Cancellazione della società dal registro delle imprese: nel processo succedono i soci

Redazione 19/07/13
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Anna Costagliola

La Corte costituzionale, con ordinanza 17 luglio 2013, n. 198, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2495 c.c. e dell’art. 328 c.p.c. promossa dalla Corte d’appello di Milano limitatamente al profilo per cui tali norme non prevedono, in caso di estinzione della società per effetto di volontaria cancellazione dal registro delle imprese, che il processo prosegua o sia proseguito nei gradi di impugnazione da o nei confronti della società cancellata, sino alla formazione del giudicato. Per il giudice rimettente ciò implica che, non potendosi individuare un successore in capo al quale trasferire il processo, una volta che l’ente sia stato cancellato dal registro delle imprese, il processo debba dichiararsi estinto per cessazione della materia del contendere.

Richiamate le sentenze 22 febbraio 2010, n. 4060, n. 4061 e n. 4062 delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, che hanno sancito il principio per cui la nuova formulazione dell’art. 2495, co. 2, c.c., ancorché dettata per le sole società di capitali, è applicabile anche alle società commerciali di persone, sicché la cancellazione dal registro delle imprese determina, con effetto immediato, l’estinzione delle società medesime, indipendentemente dall’esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti, il giudice rimettente ha investito La Corte Costituzionale del problema delle conseguenze, sul piano processuale, dell’estinzione della s.a.s. appellata per effetto della cancellazione dal registro delle imprese intervenuta in tempo precedente alla proposizione dell’appello. I dubbi di costituzionalità delle norme coinvolte sono stati espressi in rapporto:

a) all’art. 3 Cost., per disparità di trattamento ed irragionevolezza, per la «evidente […] sperequazione nella gestione delle cause fra persone fisiche e persone giuridiche, potendo il rapporto processuale instauratosi con le persone fisiche trasferirsi in capo agli eredi, al contrario di quanto accade, in virtù del novellato art. 2495 c.c., in riferimento alle persone giuridiche, rispetto alle quali il rapporto processuale si estingue senza la possibilità dell’esame dei crediti in discussione»;

b) all’art. 24 Cost., in quanto viene «concessa la facoltà a una parte di sottrarsi ai propri obblighi con un semplice atto formale di cancellazione dal Registro delle imprese, impedendosi alla parte soccombente, alla stregua dei ricordati principi delle Sezioni Unite, di instaurare un valido rapporto processuale d’impugnazione, adeguando il processo alle modificazioni intervenute nel campo sostanziale»;

c) all’art. 111 Cost., poiché «viene costretta una parte processuale ad instaurare un nuovo giudizio, ripercorrendo gradi già esauriti, così determinandosi un indubbio dispendio di energie nella rivalutazione di fatti già in precedenza vagliati e con l’ulteriore conseguenza dell’inevitabile protrarsi della durata del processo».

Nel respingere la questione di illegittimità prospettata, gli Ermellini hanno mostrato la possibilità di sostenere un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate, come confermato dalle sopravvenute pronunce con cui le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione (sentt. 12 marzo 2013, n. 6070 e n. 6071) hanno affrontato lo stesso thema decidendum, riguardante gli effetti della cancellazione della società di persone nei processi in corso nei quali essa è costituita, e la legittimazione degli ex soci di una società commerciale nel caso di attribuzione di beni riferiti ad un rapporto giuridico non esaurito nel momento dell’estinzione per cancellazione. Nelle citate sentenze, le stesse Sezioni Unite, da un lato, osservano come ipotizzare che la volontaria estinzione dell’ente collettivo comporti la cessazione della materia del contendere nei giudizi contro di esso pendenti per l’accertamento di debiti sociali insoddisfatti significherebbe imporre un ingiustificato sacrificio del diritto dei creditori e, dall’altro lato, sottolineano come, anche per non vulnerare il diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost., la previsione della chiamata in responsabilità dei soci operata dal citato art. 2495 c.c. implichi un meccanismo di tipo successorio.

Pertanto, se alla cancellazione dal registro delle imprese non corrisponde il venire meno di ogni rapporto giuridico, ha luogo un fenomeno successorio, in virtù del quale le obbligazioni si trasferiscono ai soci, responsabili nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, ovvero illimitatamente se erano tali allorché la società era in vita, così come ad essi si trasferiscono (in regime di contitolarità o di comunione indivisa), diritti e beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta. Ricondotta la fattispecie ad un fenomeno successorio, è possibile ritenere applicabile, quando la cancellazione e la conseguente estinzione della società abbiano avuto luogo in pendenza di una causa di cui la società stessa era parte, la disposizione dell’art. 110 c.p.c. Se l’estinzione della società cancellata dal registro interviene in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina quindi un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 ss. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.

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