nel fatto che il contagio non si sarebbe verificato e che non avrebbe causato danni alla salute della moglie.
La conclusione a cui è giunto il giudice di legittimità, tuttavia, ha suscitato perplessità poiché pare difficile dubitare che il caso concreto avrebbe potuto essere qualificato quale omicidio doloso.
Nel caso in questione, il reo era consapevole della propria sieropositività e degli eventuali rischi di trasmissione del virus, poiché era stato informato dai medici che aveva consultato. Inoltre, si era rappresentato l’evento della morte come una possibilità reale. L’approccio giudiziario che ha qualificato il reato come omicidio colposo, invece che doloso, sembra basarsi sull’analisi dell’atteggiamento emotivo del reo e sulla sua percezione dell’evento.
Questo potrebbe essere interpretato come un’applicazione delle teorie emozionali nella valutazione della responsabilità penale.
Sul punto, si è pronunciata la Suprema Corte[10], affermando che: «risponde a titolo di dolo eventuale il soggetto sieropositivo che abbia ripetuti rapporti sessuali non protetti con il proprio partner quando risulti che fosse perfettamente a conoscenza del male dal quale era affetto e consapevole della concreta possibilità di trasmettere il male al proprio compagno».
La Corte ha così richiamato quelle teorie che si fondano sul concetto di prevedibilità dell’evento; secondo le stesse è necessario effettuare una analisi approfondita della condotta del soggetto agente per verificare, in caso di dolo eventuale, l’esistenza di un atteggiamento psicologico che riconduca l’evento nella sfera di volizione. Nel caso di specie, la donna era consapevole di essere affetta da HIV e di poter trasmettere la infezione al compagno e, nonostante ciò, ha agito accettando il rischio di verificazione dell’evento che si è infatti concretizzato.
La Corte di Cassazione con sentenza 20/2/2013, n. 8513[11], ha affermato che: “sussiste la responsabilità, a titolo di dolo del reato di lesioni personali gravissime, di un soggetto che, consapevole di essere affetto da sindrome di H.I.V., ciò nonostante intrattiene per lunghi anni rapporti sessuali con il proprio partner, senza avvertirlo del pericolo e così finendo per trasmettergli il virus della suddetta malattia”.
Più recentemente con sentenza 26/11/2019 n. 48014, la Cassazione ha confermato la condanna a 22 anni di reclusione per il reato di lesioni gravissime nei confronti di un imputato che, consapevole della propria sieropositività, aveva volontariamente trasmesso il virus H.I.V. a decine di partner, consumando rapporti sessuali non protetti.
Nel processo, la Corte, ha sottolineato che per l’accertamento della responsabilità dell’imputato è necessario verificare tre elementi: l’esistenza di rapporti sessuali, l’identità del virus contratto dalle persone coinvolte e la direzionalità del contagio. Quest’ultima è meno semplice da accertare e richiede un’analisi approfondita delle circostanze. L’imputato era stato anche accusato del reato di epidemia ma i giudici di merito l’avevano respinta, sostenendo che, la diffusione del virus non era avvenuta in modo incontrollabile su un numero significativo di persone entro un breve periodo di tempo. La Cassazione confermava la condanna per lesioni gravissime ed escludeva l’accusa di epidemia in quanto la diffusione del virus non rispondeva agli elementi tipici di tale reato.
Ancora, si segnala anche la più recente sentenza della V Sezione Penale della Corte di Cassazione n. 6911 del 23/11/ 2022, dep. il 17/2/ 2023, riguarda un caso in cui un uomo affetto da virus H.I.V. aveva consumato per dieci anni rapporti sessuali non protetti e non dichiarati con il proprio compagno, il quale si era ammalato di AIDS.
Il Tribunale, aveva condannato l’uomo per il reato di lesioni personali gravissime a titolo di dolo eventuale, in quanto la sua condotta aveva causato una malattia certamente o probabilmente insanabile al partner.
L’imputato presentava ricorso, basandosi su due principali motivi: 

