Avviso di accertamento prima dei sessanta giorni, è legittimo?

Redazione 13/07/18
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Orientamenti giurisprudenziali

In un primo momento, l’orientamento della Corte di Cassazione in relazione alla legittimità dell’avviso di accertamento emesso prima dello spirare dei sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di constatazione è stato altalenante. I giudici di legittimità, infatti, ritenevano prevalentemente valido e legittimo l’atto impositivo anche se emesso prima dello scadere del termine di sessanta giorni, dalla conclusione della verifica fiscale, previsto dall’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in quanto la sua notifica non determinerebbe in assoluto la nullità, attesa la natura vincolata dell’atto rispetto al verbale di constatazione sul quale si fonda e considerata la mancanza di una specifica previsione normativa in tal senso, restando comunque garantito al contribuente il diritto di difesa, tanto in via amministrativa, con il ricorso all’autotutela, quanto in via giudiziaria, entro il termine ordinario previsto dalla legge (1).

Anche in relazione all’emissione dell’avviso con il quale l’Ufficio finanziario procede al recupero del credito di imposta, ai sensi della legge 23 dicembre 2000, n. 388, la Suprema Corte (2) ha avuto modo a suo tempo di ritenere che lo stesso può essere emanato prima del decorso del termine dei sessanta giorni di cui all’art. 12 cit, previsto in relazione all’avviso di accertamento, poiché, pur essendo i due atti parificati con riferimento alla loro natura, la diversa soluzione implicherebbe la surrettizia imposizione di un termine di legge non contemplato dalla normativa, senza che ciò sia necessario al fine di evitare pregiudizi per il contribuente, il quale è libero di impugnare sia l’avviso di recupero, sia l’avviso di accertamento, rispetto al quale il primo è comunque atto propedeutico.

In altra occasione (3), i giudici di legittimità hanno avuto modo di statuire che l’esonero dell’osservanza del termine dei sessanta giorni opera in presenza del requisito dell’urgenza dell’emissione dell’atto, anche se in questo non sia enunciato il fatto che ha determinato l’urgenza, poiché, a norma dell’art. 7 della legge n. 212/2000, l’obbligo di motivazione si riferisce esclusivamente alle ragioni della pretesa tributaria, ma non anche ai tempi di emanazione dei provvedimenti impositivi o alle regole procedimentali (fattispecie nella quale l’esigenza di provvedere senza ritardo emergeva dall’adozione dell’atto in prossimità del decorso del termine di decadenza di cui all’art. 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione ad un periodo di imposta).

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Dello stesso tenore altra pronuncia (4), con la quale è stato affermato che l’avviso di accertamento può essere emesso prima dei sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni  ispettive “salvo casi di particolare e motivata urgenza”. La sanzione di invalidità dell’atto – prevista in via generale dall’art. 21 septies della legge 241 del 1990 e con specifico riferimento all’accertamento delle imposte sui redditi e dell’Iva rispettivamente dall’art. 42, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dall’art. 56, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972 – consegue, quindi, solo quando l’avviso medesimo non rechi motivazione sull’eventuale urgenza che ne ha determinato l’adozione. (In applicazione del principio, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva annullato un avviso di accertamento emesso prima dello spirare di sessanta giorni, per non aver verificato se, nella motivazione dello stesso atto, fosse contenuto un riferimento specifico ad eventuali ragioni di urgenza che giustificassero la deroga del termine).

 

 

Una delle poche pronunce favorevoli del medesimo periodo è un’ordinanza (5) con la quale la Corte ritiene che la notifica dell’avviso di accertamento non può avvenire nei confronti del contribuente prima che, ai sensi dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, siano decorsi – di regola e salvo casi di particolare e motivata urgenza – sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, potendo entro tale termine, da considerare perentorio e a sua garanzia, il contribuente comunicare osservazioni e richieste; né è rilevante il contenuto del predetto verbale, poiché se anche esso, come nel caso di specie, non contenga contestazioni, potrebbe comunque dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento.

Dopo posizioni alterne, l’indirizzo si è consolidato a seguito dell’intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (6), alla quale è stato chiesto di stabilire se l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio della propria attività (articolo 12, comma 1), della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – costituisca, nel silenzio della norma, una mera irregolarità sostanzialmente priva di conseguenze esterne, ovvero dia luogo, ad eccezione di casi di “particolare e motivata” urgenza, ad un vizio di legittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, che può essere fatto valere dal contribuente al fine di ottenere, per ciò solo, in sede contenziosa, l’annullamento dell’atto stesso.

Ebbene, la Suprema Corte ha optato per la seconda soluzione, stabilendo come, prima di ogni altra cosa sia necessario attribuire dovuto rilievo già al solo fatto che la norma in esame è inserita nello Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212 del 2000 cit.), il cui articolo 1, com’è noto, stabilisce, al comma 1, che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.

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(1) Cass., sentenza 13 ottobre 2011, n. 21103; Cass., sentenza 5 ottobre 2012, n. 16992.

(2) Cass., sentenza 23 marzo 2012, n. 4687.

(3) Cass., sentenza 13 luglio 2012, n. 11944.

(4) Cass., sentenza 3 novembre 2010, n. 22320.

(5) Cass., ordinanza 15 marzo 2011, n. 6088.

(6) Cass. SS. UU. sentenza del 29 luglio 2013, n. 18184.

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