Appalti pubblici – Responsabilità civile della P.A. (Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione Prima- Sentenza n. 00366/2016 ).

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Innanzi all’adito Tar Palermo viene in decisione il ricorso promosso da un consorzio stabile, con il quale è formulata azione di risarcimento dei danni per equivalente monetario, al fine di fare valere la (presunta) responsabilità aquiliana di una Azienda Sanitaria Provinciale per la mancata declaratoria di decadenza dall’aggiudicazione disposta in favore di altro soggetto; e, conseguentemente, per la mancata aggiudicazione in favore del ricorrente, classificatosi al secondo posto nella graduatoria di merito dell’appalto integrato per la progettazione esecutiva e la esecuzione dei lavori di ristrutturazione ed adeguamento a norma di un Presidio Ospedaliero.

In particolare, il Consorzio aveva, a suo tempo, già impugnato la deliberazione di approvazione dello schema di contratto con ricorso dichiarato inammissibile con sentenza del G.A. di prime cure, confermata dal Consiglio di Stato.

Non solo. L’inammissibilità è stata dichiarata sia a causa della ritenuta insussistenza di una posizione qualificata in capo al Consorzio, giusta la mancata contestazione dell’aggiudicazione della gara a terzi, sia, in grado di appello, avuto riguardo anche alla tardiva contestazione della modificazione soggettiva della compagine delle imprese esecutrici facenti capo al consorzio aggiudicatario.

Rispetto a tali dati processuali, il Consorzio ricorrente, in sede risarcitoria, sostiene che l’adito Tribunale Amministrativo di Palermo, stante l’autonomia dell’azione risarcitoria da quella di annullamento e l’inesistenza della pregiudiziale amministrativa, ben potrebbe esaminare le censure dedotte con il ricorso introduttivo a suo tempo proposto – nonché, quelle articolate con il gravame incidentale presentato dal controinteressato – in quanto la declaratoria di inammissibilità non precluderebbe la richiesta risarcitoria.

Orbene, da parte sua, il Collegio giudicante ha ritenuto che la prospettazione di parte ricorrente non possa trovare adesione.

Sul punto si osserva come il superamento della cd. pregiudiziale di annullamento – e la conseguente possibilità di proporre una domanda risarcitoria anche in via autonoma rispetto all’azione di annullamento – se, per un verso, impedisce al Giudice Amministrativo di dichiarare inammissibile un’azione risarcitoria promossa senza la previa proposizione della domanda di annullamento del provvedimento asseritamente lesivo, per altro verso, non comporta ex se l’irrilevanza dell’esito del giudizio di annullamento – se, come nel caso in esame, proposto in relazione alle vicende del giudizio di danno.

Non può, cioè, predicarsi la assoluta non comunicabilità fra l’esito del pregresso giudizio di annullamento e la proposizione dell’ulteriore giudizio risarcitorio, come, del resto, indirettamente confermato, sul piano degli effetti sostanziali e processuali, dall’incidenza del primo ai fini interruttivi della prescrizione sul secondo.

Così, nel caso sottoposto al suo esame, risulta dirimente, secondo l’adito G.A. siciliano, al fine di ritenere infondata la domanda risarcitoria proposta, la declaratoria di inammissibilità del ricorso promosso dal Consorzio avverso la deliberazione di approvazione dello schema di contratto, alla quale sostanzialmente parte ricorrente aggancia l’effetto lesivo asseritamente prodottosi nella sua sfera giuridica, dolendosi, in particolare, della mancata dichiarazione di decadenza dall’aggiudicazione, che la stazione appaltante avrebbe dovuto disporre a carico del consorzio aggiudicatario, una volta resa nota la variazione delle ditte incaricate dell’esecuzione dei lavori.

Deve, quindi, farsi applicazione dell’art. 30, co. 3, cod. proc. amm., a tenore del quale “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 23 marzo 2011, n. 3) ha chiarito che, ai sensi della disposizione citata, l’omessa tempestiva attivazione di tutti gli strumenti di tutela – anche processuale – offerti dall’ordinamento costituisce, nell’ambito del comportamento complessivo delle parti, un dato valutabile dal giudice alla stregua del generale canone di buona fede in senso oggettivo e dell’altrettanto generale principio di solidarietà, sì da comportare l’esclusione o la mitigazione del danno che sarebbe stato possibile evitare usando l’ordinaria diligenza.

Non solo. L’Adunanza plenaria ha altresì chiarito la valenza sostanziale e non meramente processuale dell’omessa o tardiva impugnazione, che dev’essere considerata come fattore utile ad interrompere il nesso causale fra l’atto illegittimo e la ritrazione del danno, in tal modo precludendo la risarcibilità dei danni che sarebbe stato possibile evitare usando l’ordinaria diligenza” (v. Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 luglio 2015, n. 3739).

Facendo applicazione di questi principi, nel caso in esame emerge la rilevanza sostanziale, sul piano prettamente causale, della carenza di un interesse qualificato in capo al Consorzio (ricorrente), nonchè della tardiva impugnazione del provvedimento (asseritamente) fonte di danno – entrambe definitivamente acclarate dal Giudice di appello – che preclude, precisa l’adito G.A., la risarcibilità di quei danni che la parte avrebbe potuto evitare, se avesse ritualmente utilizzato lo strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a difesa dell’interesse legittimo.

In definitiva, l’affermazione di parte ricorrente, secondo cui la predetta avrebbe tempestivamente impugnato il provvedimento (asseritamente) lesivo, si infrange sull’esito del giudizio di annullamento conclusosi, anche in grado di appello, con una declaratoria di inammissibilità.

Non solo La sostanziale pretesa del Consorzio, di riproporre gli stessi vizi già esposti nel giudizio ormai conclusosi, contrasta con il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile (cioè ogni aspetto sottoposto al vaglio del giudice, anche se poi non espressamente affrontato); e ciò, a fortiori nel caso di specie, in cui la pregiudiziale tardività dell’impugnazione, acclarata in secondo grado, in uno alla ritenuta carenza di posizione qualificata, ha definitivamente consolidato gli effetti del provvedimento impugnato, dal quale, in tesi, scaturirebbero i presunti danni.

Secondo quanto si legge in sentenza, quindi, la procedura posta in essere dall’Azienda sanitaria provinciale è rimasta confermata nella sua legittimità dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso per l’annullamento del provvedimento asseritamente illegittimo; esito, questo, dal quale non può che conseguire la reiezione della domanda di risarcimento dei danni di cui parte ricorrente chiede il ristoro, atteso che non è stato provato né il nesso di causalità, tra i (presunti) danni e l’attività provvedimentale dell’ Azienda sanitaria provinciale, né il carattere ingiusto o illecito della condotta della P.A., la quale è stata tenuta in esecuzione di provvedimenti, i quali non sono stati dichiarati illegittimi.

La tesi di parte ricorrente si infrange anche col divieto del ne bis in idem atteso che l’eventuale esame nel merito dei profili di illegittimità ora dedotti a presupposto dell’azione risarcitoria implicherebbe una sostanziale ripetizione di quel medesimo giudizio di annullamento già negativamente definito in primo e secondo grado con le sentenze prima ricordate, rese inter partes.

 

 

Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics

Cassano Giuseppe

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