Con la Sentenza 3314 del 06 marzo 2023 il Tribunale di Milano ha ritenuto l’impresa Johnson & Johnson colpevole dell’illecito amministrativo previsto dagli artt. 5, comma 1, lett. b), 7 e 25 D.lgs. n. 231/2001. Il reato presupposto è quello previsto dall’art. 319 c.p. “Corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio”.
La Sentenza in commento può essere scorporata in due parti: nella prima si ritrova l’analisi dei concetti di colpa di organizzazione e culpa in vigilando, mentre nella seconda la Corte ha posto l’accento sul sistema sanzionatorio da applicare e, nello specifico, sulle condotte tenute dall’azienda, ai sensi dell’art. 17 D.lgs. n. 231/2001, le quali hanno consentito l’applicazione all’ente della circostanza attenuante di cui all’art. 12 c.2 lett.a) D.lgs n. 231/2001.
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Indice
1. La colpa di organizzazione e la culpa in vigilando
Generalmente la colpa di organizzazione configura un’inefficacia del Modello disposto dall’ente e si concretizza nella mancata predisposizione di un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato (c.d. colpevolezza impersonale), mentre la c.d. di culpa in vigilando si realizza nell’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza, la quale, a detta della recente interpretazione del Tribunale di Milano, non deve necessariamente concretizzarsi attraverso una condotta “colposa” del controllore.
Nello specifico, rispetto ai reati commessi dai soggetti non apicali, la culpa in vigilando rappresenta, quindi, l’elemento di connessione tra reati commessi e l’ente dovendo essere incardinata nella strutturale colpa di organizzazione di cui sopra. Non per questo, però, l’ente dovrà adottare un approccio totalizzante nella predisposizione del Modello, configurandosi una situazione di responsabilità esclusivamente laddove vengano ignorate anomalie, che a seguito di controlli più rigorosi sarebbero state riscontrate ed attuando nei confronti dei propri dipendenti le dovute misure sanzionatorie e/o disciplinari.
2. Lo scontro e il confronto fra l’art. 6 e 7 del d.lgs. 231/2001
La Corte ha fornito, per la prima volta, una chiara e precisa interpretazione degli artt. 6 (Soggetti in posizione apicale e modelli di controllo) e 7 (Soggetti sottoposti all’altrui direzione e modelli di organizzazione dell’ente) del D.lgs. 231/2001.
Prima di affrontare l’argomento è necessario sottolineare che non esistono, a parte un’unica sentenza del 2018 (Cassazione, Sez.VI, 25/09/2018, nr. 54640. Sentenza nella quale la responsabilità dell’ente era stata riconosciuta a causa della totale carenza di un adeguato sistema di controllo e prevenzione), dei precedenti giurisprudenziali rispetto alla corretta interpretazione dell’art. 7, in quanto la giurisprudenza di merito e di legittimità si è formata totalmente sull’art. 6.
Nello specifico il Tribunale non condivide l’interpretazione della difesa, la quale, basandosi sul dettato dell’art. 7 c.2, considera non sufficiente, per il riconoscimento ipso iure della colpa di organizzazione, l’accertata inidoneità del modello organizzativo della società. Ciò in ragione della convinzione che laddove fossero stati svolti correttamente tutti gli obblighi di controllo e vigilanza attraverso protocolli operativi attuati dall’ente sarebbe stato possibile prevenire la commissione del reato-presupposto.
Partendo, quindi, dal presupposto che la prassi aziendalistica sconosce il “doppio modello” e considera il MOG come un modello unico, anche se non obbligatorio (in quanto è la Società a decidere di aderire a quanto disposto dalla normativa), quest’ultimo si rivolgerà sia ai soggetti in posizione apicale che ai loro sottoposti e per tale ragione gli artt. 6 e 7, nonostante disciplinino situazioni difformi fra di loro, coesistono.
Dunque, il comma 2 dell’art. 7 e il dettato successivo dei commi 3 e 4 hanno una valenza precettiva:
- il secondo comma traccia la fattispecie in cui il reato-presupposto è commesso da un soggetto non-apicale;
- il terzo comma (il quale è ricollegabile a quanto disposto dall’art. 6 c.2 lett. b) prevede invece che in relazione alla natura e alla dimensione dell’organizzazione vengano predisposte idonee misure per garantire lo svolgimento dell’attività dell’azienda nel rispetto della legge, consentendo di scovare e conseguentemente di dirimere tempestivamente situazioni di rischio;
- il quarto comma, nello specifico la lett. a) (è comparabile all’art. 6 c.1 lett. b) stabilisce che l’efficace attuazione del modello richieda una verifica periodica, oltre che l’eventuale modifica dello stesso in caso di significative violazioni.
Dunque, alla luce di quanto appena detto, gli artt. 6 e 7 sono fondamentali in quanto, affrontando la commissione del reato da soggetti collocati in posizioni diverse nell’azienda, contengono previsioni e un approccio in grado di circoscrivere la responsabilità dell’ente in caso di violazione del modello e di commissione di una condotta integrante un reato presupposto.
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3. Come superare il vaglio del giudice
Una società, quindi, alla luce di quanto disposto dal dettato della sentenza per poter rispettare quanto posto dall’art. art.7, comma 3, e superare il vaglio del giudice, deve:
- operare con un meccanismo “bloccante” in grado id impedire di portare a compimento la fase di una procedura connotata da una violazione;
- essere in grado di intercettare la presenza di un’anomalia, anche se non automaticamente, riconoscendo eventuali red flags;
- essere presente un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello, il quale si esplica nell’irrogazione di sanzioni e/o nell’istaurazione di un procedimento disciplinare atto a rieducare o neutralizzare l’autore.
4. Il sistema sanzionatorio applicabile e la diminuzione della sanzione
In base a quanto previsto dall’art. 17 d.lgs. 231/2001 al fine di evitare l’applicazione delle misure interdittive è possibile per la Società adottare delle misure che consentano, a volte, anche la diminuzione della pena.
Nel caso di specie il Collegio, valutando positivamente la condotta dell’ente, ha ritenuto applicabile la circostanza attenuante ex art. 12 c.2 lett. a), in quanto quest’ultimo, oltre a risarcire integralmente il danno arrecato, ha eliminato le conseguenze del reato, operandosi efficacemente attraverso il miglioramento del Modello organizzativo considerato inadeguato.
A tal riguardo è necessario prestare attenzione nel non confondere il concetto di attuazione ex art. 17 d.lgs. 231/2001 con la c.d. di operatività del modello che ha consentito l’applicazione di tale circostanza attenuante, perché dall’applicazione di quanto disposto dall’art. 17 lett. b) non deriva automaticamente una diminuzione di sanzione.
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