Il frazionamento del credito: una recente pronuncia (Cassazione civile, sez. II, ordinanza 20 agosto 2019 n. 21521)

Redazione 29/01/20
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di Martina Mazzei

Sommario

1. Il caso

1.1. I motivi di ricorso

1.2. La decisione della Corte

2. Il frazionamento del credito

1. Il caso

La sentenza in commento (Cassazione civile, sez. II, ordinanza 20 agosto 2019 n. 21521) trae origine dalla pronuncia con cui il Tribunale di Taranto ha revocato il decreto ingiuntivo in favore di un avvocato a titolo di compenso professionale per l’attività da questi svolta. Il Tribunale aveva ritenuto, infatti, che l’attività difensiva fosse unica in relazione ad una pluralità di soggetti avendo questa redatto un unico ricorso con il quale erano stati impugnati davanti al giudice amministrativo alcuni provvedimenti compresa la redazione di un appello cautelare davanti al Consiglio di Stato. L’opposta, secondo il giudice di prime cure, non aveva fornito elementi probatori idonei al riscontro dell’importanza e della complessità delle questioni trattate e, in caso di assistenza di più parti aventi la stessa posizione processuale, doveva applicarsi un unico onorario aumentato, ai sensi dell’art. 5 comma 4 del D.M. n. 585 del 1994.

Avverso la suddetta sentenza l’avvocato interponeva appello. La Corte d’Appello di Lecce, tuttavia, rigettava il gravame, rilevando che, al di là del fatto che l’obbligazione a carico di plurimi clienti assistiti nel procedimento giurisdizionale amministrativo abbia natura solidale con la conseguenza del teorico frazionamento della pretesa nei confronti degli obbligati in solido, di fatto, il compenso era unico e la sua divisione attraverso distinte azioni giudiziarie violava il principio costituzionale del giusto processo. La parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria si traduceva, secondo la Corte d’appello, in un abuso degli strumenti processuali.

L’avvocato, quindi, ricorreva in Cassazione affidandosi a tre motivi.

Per quanto di interesse con il primo motivo di ricorso rubricato «violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1314, 1292, 1311, 1175 e 1375 c.c. e artt. 88 e 103 c.p.c.» la ricorrente sostiene che l’obbligazione attivata attraverso il decreto ingiuntivo opposto non è un’obbligazione solidale bensì comune e naturalisticamente divisibile ex art. 1314 c.c. nella quale prevale la struttura parziaria della stessa. Infatti, l’art. 5 della tariffa professionale non rende solidale l’obbligazione dei vari clienti ma costituisce solo una modalità di determinazione del compenso dovuto da dividersi pro quota. Peraltro, anche se l’obbligazione fosse stata solidale, la legge espressamente consentiva al creditore di agire pro quota contro ciascuno dei debitori e ciò era sufficiente per escludere che potessero trovare applicazione i principi stabiliti dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 23726 del 2007.

La ricorrente ribadisce, inoltre, che il connotato essenziale delle obbligazioni solidali è la facoltà insindacabile del creditore di esigere l’intero da ciascun obbligato o di agire pro quota e separatamente contro ciascun di essi.

Peraltro, la corretta qualificazione del rapporto tra il difensore e più clienti congiuntamente assistiti è quella di obbligazione divisibile ai sensi dell’art. 1314 c.c. e, in ogni caso, l’art. 5, comma 4, della tariffa lungi dall’attribuire il carattere di solidarietà all’obbligazione si limita a stabilire un criterio aritmetico per determinare il compenso dovuto in relazione al numero delle parti assistite. Tale criterio costituisce indice inequivoco della divisibilità dell’obbligazione, determinata attraverso incrementi in ragione del numero delle parti. Dunque, ciascuna parte è obbligata pro quota e il creditore ha la facoltà di convenire gli obbligati in un unico ovvero in distinti giudizi mentre il principio dell’abusiva parcellizzazione del credito riguarda l’unico debitore nei confronti del quale è stato azionato un unico credito, determinando così un ingiustificato aggravio di spese con un abuso del processo.

La Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha accolto il ricorso ritenendo il motivo di doglianza fondato rilevando come la Corte d’Appello non abbia fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di frazionamento del credito.

