La natura degli accordi di negoziazione assistita in materia matrimoniale, tra contratto e giudizio

Redazione 03/06/19
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di Caterina Silvestri*

* Professore associato procedura civile Università di Firenze

Gli accordi di negoziazione assistita in materia matrimoniale sono, come noto, oggetto di due disposizioni specifiche, l’art. 6 e l’art. 12 della legge del 10 novembre 2014, n. 162 (di conversione del decreto legge del 12 settembre 2014, n. 132)[1].

Per semplicità espositiva indicherò anche come “negoziazione forense” quella prevista dall’art. 6, che affida a «almeno un avvocato per parte», la competenza per la stipula di «soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio o di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio».

Una volta raggiunto l’accordo, lo stesso deve essere munito dei requisiti formali e sostanziali di cui all’art. 5, comuni a tutti gli accordi di negoziazione (sottoscrizione delle parti e degli avvocati, certificazione dell’autografia delle firme e che l’accordo è conforme a norme imperative e all’ordine pubblico), e di cui all’art. 6, peculiari alla negoziazione matrimoniale (tentativo di conciliazione e informativa sulla mediazione familiare). Integrate le formalità ricordate, l’accordo di negoziazione è soggetto al nulla osta, ovvero all’autorizzazione, della Procura della Repubblica del “tribunale competente”, cioè quello che sarebbe stato competente per i corrispondenti procedimenti giurisdizionali. L’autorizzazione in questione è prevista in caso di figli minori, maggiori incapaci, portatori di handicap (exart. 3, comma 3, L. 104/1992), o non autosufficienti; il nulla osta è necessario e sufficiente negli altri casi (assenza di figli o presenza di figli maggiori capaci autosufficienti).

Nel congegnare questo strumento il legislatore italiano si è ispirato alla procédure participative prevista in Francia nel Code civil (artt. 2062 e ss.) e nel Code de procédure civil (artt. 1542 e ss.), a sua volta stimolata dall’esperienza nord americana, nota con l’espressione “diritto collaborativo”[2].

L’ambito di applicazione della procedura d’Oltralpe è, tuttavia, molto più ampio: basti ricordare che essa è esperibile sostanzialmente in tutte le controversie di carattere civilistico, tra l’altro senza che sia obbligatoria o che determini l’improcedibilità dell’azione in giudizio.

La maggiore caratteristica dell’istituto francese si coglie, tuttavia, nel rapporto con l’autorità giurisdizionale, il quale si caratterizza quale peculiare combinazione dell’accordo privato con il jugement. In materia di famiglia[3], in particolare, le parti che pur abbiano raggiunto un accordo non sono esonerate dalla fase giurisdizionale del divorzio o della séparation de corps, che richiede lo svolgimento del procedimento ordinario (per il combinato disposto degli artt. 2067 e da 229 a 309 del Code civil), che si svolgerà come consensuale. Nel caso in cui la procedura partecipativa abbia condotto ad una convenzione parziale o non sia sfociata in alcuna intesa, il giudice potrà variamente utilizzare i risultati anche probatori emersi in fase di negoziazione -nella quale, ad esempio, è possibile eseguire una consulenza tecnica e che per certi versi si pone come una sorta di pre trial inglese- oppure procedere all’istruttoria secondo le regole ordinarie: la decisione della via procedurale è presa dal giudice e costituisce espressione del sistema del “circuito” processuale, breve o lungo, che opera già da tempo nel processo civile ordinario francese[4].

Il passaggio giurisdizionale degli accordi di negoziazione in materia di famiglia prevista dalla normativa francese, se da una parte limita l’effetto di decompressione della giustizia tradizionale, sul piano formale determina la loro confluenza in un jugement, cioè in un provvedimento giurisdizionale.

Questo carattere formale, assunto con nettezza dall’accordo partecipato, consente allo stesso di produrre gli effetti propri delle decisioni, compresa la capacità di circolare entro l’Unione Europea quale decisione giudiziale, sottraendosi agli equilibrismi aperti, invece, dai nostri accordi di negoziazione assistita, stretti tra l’incerta natura loro conferita dalla normativa nazionale.

