Accoglimento della richiesta di affidamento in prova al servizio sociale

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     Indice

  1. La questione
  2. La soluzione adottata dalla Cassazione
  3. Conclusioni

1. La questione

Il Tribunale di Sorveglianza di Salerno respingeva una istanza di affidamento in prova al servizio sociale, quale misura alternativa alla pena di mesi sei e giorni sei di reclusione, residua rispetto a quella di un anno di reclusione, inflitta con una sentenza della Corte di Appello di Salerno per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, concedendogli il beneficio, pure richiesto, della detenzione domiciliare e imponendogli le relative prescrizioni.

In particolare, il Tribunale giungeva a tale esito decisorio sulla scorta delle seguenti considerazioni: a) la chiesta messa alla prova in regime di affidamento al servizio sociale era (ritenuta) misura troppo ampia in rapporto alla natura e alla gravità del reato in espiazione e alla personalità del condannato, gravato da tre precedenti penali e da pendenze giudiziarie, neppure risultando comprovato in atti un suo percorso socio-riabilitativo; b) era, invece, stimata concedibile, tenuto conto della durata della pena residua, della risalenza nel tempo dei fatti cui attenevano i precedenti penali, della pendenza di un procedimento penale per il reato di calunnia di oltre dieci anni fa, e degli esiti delle informazioni di polizia circa l’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e la disponibilità di alloggio espressa dai familiari, la misura della detenzione domiciliare, apprezzata come idonea a prevenire il pericolo di ricaduta nel reato.

Avverso il provvedimento summenzionato ricorreva per Cassazione il difensore del detenuto che chiedeva l’annullamento, sulla base di unico motivo, con il quale denunciava violazione dell’art. 47 Ord. pen, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.

Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe reso una motivazione, a fondamento del rigetto della richiesta di affidamento in prova, (ritenuta) generica nel riferimento alla natura e alla gravità del reato in espiazione nonchè contraddittoria, apodittica e inconferente con la ratio del chiesto istituto nell’operato richiamo ai precedenti e ai carichi pendenti, tutti antecedenti al tempus commissi del reato in espiazione, senza considerare la rilevanza, nell’apprezzamento da farsi, dell’evoluzione della sua personalità successiva al fatto; apparente e generica nell’asserita assenza di «un percorso socio-riabilitativo non comprovato in atti».

Oltre a ciò, era fatto altresì presente che il Tribunale, violando la pertinente giurisprudenza di legittimità, neppure avrebbe valorizzato la condotta ineccepibile tenuta dal ricorrente in libertà in un considerevole arco temporale, senza far registrare dopo un episodio 2012 condotte penalmente rilevanti e suoi collegamenti con ambienti malavitosi, né avrebbe considerato l’emersa avviata revisione critica ovvero il suo avviato percorso rieducativo.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

Il ricorso summenzionato era ritenuto fondato.

In particolare, una volta dedotto che il presupposto normativo per la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale è l’idoneità della misura a rieducare il condannato e ad assicurare la prevenzione dal pericolo della commissione di altri reati, gli Ermellini mettevano in evidenza il fatto che la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che, «in tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato. (In motivazione, la Corte ha specificato che le fonti di conoscenza che il tribunale di sorveglianza è chiamato a valutare sono sia il reato commesso, i precedenti penali, le pendenze processuali e le informazioni di polizia sia anche la condotta carceraria ed i risultati dell’indagine socio-familiare operata dalle strutture di osservazione, onde verificare la sussistenza di elementi positivi che facciano ragionevolmente ritenere la proficuità dell’affidamento, quali l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle condotte devianti passate, l’adesione ai valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l’eventuale buona prospettiva risocializzante)» (Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019; tra le altre conformi, Sez. 1, n. 773 del 3/12/2013; Sez. 1, n. 6153 del 19/11/1995, dep. 27/12/1995).

Orbene, ad avviso del Supremo Consesso, il giudice di merito non aveva fatto una esatta interpretazione e applicazione di codesti principi, avendo adottato un percorso argomentativo incongruo e non del tutto aderente alle risultanze processuali disponibili e utilizzate, rilevandosi in particolare che, per la non coerenza ai criteri valutativi, dettati dal parametro legale di riferimento, del giudizio reiettivo della più ampia misura richiesta e per la incongruenza rispetto alle risultanze disponibili del discorso giustificativo della decisione, l’ordinanza impugnata non resisteva, sempre a detta della Corte di legittimità, alle doglianze difensive prospettate nel ricorso per Cassazione.

L’ordinanza impugnata, pertanto, era annullata con rinvio per nuovo esame, allo stesso Tribunale di Sorveglianza di Salerno, che, pur in assoluta libertà di valutazione, avrebbe dovuto tuttavia motivare la propria decisione attenendosi ai rilievi e ai principi di diritto sopra indicati o richiamati.

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale può essere accolta.

Si postula difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un consolidato orientamento nomofilattico, che, in tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato.

Pertanto, per potere accedere a siffatta misura alternativa alla detenzione, basta che, da siffatti risultati, emerga un processo di revisione critica, perlomeno incominciato, sebbene non concluso, da parte del richiedente, a nulla invece rilevando i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza o che vi sia la prova che il soggetto abbia realizzato una definitiva revisione critica del proprio vissuto criminale.

Tale provvedimento, quindi, può essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si deve appurare se il Tribunale di Sorveglianza abbia correttamente deciso su una richiesta di questo genere.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale sentenza, dunque, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere positivo.

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