La responsabilità civile

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La responsabilità civile, in diritto, rientra nella categoria più ampia delle responsabilità giuridiche.

In particolare individua l’intero istituto composto dalle norme alle quali spetta il compito di individuare il soggetto tenuto a sopportare il costo della lesione a un interesse altrui, dall’altro può essere considerata sinonimo della stessa obbligazione riparatoria imposta al soggetto responsabile.

Le fonti normative

La responsabilità civile quale istituto si fonda su una molteplicità di norme, anzitutto quelle contenute nel codice civile agli articoli 2043 e seguenti del codice civile e 1218 e seguenti del codice civile.

Esistono altre disposizioni previste per specifiche fattispecie (si veda, ad esempio e senza pretesa di esaustività: gli articoli 10, 874 del codice civile, articolo 15 D- Lgls. 30 giugno 2003, n. 196, articolo 114 e seguenti, D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206.

La responsabilità civile si divide in contrattuale, extracontrattuale e responsabilità ex lege, più correttamente definita, secondo la tradizione gaiana, ex variis causarum figuris (ad esempio responsabilità da negotiorum gestio, artt. 2028 e ss. c.c.).

La seconda ha carattere residuale (di tipo logico-sistematico, non casistico), nel senso che la responsabilità civile è del primo tipo quando il fatto-fonte coincide con l’inadempimento di un rapporto obbligatorio, qualunque ne sia la fonte, è del secondo tipo negli altri casi.

All’interno di essa si rinviene la disciplina del cosiddetto “fatto illecito” descritto, all’articolo 2043 del codice civile, che obbliga chiunque arrechi, con fatto proprio, doloso o colposo, un danno “ingiusto” a un’altra persona, al risarcimento del danno:

“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

La commissione di un fatto illecito, in ragione della presenza nel nostro sistema di ipotesi di responsabilità oggettiva e finanche di ipotesi di responsabilità per fatto altrui, non esaurisce tuttavia l’intero istituto: esso è soltanto uno dei possibili fatti fonte di responsabilità.

Da questo si può ricavare che l’obbligo riparatorio (responsabilità civile in senso stretto) assolve a una funzione non costante nell’ordinamento-

Questo obbligo ha una valenza sanzionatoria (pena privata) quando previsto rispetto a fatti illeciti; puramente compensativa quando originato da fatti ai quali è estranea ogni valutazione di rimproverabilità.

L’induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria italiana è un elemento di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

La norma non comporta la nullità delle clausole di riservatezza che dispongano diversamente in merito, e non vale per dichiarazioni false o omesse rese alla stampa.

Il fatto illecito

L’elaborazione dell’attuale sistematica del fatto ex articolo 2043 del codice civile, è avvenuta a partire dagli anni sessanta, facendo leva sulla natura di clausola generale della norma menzionata.

Sino a quel momento l’approccio tradizionale identificava l’ingiustizia del danno con la lesione di un diritto soggettivo assoluto: salute, onore, proprietà.

Fu Piero Schlesinger ad enunciare il principio di atipicità dell’illecito, aprendo la strada della tutela aquiliana anche ai diritti non assoluti.

Gli articoli 2044 e 2045 del codice civile prevedono cause di esclusione della responsabilità rispettivamente la legittima difesa e lo stato di necessità, nel primo caso la responsabilità dell’agente è esclusa, nell’altro ridotta a un mero indennizzo.

Si dice in proposito che il realizzarsi di tali due fattispecie trasforma la condotta da contra ius a secondum ius.

Un’altra importante deroga esclude la responsabilità di chi abbia compiuto il fatto dannoso in uno stato di incapacità di intendere e di volere; è però importante sapere che lo stato di incapacità non rileva in quanto tale, ma in relazione al fatto; ossia l’inabile è irresponsabile del proprio fatto in quanto la sua incapacità sia tale da non permettergli di comprendere il significato e le conseguenze del proprio agire (art. 2046 c.c.).

Il codice civile italiano individua anche ipotesi di responsabilità oggettiva (ne è un esempio l’ipotesi della quale all’articolo 2050 del codice civile, responsabilità per l’esercizio di attività pericolose), vale a dire, casi nei quali la responsabilità sussiste senza ogni rimproverabilità, o addirittura in conseguenza di un fatto altrui (es. responsabilità dei padroni o committenti, art. 2049 c.c.).

Per altre ipotesi specifiche (artt. 2047 e 2048 c.c.) non c’è accordo sulla loro natura, perché secondo alcuni autori, nonché la giurisprudenza, si tratta di fattispecie fondate sulla colpa, sebbene sia invertito l’onere probatorio rispetto a essa.

La descrizione del fatto in termini di imputazione oggettiva non significa che la norma non trovi applicazione se la fattispecie concreta mostra che la condotta è stata sorretta da dolo o colpa.

La norma resta applicabile il comma 2 dell’art. 2056 del codice civile il giudice potrà determinare in misura maggiore l’ammontare del lucro cessante, salva, ovviamente, la necessità dell’ulteriore prova dell’elemento psichico.

Il risarcimento del danno

In relazione alla quantificazione del danno, vigono i metodi individuati all’articolo 2056 del codice civile, il quale rinvia agli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile.

In particolare il risarcimento del danno si articola nelle due voci del “danno emergente” e del “lucro cessante” (art. 1223 c.c.)  perché sono diretta e immediata conseguenza della lesione.

Per danno emergente si deve intendere ogni perdita, o necessitata erogazione, o mancata acquisizione sebbene se ne avesse diritto, di utilità già presenti nel patrimonio del danneggiato.

Il lucro cessante è ogni mancato guadagno che, invece, si sarebbe prodotto laddove il fatto illecito non fosse stato realizzato.

Il ristoro “per equivalente” convive, nel nostro ordinamento, con il ristoro “in forma specifica” (che potremmo anche definire per identità) dove al danneggiante viene imposto di ripristinare l’esatta situazione quantitativa e qualitativa che si sarebbe conseguita in assenza del fatto illecito (art. 2058 c.c.).

Vige in ogni caso nella quantificazione dell’obbligazione risarcitoria (determinazione del quantum) il principio “compensatio lucri cum damno” per cui mai la prestazione risarcitoria può, nel suo ammontare, superare l’entità del danno, conformandosi come ingiusto profitto per il titolare della situazione giuridica lesa (esclusione della natura punitiva della cosiddetta obbligazione risarcitoria).

L’articolo  2043 del codice civile non tipizza le situazioni soggettive tutelate: è perciò opinione ormai acquisita dalla dottrina e dalla giurisprudenza che la tutela aquiliana riguardi le situazioni soggettive sia patrimoniali sia non patrimoniali.

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