Cassazione: presunzione di pari responsabilità nello scontro tra veicoli anche se il giudice di pace decide secondo equità

Redazione 05/10/11
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In caso di incidente stradale la regola, per il giudice di pace, è che il concorso di colpa si presume a meno che una delle parti non dimostri di non avere alcuna responsabilità. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19871 del 29 settembre 2011.

 

Per effetto della sentenza della Corte costituzionale 206/2004, che ha inciso sull’art. 113 co. 2 c.p.c., il giudice di pace, nei giudizi di equità, è tenuto ad osservare i principi informatori della materia. Ne è sorto un problema interpretativo di rilevante portata pratica, concernente la sorte che è destinata ad avere nell’ambito del giudizio di equità la presunzione legale di colpa prevista dall’art. 2054 c.c., per cui, nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli.

Su tale problema è da ultimo intervenuta la Cassazione che, con la sent. 19871/2011 ha fissato il principio in base al quale il giudizio secondo equità non può mai travalicare i principi regolatori della materia. Ciò non implica che il giudice di pace debba applicare una regola equitativa desunta dalla disciplina positiva, ma solo che, nell’applicare detta regola, abbia cura di osservare che essa non contrasti con i principi ai quali si è ispirato il legislatore nel dettare una determinata regolamentazione della materia. Pertanto, nel caso in specie, ricorrendo lo scontro tra due veicoli, il concorso di colpa di ciascun conducente alla produzione del danno si presume a meno che una delle parti non dimostri di non avere alcuna responsabilità.

Invero, la soluzione della descritta questione giuridica ruota attorno alla nozione di «principi informatori della materia» e alla stessa configurabilità di una «materia» giuridica individuabile nella «responsabilità civile da circolazione stradale» o «infortunistica stradale», autonoma rispetto alla materia della «responsabilità civile da fatto illecito». In questa prospettiva non sembrano rinvenirsi valide ragioni per escludere che la responsabilità da circolazione stradale costituisca un’autonoma materia giuridica, retta da alcuni principi informatori e da numerose regole di dettaglio, che si pone in rapporto di species a genus rispetto alla figura generale di responsabilità da fatto illecito extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c.

L’evoluzione della giurisprudenza sul punto, già nel precedente assetto normativo, ha mostrato di aderire all’opzione ermeneutica che ravvisava nella presunzione di pari responsabilità dei due guidatori, in caso di scontro tra veicoli, un principio regolatore della materia al quale il giudice conciliatore avrebbe dovuto attenersi; nulla, peraltro, è intervenuto nel successivo quadro normativo ad impedire che tale presunzione possa essere qualificata come principio informatore. Vale a confermare l’assunto la semplice constatazione che esso, senza dettare regole in punto di incidenza del rischio della mancata prova di una circostanza rimasta incerta nel giudizio, stabilisce una presunzione che costituisce applicazione dei criteri generalissimi in materia di concorso di cause, criteri ai quali risulta conformata l’intera disciplina della responsabilità da fatto illecito.

Un simile approdo, infine, assume rilievo anche sotto il profilo dell’appellabilità delle sentenze, atteso che, ai sensi dell’art. 339, co. 3, c.p.c. (come sostituito dall’art. 1 D.Lgs. 40/2006), «le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia». E, come precisato dalla Corte nella sentenza in commento, «ai fini della impugnazione delle sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità, la presunzione di pari responsabilità dei due guidatori, in caso di scontro tra veicoli, di cui all’art. 2054, secondo comma, cod. civ., costituisce principio informatore della materia». (Anna Costagliola)

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