Il frazionamento della domanda giudiziale, nel quale la giurisprudenza di legittimità ha ravvisato un abuso degli strumenti processuali, che l’ordinamento pone a disposizione della parte, è configurabile allorché, in contrasto il principio di correttezza e buona fede che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase contenziosa, il creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, avanzi una pluralità di richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, la cui proposizione comporti una scissione del rapporto obbligatorio, operata dal creditore per sua esclusiva utilità e con inutile aggravamento della posizione del debitore, costretto a sopportare maggiori costi e difficoltà per la sua difesa in giudizio.[1]

Il divieto di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, dunque, presuppone un unico rapporto obbligatorio con identità delle parti evocate in giudizio. In tal caso, infatti, si determina un aggravio della posizione del debitore mediante la scissione del contenuto dell’obbligazione da parte del creditore in violazione dei principi di correttezza e buona fede.

Nel caso di specie, invece, la ricorrente aveva agito nei confronti di soggetti diversi nei confronti dei quali aveva espletato il mandato professionale e aveva richiesto il pagamento ad ognuno dei diversi clienti nei limiti di quanto riteneva che ognuno di essi le dovesse per la propria prestazione.

La Corte d’appello avrebbe dovuto, quindi, dare il giusto peso a tale peculiarità della vicenda piuttosto che accertare semplicisticamente che l’aver agito nei confronti di ognuno dei debitori con un distinto decreto ingiuntivo costituisse un indebito frazionamento del credito da sanzionare mediante l’improcedibilità della domanda e ciò a prescindere dalla natura solidale o meno dell’obbligazione in oggetto.

A ciò si aggiunge, secondo gli ermellini, anche l’ulteriore errore di diritto compiuto dal giudice d’appello che non ha tenuto conto del principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 4090 del 2017.

La seconda sezione, infatti, afferma che la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare l’art. 101 c.p.c. per sollecitare il contraddittorio sull’interesse dell’avvocato ad agire nei confronti dei clienti con separati ricorsi, posto che non risultava dedotta dalla parte convenuta la necessità di siffatto interesse e la sua mancanza.

[1] Cfr. Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726; Cass., Sez. VI, 9 marzo 2015, n. 4702.

La Corte di Cassazione si è occupata in più occasioni della condotta di chi frazioni artificiosamente la propria (unica) pretesa creditoria in più processi per far valere in giudizio il relativo diritto.

Si parla, in questi casi, di frazionamento del credito.

La giurisprudenza, a tal riguardo, si è chiesta se sia possibile formulare, in chiave processuale, un’eccezione di dolo o di un divieto dell’abuso del diritto nei confronti del creditore che, pur avendo un credito unitario, in quanto derivante da un’unica fonte, lo faccia valere in via frazionata.

Un primo orientamento[2] ha dato alla questione risposta negativa sulla base del rilievo che la clausola generale di buona fede e correttezza – operante anche nella fase patologica conseguente al mancato o inesatto adempimento – impedisce di considerare legittimo il comportamento del creditore che, attraverso un’anomala tecnica di frazionamento nel tempo delle azioni giudiziarie, prolunghi arbitrariamente, concretando un vero e proprio abuso del diritto, il vincolo coattivo cui deve sottostare il debitore, con pregiudizio per quest’ultimo, non giustificato da un interesse oggettivamente apprezzabile e meritevole di tutela del creditore.

Altra parte della giurisprudenza[3], invece, ha affermato la legittimità di tale comportamento, osservando che la facoltà del creditore di chiedere un adempimento parziale è speculare all’identica facoltà di accettarlo, riconosciuta dall’art. 1181 c.c., e che il pericolo di un aggravio di spese per il debitore, esposto ad una pluralità di decreti ingiuntivi nel caso di parcellizzazione del credito, è ovviabile o mettendo in mora il creditore, offrendogli l’adempimento dell’intero, o chiedendo l’accertamento negativo di esso.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[4], componendo il contrasto giurisprudenziale riportato, hanno avallato la tesi della legittimità del frazionamento da parte dell’attore della pretesa creditoria rimasta inadempiuta ritenendo che “è ammissibile la parcellizzazione dell’unico credito pecuniario in più domande proposte innanzi ad un giudice diverso, ed inferiore, rispetto a quello competente per l’intero credito, purché il creditore si riservi espressamente, nel primo giudizio, di agire per il residuo. Ricorrere ad un giudice inferiore, più celere nella decisione ed innanzi al quale la lite costa meno, anche se la sua conclusione non è interamente satisfattoria della pretesa, risponde ad un interesse del creditore meritevole di tutela e costituisce potere non negato dall’ordinamento, non sacrificando in alcun modo il diritto del debitore alla difesa delle proprie ragioni.”

