Cassazione: anche gli atti preparatori della rapina presentano gli estremi del tentativo punibile

Redazione 04/04/12
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Lucia Nacciarone

Con la sentenza n. 12175 del 2 aprile 2012 la Corte suprema di legittimità ha confermato la condanna a carico di un uomo che era stato trovato in possesso di armi in attesa del momento propizio per portare a termine la rapina in una banca.

La pronuncia è importante perché si sofferma sui diversi orientamenti in merito al concetto di tentativo punibile, e sulla nozione di atti idonei e univoci, utilizzata dal legislatore come parametro a tale scopo.

Mentre sotto la vigenza del codice penale Zanardelli erano punibili solo gli atti che consistevano in un principio di esecuzione, il codice Rocco ha eliminato questa distinzione, e molto spesso può porsi il problema di individuare la linea di confine che separa il semplice accordo di commettere un reato (non punibile ai sensi dell’art. 115 c.p., in base al principio mera cogitationem poenam nemo patitur) e gli atti idonei inequivoci, non punibili.

In ordine al concetto di idoneità degli atti, la giurisprudenza della Corte è compatta nel ritenere un atto si può ritenere idoneo quando, valutato ex ante ed in concreto (cd. criterio della prognosi postuma), ossia tenendo conto di tutte le circostanze conosciute e conoscibili e non di quelle oggettivamente presenti e conosciute dopo, il giudice, sulla base della comune esperienza dell’uomo medio, possa ritenere che quegli atti – indipendentemente dall’insuccesso determinato da fattori estranei – erano tali da ledere, ove portati a compimento, il bene giuridico tutelato dalla norma violata.

Ad avviso di un’altra tesi, invece, gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un reato possono essere esclusivamente gli atti esecutivi, ossia gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, come inizio di esecuzione, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata, in quanto la univocità degli atti indica non un parametro probatorio, ma un criterio di essenza e una caratteristica oggettiva della condotta; ne consegue che non sono punibili, per i sostenitori di questa tesi, i meri atti preparatori.

Nella sentenza la Cassazione mostra di condividere la propria giurisprudenza in materia, adottando la linea dura contro gli atti preparatori del delitto.

Afferma, di conseguenza questo principio di diritto: «al fine del tentativo punibile, assumono rilevanza penale non solo gli atti esecutivi veri e propri del delitto pianificato, ma anche quegli atti che, pur essendo classificabili come atti preparatori, tuttavia, per le circostanze concrete, (di luogo, di tempo, di mezzi ecc.) fanno fondatamente ritenere che l’azione – considerata come l’insieme dei suddetti atti – abbia la rilevante probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che l’agente si trovi ormai ad un punto di non ritorno dall’imminente progettato delitto e che il medesimo sarà commesso a meno che non risultino percepibili incognite che pongano in dubbio tale eventualità, dovendosi, a tal fine, escludere solo quegli eventi imprevedibili non dipendenti dalla volontà del soggetto atteso che costui ha solo un modo per dimostrare di aver receduto dal proposito criminoso: la desistenza volontaria (art. 56, co. 3, c.p.) o il recesso attivo (art. 56, co. 4, c.p.).

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