Cassazione: volontà di procedere nei confronti del reo deve essere chiara ed inequivocabile

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 1964 del 17 gennaio 2024, ha chiarito che la manifestazione della volontà di instare per la punizione del reo, pur non richiedendo formule sacramentali, deve essere assolutamente chiara ed inequivocabile e non può desumersi dai contenuti di una mera denuncia di un fatto di reato.

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Corte di Cassazione – Sez. VI Pen. – Sent. n. 1964 del 17/01/2024

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Indice

1. I fatti

La Corte di appello di Bologna ha rigettato con sentenza l’impugnazione proposta dall’imputato avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che lo aveva ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 624 cod. pen. perché, per assicurarsi profitto, “si era impossessato di una cassetta contenente tra l’altro 7 blocchetti ‘gratta e vinci’ nuovi ed altri ‘gratta e vinci’ vincenti da convalidare, di proprietà del Bar […] sottraendoli dal locale dell’esercizio ove era custodita, e, riconosciute le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 100 di multa, pena sospesa, oltre che al pagamento delle spese processuali“.
Ad avviso della Corte di appello, andava confermata la decisione di primo grado in quanto era presente la condizione di procedibilità della querela sporta dalla parte offesa e non poteva essere applicata la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, in quanto l’imputato era già gravato da diversi precedenti penali specifici.
Avverso la sentenza della Corte territoriale l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione affidandolo a due motivi: a) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di mancanza della condizione di procedibilità della querela: nello specifico, il ricorrente deduce che il procedimento aveva avuto origine da una denuncia orale all’interno della quale era del tutto assente la volontà di perseguire il colpevole ed una diversa interpretazione risulterebbe contraria al principio di favore verso l’imputato; b) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. proc. pen., per la particolare tenuità del fatto, alla luce dell’esiguità del danno.
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2. L’analisi dela Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, ricorda, in primo luogo, il principio secondo cui “la volontà di chiedere la punizione del colpevole non è sottoposta a particolari formalità e può ricavarsi dall’esame dello stesso atto di querela. Invero, in tema di reati perseguibili a querela, la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa non richiede formule particolari e, pertanto, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, i quali, ove emergano situazioni di incertezza, vanno comunque interpretati alla luce del ‘favor querelae’“.
Inoltre, per ciò che concerne la validità della querela presentata oralmente alla polizia giudiziaria a seguito di arresto in flagranza, la manifestazione di volontà della persona offesa di perseguire l’autore del reato è desumibile dall’espressa qualificazione dell’atto, formato su richiesta della persona offesa, come “verbale di ricezione di querela orale” qualora la richiesta si accompagni ad una inequivoca manifestazione della volontà punitiva ai danni del colpevole. Dunque, l’omessa indicazione della “formale richiesta di punizione” ovvero dell’uso delle formule di “chiusura” non è stata ritenuta dirimente ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità in quanto, allorché l’atto di querela venga formato in costanza di arresto e, dunque, presentato oralmente alla polizia giudiziaria, non può prescindersi dalla valutazione del contesto di fatto sotteso alla qualificazione dell’atto come querela.
Nel caso di specie, era stata sporta denuncia orale presso la Stazione dei carabinieri di Reggio Emilia ma tale dichiarazione era sprovvista di una forma – anche solo di stile – volta ad indicare che i responsabili fossero individuati e puniti; tuttavia, alla stessa è stata riconosciuta la qualità di denuncia-querela in ragione della successiva condotta osservata dalla persona offesa, in sede di dichiarazioni testimoniali.
La Corte territoriale rimarca che la parte offesa, rispondendo a specifica domanda del giudice, ha ribadito di voler conoscere l’identità dell’autore del furto che avrebbe dovuto essere almeno punito. È altresì presente agli atti del fascicolo d’ufficio il verbale di ricezione della denuncia orale ma non si rinviene, come in effetti accertato dalla sentenza impugnata, in alcuna parte del documento l’indicazione della volontà punitiva da parte della vittima del furto.
A fronte di tale quadro complessivo, ad avviso della Cassazione, non può essere condiviso l’assunto della sentenza impugnata di ritenere presente la condizione di procedibilità della querela.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione, pur ribadendo che l’apprezzamento della sussistenza della volontà di querelare costituisce giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità, sempre che l’interpretazione di tale volontà, in tutti i suoi elementi, sia compiuta dal giudice di merito in conformità a corretti canoni di ermeneutica, osserva come “non si possa inferire la sussistenza di una implicita volontà di perseguire gli autori del reato da manifestazioni di volontà intervenute successivamente all’avvenuta denuncia, nonché dalla successiva costituzione di parte civile, pur se intervenuta entro il termine per presentare querela“.
La Corte riprende consolidati orientamenti secondo cui “la denuncia – e cioè la comunicazione all’Autorità dell’avvenuta consumazione di un fatto di reato – non è sufficiente a qualificare il relativo atto come querela, ove quest’ultimo non contenga l’univoca manifestazione, da parte del soggetto legittimato, della volontà di chiedere la punizione del colpevole, atteso che proprio in ciò consiste la differenziazione tra querela e denuncia“.
Sulla scorta dell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la volontà di perseguire il responsabile del reato non può essere dedotta dal comportamento successivo alla presentazione della denuncia allorché il tenore di quest’ultima risulti del tutto privo di indicazioni al riguardo, anche per il principio generale, vigente in materia penale, in dubio pro reo, non appare nemmeno ammissibile una accentuata operazione di interpretazione della volontà del dichiarante ad opera del giudice, che è incompatibile con la formulazione dell’art. 336 cod. proc. pen., il quale richiede una “dichiarazione”, con cui “si manifesta” la volontà che si proceda.
La Corte di Cassazione ha, dunque, annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché l’azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela.

Riccardo Polito

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