In particolare la Corte di Cassazione, per giungere alla conclusione dell’ammissibilità della parcellizzazione di un’unica pretesa creditoria in più decreti ingiuntivi, ha addotto una serie di argomenti.

In primo luogo si è affermato che l’art. 1181 c.c. nel riconoscere il diritto del creditore di rifiutare un adempimento parziale (a meno che la legge o gli usi non stabiliscano diversamente) non esclude il potere dello stesso di accettarlo e, quindi, di richiederlo, anche giudizialmente. In altre parole se la suddetta norma riconosce al creditore il diritto ad esigere la prestazione unitaria è evidente che questo diritto non può essere rinunciato dal creditore: quest’ultimo può derogando alla garanzia che la legge riconosce nel suo interesse anche decidere di frazionare le azioni per ottenere il pagamento del quantum debeatur.

In secondo luogo l’art. 1453 c.c. pur prevedendo la possibilità di opzione del creditore fra risoluzione e adempimento nulla dice sulla possibilità di quest’ultimo di richiedere un adempimento parziale.

Inoltre, sul piano processuale, gli artt. 277 co. 2 e 278 co. 2 c.p.c. – che per la tutela degli interessi del creditore consentono, in presenza di domande più ampie proposte, di limitare la pronuncia a parte delle stesse o di condannare il debitore al pagamento di una provvisionale – non trovano applicazione quando la domanda sia stata inizialmente proposta con contenuto più ridotto.

Sempre sul piano processuale, inoltre, le Sezioni Unite ritengono che la richiesta frazionata potrebbe soddisfare esigenze di celerità, atteso che l’attore potrebbe in un primo momento proporre domanda limitatamente alla parte del credito non contestata o di pronta soluzione e agire, successivamente, per l’accertamento della restante parte di credito che potrebbe necessitare di accertamenti più complessi e richiedere, pertanto, tempi più lunghi.

A distanza di pochi anni dalla pronuncia analizzata le Sezioni Unite[5] sono intervenute nuovamente sulla questione ribaltando completamente il precedente orientamento e affermando, quindi, l’inammissibilità di una richiesta frazionata della tutela giudiziale del credito.

Rivedendo il proprio precedente orientamento, alla luce di una più accentuata valorizzazione del principio di buona fede anche nella fase della tutela giudiziale del credito e dell’affermazione del canone del giusto processo, le Sezioni Unite affermano che non è consentita al creditore la parcellizzazione in plurime e distinte domande dell’azione giudiziaria per l’adempimento di una obbligazione pecuniaria.

Tale richiesta è, infatti, contraria alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e per cui il frazionamento giudiziale di un credito unitario si risolve in abuso del processo.

Il divieto dell’abuso del diritto è, infatti, un principio generale dell’ordinamento giuridico che comporta il divieto di comportamenti ingiustificatamente vessatori nei confronti della controparte e non sorretti da un interesse che giustifichi l’esposizione della controparte al sacrificio stesso. Ne deriva che deve essere qualificato come abusivo il comportamento di chi, senza una ragione giustificativa e senza un interesse concreto, artatamente frazioni in giudizio la pretesa unitaria con il solo fine di rendere più complessa la difesa del convenuto.

Oltre a violare il generale dovere di correttezza e buona fede la disarticolazione, da parte del creditore, dell’unità sostanziale del rapporto viola il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost per l’evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata.

Pertanto, come affermato anche successivamente dalla Corte, “non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto dell’obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione peggiorativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale; in conseguenza del suddetto principio, pertanto, tutte le domande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di un unico credito sono da dichiararsi improponibili.”[6]

Con la sentenza n. 23726 del 2007 le Sezioni unite, in altre parole, mutando il precedente orientamento hanno affermato che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di «un unico rapporto obbligatorio», frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo.

Tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale aggravamento della posizione del debitore, si pone, infatti, in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede sia con il principio costituzionale del giusto processo, in quanto la parcellizzazione della domanda diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria si traduce in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale.

Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono, invece, essere proposte in separati processi. Lo ha affermato, recentemente, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite[7] affermando il principio di diritto secondo cui: “Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi; se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque «fondati» sul medesimo fatto costitutivo – si da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale – le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata; ove la necessità di siffatto interesse (e la relativa mancanza) non siano state dedotte dal convenuto, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ai sensi dell’art. 183 c.p.c. e, se del caso, riservare la decisione assegnando alle parti termine per memorie ai sensi dell’art. 101, 2º comma, c.p.c.”

La Suprema Corte, in primo luogo, rileva che quando le Sezioni Unite, nel 2007, hanno discusso di infrazionabilità del credito si sono riferite sempre ad un singolo credito e non anche ad una pluralità di crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso.

Ed, infatti, «risulta evidente che l’infrazionabilità del singolo diritto di credito (decisamente condivisibile, nella considerazione che la parte può disporre della situazione sostanziale ma non dell’oggetto del processo, da relazionarsi al diritto soggettivo del quale si lamenta la lesione, in tutta l’estensione considerata dall’ordinamento) non comporta inevitabilmente (tanto meno implicitamente) la necessità di agire nel medesimo, unico processo per diritti di credito diversi, distinti ed autonomi, anche se riferibili ad un medesimo rapporto complesso tra le stesse parti.».

Pertanto secondo le Sezioni Unite l’infrazionabilità del singolo diritto di credito non implica la necessità di agire nel medesimo processo per diritti di credito diversi, distinti ed autonomi, anche se riferibili ad un medesimo rapporto tra le parti.

Il Collegio osserva, inoltre, come tale approccio ermeneutico risulti coerente con il nostro sistema processuale.

Infatti, non è possibile rinvenire nell’ordinamento italiano un riferimento normativo da cui discenda un principio generale di necessaria azione congiunta per tutti i crediti nascenti da un medesimo rapporto di durata. Né è dato riscontrare una specifica norma che autorizzi a ritenere comminabile la grave sanzione della improponibilità della domanda per il creditore che abbia in precedenza agito per il recupero di diverso credito riguardante lo stesso rapporto.

Esistono, al contrario, numerose disposizioni che autorizzano la proponibilità in tempi e processi diversi di domande intese al recupero di singoli crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso esistente tra le parti come si desume dagli artt. 31, 40 e 104 c.p.c. in tema di domande accessorie, connessione, proponibilità nel medesimo processo di più domande nei confronti della stessa parte; nonché dall’art. 34 c.p.c. che contempla la necessità di esplicita domanda di parte perché l’accertamento su questione pregiudiziale abbia efficacia di giudicato.

La previsione dell’onere di agire contestualmente per crediti distinti risulterebbe, inoltre, «ingiustamente gravatoria della posizione del creditore» che si vedrebbe privato della «possibilità di fruire di riti più snelli per recuperare i propri crediti traducendosi in un allungamento dei tempi del processo».

Negata la sussistenza di un principio generale di necessaria azione congiunta per tutti i diversi crediti nascenti da un medesimo rapporto di durata, la Suprema Corte, rileva, altresì, come la disciplina che autorizza la proponibilità delle suddette pretese creditorie in processi diversi incontri un limite nella sua stessa ratio.

La disciplina codicistica che contempla – e perciò autorizza – la trattazione separata di crediti afferenti ad un rapporto unitario appare volta a consentire la trattazione unitaria dei suddetti processi e comunque di attenuare o elidere gli inconvenienti della proposizione e trattazione separata dei medesimi.

Da ciò emerge che la proponibilità di domande diverse, per crediti distinti, incontri il suo limite nell’esigenza di evitare la duplicazione di attività istruttoria e decisoria, di prevenire il rischio di giudicati contrastanti e di contenere la dispersione dinanzi a giudici diversi della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale.

Pertanto, le domande relative a diritti di credito che siano riferibili al medesimo rapporto di durata e che risultino, altresì, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un ipotizzabile giudicato, ovvero fondati sul medesimo fatto costitutivo possono essere formulate in separati giudizi solo se l’attore risulti in ciò assistito da un oggettivo interesse al frazionamento. Tale assunto è una naturale manifestazione del canone costituzionale del giusto processos la cui concreta attuazione è affidata, non soltanto alle norme che lo regolano ma agli stessi protagonisti del processo. Da ciò discende che l’attore deve farsi carico di un esercizio consapevole e responsabile del diritto di azione.

