Cassazione: possibile l’affido esclusivo del minore alla coppia omosessuale

Redazione 15/01/13
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Lucia Nacciarone

Con la sentenza n. 601 dell’11 gennaio 2013 i giudici di legittimità hanno respinto il ricorso di un uomo di origine musulmana cui era stato negato l’affidamento condiviso del figlio, confermando le statuizioni della Corte di merito.

Il ricorrente aveva adìto la Cassazione contestando che il bambino fosse stato affidato in via esclusiva alla madre, per avere la stessa una stabile convivenza con una donna.

Al fine di riassumere le motivazioni con cui gli ermellini hanno respinto il ricorso appare opportuno analizzare i fatti storici dai quali ha originato la vicenda giudiziaria.

La coppia si era divisa, e successivamente la donna, ex tossicodipendente, aveva intrecciato un relazione stabile con una operatrice della comunità presso cui era stata ricoverata, suscitando a tal punto le ire dell’ex coniuge, di religione musulmana, che costui non aveva esitato ad aggredire la compagna della moglie, verbalmente e fisicamente.

Il grave episodio di violenza si era verificato in presenza del figlio, e sebbene non fosse stato rivolto all’indirizzo della madre, ma della convivente, lo aveva irrimediabilmente traumatizzato, considerato anche che il bambino era abituato a considerare la convivente della madre come una persona di famiglia.

Per questo i giudici lo avevano affidato in via esclusiva alla donna, dando scarso peso alle spiegazioni addotte dall’uomo per giustificare la sua violenza, risiedenti principalmente nella sua origine e formazione culturale di stampo musulmano, che mal tollera unioni omosessuali.

L’uomo aveva quindi proposto ricorso, con cui denunciava in principal modo l’insufficienza della motivazione quanto al diniego dell’affidamento condiviso, che per legge costituisce la regola; ulteriore cesura aveva riguardato la mancata indagine sulle reali attitudini della donna ad essere genitore, non avendo i giudici di merito adeguatamente valutato il contesto familiare in cui viveva il minore, e le ripercussioni sul piano educativo e della crescita del medesimo derivanti dal fatto che la madre aveva un relazione sentimentale e conviveva con una ex educatrice della comunità in cui era stata ospitata.

Gli ermellini hanno dichiarato inammissibili i motivi del ricorso, rendendo definitiva la decisione di merito sull’affido esclusivo del piccolo alla madre, così motivando:

a) innanzitutto, l’affidamento esclusivo era stato in origine adeguatamente motivato in conseguenza del comportamento aggressivo del padre, da un lato, dall’altro dall’allontanamento dello stesso dal figlio per circa dieci mesi, con sottrazione al regime degli incontri protetti, circostanza, questa, che indicava senz’altro un comportamento non improntato a volontà di recupero delle funzioni genitoriali e poco coerente con la stessa richiesta di affidamento condiviso e di frequentazione libera del bambino;

b) con riguardo, invece, al mancato approfondimento circa il fatto che la famiglia in cui era inserito il minore, composta da due donne legate da una relazione omosessuale, fosse idonea sotto il profilo educativo a garantire l’equilibrato sviluppo del bambino, «in relazione ai diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio di cui all’art. 29 della Costituzione, alla equiparazione dei figli nati fuori dal matrimonio con i figli legittimi di cui all’art. 30 della Costituzione ed al diritto fondamentale del minore di essere educato secondo i principi culturali e religiosi di entrambi i genitori», ebbene con riferimento a questo secondo aspetto gli ermellini hanno ritenuto che si trattasse di un mero pregiudizio da parte del padre naturale. Invero, l’asserita circostanza per cui un minore debba trovarsi in difficoltà ed emarginato per il sol fatto di crescere in una famiglia omosessuale andrebbe provata, non potendo parlarsi di pregiudizio in re ipsa. Sul punto, continuano i giudici, «non sono poste certezza scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque la Corte d’appello ha preteso fosse specificamente argomentata».

Per questo il ricorso dell’uomo è stato respinto, confermando l’affidamento del minore in via esclusiva alla madre e il suo contestuale inserimento in una famiglia caratterizzata da una unione omosessuale fra due donne: ma ciò che più conta è come sempre il principio nomofilattico espresso dalla Corte di legittimità, alla stregua del quale oggi non viene dato più per scontato il fatto che per un bambino sia pregiudizievole vivere con una coppia omosessuale, essendo piuttosto necessario provare di volta in volta il cattivo esito del percorso educativo e formativo tout court di chi ha come genitori due persone delle stesso sesso, ed il nesso di causalità fra quest’ultima circostanza (la convivenza con una coppia omosessuale) e il pregiudizio o danno effettivamente subìto.

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