Cassazione: Leccare sul viso con ‘fine di ingiuria’ è reato di violenza sessuale

Redazione 31/08/16
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Bisogna fare riferimento sia ad un criterio oggettivistico-anatomico che oggettivistico-contestuale per comprendere il concetto di atto sessuale, perché è dal contesto in cui è stata svolta l’azione che è possibile desumere dalle modalità della condotta nel suo complesso se la libera determinazione della sfera sessuale altrui sia stata o meno indebitamente compromessa.

Questo è quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 35591/2016, depositata il 29 agosto, che riguardava il caso di un uomo condannato per aver minacciato una donna e per averla costretta a subire atti sessuali contro la sua volontà.

La vicenda.

Dopo  averle detto: “ti ammazzo, te ne devi andare da qui, ti rovino, ti faccio chiudere, ti ammazzo”, l’imputato le aveva palpeggiato il seno e, avvicinandosi al di lei corpo, le aveva leccato il volto dal mento al naso.

Condannato dalla Corte d’appello competente, l’imputato ricorreva in Cassazione contro la sentenza, sostenendo che , pur avendo attinto zone erotiche della vittima, avrebbe agito non per un fine di concupiscenza ma esclusivamente per ingiuria.

Di conseguenza, il suo comportamento non avrebbe integrato la fattispecie di reato della violenza sessuale: non si sarebbe trattato dunque di un atto sessuale o, in caso lo fosse stato, lo avrebbe comunque compiuto senza che ci fosse quell’elemento soggettivo necessario per l’integrazione della fattispecie incriminatrice.

In breve, la sua volontà non era diretta a limitare la libertà sessuale della vittima, piuttosto ad ingiuriarla.

La fattispecie di reato della violenza sessuale

Tale assunto è profondamente errato secondo la Cassazione che sostiene come, in relazione all’obiettività giuridica criminosa che sorregge la fattispecie incriminatrice in ragione dell’interesse specifico penalmente tutelato, non si sia tenuto conto del fatto che il soddisfacimento della concupiscenza dell’aggressore non sia un elemento necessario ma solo eventuale e concorrente del reato di violenza sessuale.

Per cui, accompagnata o meno dalla realizzazione di un fine di libidine, violenta, abusiva e fraudolenta diretta a compromettere la libertà sessuale della vittima, è la condotta ad integrare l’elemento oggettivo della fattispecie ex art 609-bis c.p. – compromissione, necessaria e sufficiente per l’integrazione della fattispecie incriminatrice.

Tale reato si realizza, infatti, nel momento in cui si attinge alla sfera sessuale della persona senza consenso nel caso della violenza sessuale realizzata in forma costrittiva o senza un valido consenso nella situazione di una violenza sessuale realizzata in forma abusiva o fraudolenta.

Capovolgendo gli schemi che precedentemente reggevano le fattispecie incriminatrici in materia di reati sessuali, una tale impostazione fa principalmente leva sulla libertà di autodeterminazione della persona nella sfera sessuale e sposta il baricentro dell’incriminazione.

In conclusione, nella sua sentenza la Corte ha valorizzato quindi una nota descrittiva dell’illecito costituita soprattutto dal concetto di “atto sessuale” che, se non realizzato liberamente dal soggetto che lo compie o che lo subisce, integra, a condizione esatte, la fattispecie di reato della violenza sessuale.

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