Abusi del locatario: irrilevanti la diffida o la prospettazione della risoluzione

Redazione 21/09/22
Scarica PDF Stampa
di Mario Petrulli

     Indice

  1. La regola generale
  2. La mera diffida a rimuovere l’abuso
  3. La prospettazione della risoluzione del contratto di locazione

1. La regola generale

Come è noto, nello schema dell’art. 31, comma 2, del Testo Unico Edilizia[1], l’ordine di demolizione ha come destinatari sia il proprietario dell’immobile dove sono state realizzate le opere abusive, sia l’autore dell’abuso. Come evidenziato dalla giurisprudenza[2], l’equiparazione del proprietario all’autore dell’abuso rivela che la misura ripristinatoria ha carattere oggettivo, essendo diretta a reintegrare immediatamente l’ordine urbanistico.

Conseguentemente, il proprietario non può quindi liberarsi dall’obbligo di rimessione in pristino eccependo l’estraneità all’abuso o la buona fede circa il comportamento degli esecutori materiali dei lavori; l’estraneità all’abuso o la buona fede diventano rilevanti solo quando si passa dal comma 2 al comma 3 dell’art. 31 del Testo Unico Edilizia, ossia quando è necessario valutare in che modo l’ordine di demolizione possa essere ottemperato. È nella fase dell’ottemperanza che il proprietario può distinguere la sua posizione da quella dell’autore dell’abuso, evitando la responsabilità solidale con quest’ultimo e la perdita dell’immobile.

Secondo la giurisprudenza, in funzione degli interessi rilevanti a cui mira la normativa edilizia-urbanistica, non sono tutelabili gli interessi di quei proprietari che, pur non avendo concesso i beni per un utilizzo vietato dalla disciplina urbanistica (o per un utilizzo che prevedibilmente sarebbe stato in contrasto con la disciplina urbanistica), abbiano però omesso di esercitare un efficace controllo nel corso del rapporto.

Secondo tale giurisprudenza, una volta che il proprietario è venuto a conoscenza della realizzazione dell’abuso, va riconosciuta “la sussistenza di doveri del proprietario, che riemergono a partire dal momento di conoscenza certa dell’abuso realizzato. Non vale ad escludere l’incombenza dei doveri di gestione dominicale la circostanza della stipulazione del contratto di locazione, in quanto tale negozio, se comporta il trasferimento al conduttore della disponibilità materiale e del godimento dell’immobile, non fa affatto venire meno in assoluto in capo al proprietario i poteri e doveri di controllo, cura e vigilanza spettanti al proprietario locatore, il quale, anche se in un ambito diverso da quello in cui si esplica a sua volta il potere di custodia del conduttore, conserva un effettivo potere fisico sull’entità immobiliare locata (si pensi alla manutenzione straordinaria), con conseguente obbligo, sotto tutti i profili, di vigilanza sull’immobile[3].

2. La mera diffida a rimuovere l’abuso

Il TAR Lombardia, Brescia, sez. II, nella sent. 15 luglio 2022, n. 702, si è occupato della sufficienza o meno di una diffida inviata dal locatore finanziario al locatario o al sublocatario, con invito a rimuovere le opere abusive, ad evitare l’esecuzione dell’ordine di demolizione. Secondo i giudici, in sintesi, la risposta non può che essere negativa, se questa rimane l’unica attività di persuasione o di pressione esercitata sui soggetti che hanno la disponibilità materiale dell’immobile.

Di conseguenza, qualora il locatore finanziario, nel contratto o nell’esecuzione, abbia ristretto il proprio ruolo a quello di semplice finanziatore, disinteressandosi della coerenza tra l’utilizzo dell’immobile e la disciplina urbanistica e rinunciando a far valere la risoluzione del contratto in caso di difformità, non è sufficiente l’invio di semplici diffide ai locatari per evitare la perdita della proprietà ai sensi dell’art. 31, comma 3, del Testo Unico Edilizia. In realtà, le diffide possono costituire un primo passo, ma solo la risoluzione del contratto consente al proprietario di rientrare nel possesso dei beni, e di procedere successivamente alla demolizione.

3. La prospettazione della risoluzione del contratto di locazione

Il TAR Lazio, Roma, sez. II-quater, nella sent. 3 febbraio 2021, n. 1431, ha ricordato che nel caso di abusi edilizi commessi da persona diversa dal proprietario, la posizione del proprietario si ritiene “neutra” rispetto alle sanzioni previste dal  Testo Unico Edilizia, in particolare rispetto all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime sulla quale insiste il bene, solo qualora sia completamente estraneo al compimento dell’opera abusiva, o, essendone venuto a conoscenza, si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento, non essendo a tal fine sufficiente prospettare la formalizzazione della risoluzione del contratto di locazione, senza aver dato poi seguito a tale dichiarata intenzione[4].

Pertanto, il proprietario incolpevole di abuso edilizio commesso da altri, che voglia sfuggire all’effetto sanzionatorio di cui all’art. 31 del DPR 380/2001, come effetto della inottemperanza all’ordine di demolizione, deve provare la intrapresa di iniziative idonee a costringere il responsabile dell’attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità amministrativa, con “azioni idonee”, in quanto, se, per ipotesi, la proprietà potesse dissociarsi soltanto con mere dichiarazioni o affermazioni di dissociazione o con manifestazioni di intenti, senza alcuna attività materiale o almeno giuridica di attivazione diretta ad eliminare l’abuso (risoluzione iniziata giudiziariamente per inadempimento contrattuale, diffide ad eliminare l’abuso, attività materiali), la tutela dagli abusi rimarrebbe inefficace nei casi di locazione. E rispetto a tale necessaria attività di dissociazione non è ritenuto sufficiente prospettare la risoluzione del contratto di locazione[5].

>>>Per ulteriori approfondimenti visita il portale di EdiliziaUrbanistica.it


Note

[1] DPR 380/2001

[2] TAR Lombardia, Brescia, sez. II, sent. 1° febbraio 2022, n. 79.

[3] Cassazione civile, sez. III, sent. 27 luglio 2011, n. 16422.

[4] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 2211/2015.

[5] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 2211/2015.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento