Cassazione: niente carcere duro se il condannato è ultraottantenne e depresso

Redazione 29/10/13
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Lucia Nacciarone

Con la sentenza n. 43890 del 25 ottobre 2013 i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso dell’imputato, che si era visto respingere in appello la richiesta di arresti domiciliari per gravi motivi di salute.

L’uomo era quindi rimasto in carcere, nonostante dalle varie relazioni mediche e perizie fosse emerso che il suo quadro clinico era sicuramente grave, e nonostante la sua età avanzata.

Ciò, in virtù del fatto che, ad avviso dei giudici del merito, non v’erano comunque elementi che affermassero che «i processi degenerativi in atto dello stato patologico»venissero aggravati dalla detenzione. Ma la Corte suprema di legittimità ha evidenziato come le condizioni dell’imputato vadano valutate non solo al momento dell’accertamento, ma anche in base alle loro prevedibili involuzioni cliniche.

Pertanto il tribunale di merito ha erroneamente sottovalutato l’età dell’uomo così come la sua depressione in atto. Tali elementi non possono essere trascurati, soprattutto in omaggio al principio rieducativo della pena (art. 27. comma 3, della Costituzione, ai sensi del quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato) e al fondamentale diritto alla salute (che riceve tutela espressa in base all’art. 32 Cost.).

Inoltre, per il nostro codice di procedura penale, è ammessa la custodia cautelare in carcere di persona di età superiore ai 70 anni ma solo in costanza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (art. 275, comma 4, c.p.p).

Niente carcere, dunque, concludono gli ermellini, alla persona affetta da malattia particolarmente grave da rendere le sue condizioni di salute incompatibili con lo stato detentivo o non adeguatamente curabili.

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