In questa prospettiva, la nozione di interesse processuale di cui all’art. 100 c.p.c. si arricchisce, non limitandosi ad investire solo la domanda, ma anche la scelta delle relative modalità di proposizione.

La Suprema Corte precisa che, sul piano della dialettica processuale, in mancanza di contestazione da parte del convenuto, in ordine alla sussistenza di tale interesse, il giudice può rilevare ex actis la questione, assegnando alle parti termine per memorie, ai sensi dell’art. 101 c.p.c.

[2] Cass. civ. sez. I 23 luglio 1997 n. 6700 in cui la Corte sostiene che “Deve ritenersi contrario a buona fede, e quindi inammissibile, siccome illegittimo per abuso del diritto, il comportamento del creditore il quale, potendo chiedere l’adempimento coattivo dell’intera obbligazione, frazioni, senza alcuna ragione evidente, la richiesta di adempimento in tutta una pluralità di giudizi di cognizione davanti a giudici competenti per le singole parti. Nè vale ad escludere questo giudizio di sfavore il fatto che nessun vantaggio economico si profili, in tal modo, per il creditore. Ciò che, infatti, unicamente rileva, ai fini di una corretta impostazione del problema entro i canoni ermeneutici del principio di buona fede, è l’esistenza di un qualsivoglia pregiudizio per il debitore, non giustificato da un corrispondente vantaggio – meritevole di tutela – per il creditore.”; Cass. civ. sez. I 8 agosto 1997 n. 7400; Cass. civ. sez. I 14 novembre 1997 n. 11271.

[3] Cass. civ. sez. II 19 ottobre 1998 n. 10326.

[4] Cass. Sez. Un. civ. 10 aprile 2000 n. 108 con nota di MINETOLA S., Nota sul frazionamento della pretesa relativa ad un unico diritto di credito pecuniario in una pluralità di giudizi, in Giur. It., 2001, 6 e RONCO A., Nota sulla frazionabilità del petitum di condanna in plurimi giudizi di cognizione, in Giur. It., 2001, 6; DALLA MASSARA, Tra res iudicata e bona fides: le sezioni unite accolgono la frazionabilità nel quantum della domanda di condanna pecuniaria, in Corr. giur., 2000, 1618 ss.

[5] Cass. Sez. Un. civ. 15 novembre 2007, n. 23726 con nota di GOZZI M., Il frazionamento del credito in plurime iniziative giudiziali, tra principio dispositivo e abuso del processo, in Riv. Dir. Proc., 2008, 5, 1435; DALLA MASSARA T., La domanda frazionata e il suo contrasto con i principi di buona fede e correttezza: il “ripensamento” delle sezioni unite, in Riv. Dir. Civ., 2008, 3, 20345; DE CRISTOFARO M., Infrazionabilità del credito tra buona fede processuale e limiti oggettivi del giudicato, Riv. Dir. Civ., 2008, 3, 20335; DONATI A., Buona fede, solidarietà, esercizio parziale del credito (ancora intorno a Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726), in Riv. Dir. Civ., 2009, 3, 20347; COSSIGNANI, Credito unitario, unica azione, in Nuova giur. civ. comm., 2008, pp. 10458 ss.; FINESSI , La frazionabilità (in giudizio) di un credito: il nuovo intervento delle sezioni unite, in Nuova giur. civ. comm., 2008, pp. 10458 ss.; RESCIGNO, L’abuso del diritto (una significativa rimeditazione delle Sezioni Unite), in Corr. giur., 2008, 745 ss.

[6] Cass. civ. sez. III 11 giugno 2008 n. 15476.

[7] Cass. Sez. Un. civ. 16 febbraio 2017 n. 4090 con nota di GALLETTI M., Frazionamento abusivo del credito: i chiarimenti delle Sezioni Unite, in Argomenti Dir. Lav., 2017, 4-5, 1252; GHIRGA M. F., Frazionamento di crediti, rapporti di durata e interesse ad agire, in Riv. Dir. Proc., 2017, 4-5, 1302; BARAFANI M., Tutela processuale frazionata del credito – I fondamenti concettuali del dibattito sul frazionamento giudiziale del credito, in Giur. It., 2017, 5, 1089.

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