  • nesso di causalità, suggerendo che il contagio del compagno potrebbe essere stato causato da rapporti sessuali con altri partner occasionali. Tuttavia, la Cassazione ha stabilito che quando si tratta di patologie che possono essere causate da diversi fattori alternativi, la regola “al di là di ogni ragionevole dubbio” può essere applicata per condannare il colpevole, a condizione che l’ipotesi alternativa sia priva di supporto nelle prove acquisite durante il processo e sia incompatibile con l’ordine naturale delle cose e la razionalità umana.
  • elemento soggettivo del reato, affermando che la sua condotta era frutto di un “malgoverno del rischio” piuttosto che di un’intenzione diretta di causare danni. In tal caso la Cassazione ha ribadito che per provare il dolo eventuale è sufficiente dimostrare che l’agente era pienamente consapevole di essere portatore del virus e ha ripetutamente consumato rapporti sessuali non protetti senza avvisare il partner del proprio stato. La Corte, respingeva i motivi del ricorso, confermando la condanna per il reato di lesioni personali gravissime a titolo di dolo eventuale, sostenendo che per la valutazione dell’elemento soggettivo, occorre valutare la conoscenza dei rischi di contagio, la volontà di evitare la lesione del bene giuridico, l’ approvazione o indifferenza verso l’evento, nonché l’ accettazione del rischio; dovranno, inoltre, essere analizzare le prove disponibili, tra cui dichiarazioni dell’agente, testimonianze e altre evidenze, quindi tutte le circostanze del caso concreto[12].

In conclusione, alla luce delle impostazioni dottrinali e giurisprudenziali analizzate la condotta del soggetto affetto da H.I.V. che tace sulle proprie condizioni e consuma rapporti sessuali non protetti, viene considerata una forma di lesioni personali gravissime (nei casi più estremi omicidio) e punita ex artt. 582 e 583 co. 2., n.1 c.p., in quanto il reo cagiona alla persona offesa una malattia infettiva, cronica, insanabile e pericolosa per la vita.
In questo contesto, l’elemento soggettivo che integra il reato è il dolo eventuale e la tesi prevalente è quella dell’accettazione del rischio: il soggetto, infatti, agisce a titolo di dolo eventuale quando, pur non avendo l’evento come scopo, accetta comunque il rischio che si verifichi come risultato della propria azione, non adottando le precauzioni adeguate ad evitarlo.

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Note

  1. [1]

    La responsabilità da contagio non sussiste qualora siano state assunte tutte le precauzioni necessarie a precludere la trasmissione dell’infezione, come l’utilizzo del profilattico o qualora si siano verificati incidenti, come la rottura del profilattico.

  2. [2]

    La malattia si definisce insanabile quando “lo stato patologico non è suscettibile di guarigione o guarisce soltanto in pochissimi casi”, sul punto L. Tramontano, “Lineamenti di diritto penale”, Halley editrice, 513, 2006.

  3. [3]

    Acronimo di Human Immunodeficiency Virus.

  4. [4]

    Acronimo di Acquired immune deficiency sindrome.

  5. [5]

    Trib. Milano, sent. 18.01.2008, Altalex Massimario 8/2008.

  6. [6]

    Cass., sez. IV, 14.11.1996, n. 10643, P.C. in c. Franciolini ed altri, in C.E.D. Cass., n. 207339.

  7. [7]

    Ibidem

  8. [8]

    Sent. Cass. S.U. 11/9/2002 n. 30328.

  9. [9]

    In tal senso si esprime Cass., 17/12/2008, n.13388 (R. Garofoli, G.L. Gatta, Cod.Pen. e delle leggi penali speciali annotato con la giurisprudenza, XVI Ed. 2023/2024) non esclude però l’inesistenza del nesso di causalità tra condotta ed evento.

  10. [10]

    Sent. 1/12/2008 n. 44712, V. CITRARO, Il soggetto affetto da H.I.V. che intrattiene rapporti non protetti con il proprio partner sano ed inconsapevole: dolo eventuale o colpa cosciente?, 2016, www. Deiurecriminalibus.altervista.org.

  11. [11]

    R. Garofoli, G.L. Gatta, Cod.Pen. e delle leggi penali speciali annotato con la giurisprudenza, XVI Ed. 2023/2024.

  12. [12]

    Allo stesso modo: Cass. pen., Sez. I, 28/01/1991, Caporaso, n.5527.

Gaia Negro

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