Abilitazione professione avvocato: si alla valutazione in forma numerica delle prove scritte

Redazione 09/06/11
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I giudizi di non ammissione dei candidati che partecipano agli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense possono essere motivati con l’attribuzione di un punteggio numerico.

È quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 8 giugno 2011 n. 175, con cui sono state ritenute infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli arrtt. 3, 4, 24, 41, 97 e 117 della Costituzione e degli arrt. 17-bis, comma 2, 23, quinto comma, 24, primo comma, del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), nella parte in cui dette norme consentono la valutazione in forma numerica delle prove scritte.

In particolare la Corte ha osservato che tale forma di valutazione, prescelta dal legislatore, costituisce, in ogni caso, una modalità di formulazione del giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, con indicazione del punteggio complessivo utile per l’ammissione all’esame orale. Il punteggio esterna, dunque, una valutazione che, sia pure in modo sintetico, rende un giudizio di sufficienza o di insufficienza, variabile a seconda del parametro numerico attribuito al candidato, con cui non solo si stabilisce se quest’ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, ma si esprime altresì la “misura” dell’apprezzamento della commissione esaminatrice all’elaborato e, quindi, del grado di idoneità o inidoneità riscontrato.

D’altro canto, il punteggio, che va comunque espresso con riferimento a specifici parametri previsti dall’art. 22, nono comma, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento della professione di avvocato), può essere soggetto al controllo da parte del giudice amministrativo che, pur non potendo sostituire il proprio giudizio a quello della commissione esaminatrice, può tuttavia sindacarlo, nei casi in cui sussistano elementi in grado di porre in evidenza vizi logici, errori di fatto o profili di contraddizione ictu oculi rilevabili, previo accesso agli atti del procedimento.

Pertanto, sarebbe riduttivo affermare che il punteggio indichi soltanto il risultato della valutazione, in quanto esso, in concreto, si traduce in un giudizio complessivo dell’elaborato, suscettibile di sindacato in sede giurisdizionale. Il criterio in questione, inoltre, risponde ad esigenze di buon andamento dell’azione amministrativa (ex art. 97, primo comma, Cost.), che rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non idoneità, avuto riguardo sia ai tempi entro i quali le operazioni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento, sia al numero dei partecipanti alle prove.

Infine, la Corte esclude che la normativa censurata si ponga in contrasto con l’art. 3, comma 1, della L. 241/1990, che impone la motivazione degli atti amministrativi: fermo restando che il criterio del punteggio numerico è idoneo ad esprimere un giudizio sufficientemente motivato, si deve, poi, osservare che il citato art. 3, comma 1, va coordinato con l’art. 1, comma 1, della medesima l. 241/1990, in virtù del quale l’attività amministrativa è retta anche da criteri di economicità e di efficacia, che giustificano la scelta del modulo valutativo adottato dal legislatore. (Biancamaria Consales)

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