L’accordo cui si perviene a mezzo della negoziazione nazionale «produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono» i procedimenti interessati, ma a ben vedere si tratta di una equiparazione degli effetti limitata, segnatamente, agli effetti che possiamo definire principali, cioè a quelli modificativi del vincolo coniugale e a quelli di adozione dei provvedimenti di affidamento e di mantenimento.

Per gli effetti, così detti secondari, non c’è, invece, un’equiparazione totale.

L’art. 5, primo comma, afferma che l’accordo di negoziazione perfezionato «costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale», ma il comma due bis dello stesso articolo, nella fase esecutiva assoggetta, invece, l’accordo alle formalità dettate per i titoli esecutivi a formazione stragiudiziale, chiedendo la trascrizione del titolo nel precetto ai sensi dell’art. 480, secondo comma, c.p.c.

Sul piano degli effetti sostanziali, l’art. 8 riconosce alla mera comunicazione dell’invito alla negoziazione l’effetto interruttivo della prescrizione e precisa che dalla «sottoscrizione della convenzione si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale» ed anche la decadenza è impedita nei limiti precisati dalla disposizione[5]. L’articolo prosegue con lo stabilire che, in caso di fallimento dell’accordo, deve essere presentata un’azione in giudizio, semplificando il dettato, entro i trenta giorni successivi allo stesso. La norma non indica le conseguenze del mancato avvio della domanda giudiziale sulla decadenza e sulla prescrizione.

Nemmeno la stessa disposizione precisa per quali diritti la firma della convenzione sia idonea a produrre effetti interruttivi.

Nel caso in cui la convenzione concerna oltre alle posizioni sostanziali tradizionalmente inerenti al vincolo coniugale e ai rapporti di famiglia, anche accordi aventi contenuto contrattuale, come sovente accade[6], resta da chiarire se nel silenzio della legge la mera sottoscrizione della convenzione di negoziazione sia idonea all’interruzione della prescrizione anche per diritti di cui è normalmente richiesta la notifica della domanda in giudizio, come quelli di natura potestativa.

Personalmente simpatizzo per la risposta positiva, sia per ragioni di semplicità interpretativa nella considerazione che la legge non esprime alcuna limitazione, sia per le diversità intercorrenti con il procedimento dinanzi al sindaco: il divieto, in quest’ultimo, dei trasferimenti immobiliari[7] implica, con un argomentare “a contrario”, che gli stessi siano invece possibili nella negoziazione forense la quale, in quanto a base consensuale, dovrà potersi estendere anche ad altri rapporti di carattere economico esistenti tra i coniugi, anche ove non causalmente collegati al matrimonio.

Sul versante della natura dell’accordo di negoziazione forense, essa non pare riconducibile all’atto pubblico, il quale trae la sua autorità dalla competenza di colui che lo forma. La questione non è, tuttavia, di agile soluzione alla luce dell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale della nozione, influenzata anche dall’elaborazione penalistica, che ha condotto ad ampliare l’ambito dei pubblici ufficiali in maniera non sempre lineare[8].

E’ pur vero che nell’ambito della negoziazione gli avvocati hanno alcuni poteri di certificazione (ad esempio l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo all’ordine pubblico exart. 5, comma 2, L. 162/2014), ed è altrettanto vero che la legge, per specifiche attività, riconosce loro la qualifica di pubblico ufficiale come, ad esempio, nell’ambito dell’attività di notificazione via pec, ai sensi del novellato art. 6 della L. 53/1994 secondo il quale lo «avvocato o il procuratore legale, che compila (la relazione o le attestazioni di cui agli articoli 3, 3-bis e 9) o le annotazioni di cui all’articolo 5, è considerato pubblico ufficiale ad ogni effetto».

Il dettato dell’art. 6, della legge sulla negoziazione assistita mi pare, peraltro, dirimente in senso negativo là dove, dopo aver affermato che l’accordo di negoziazione costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, prevede che nei casi in cui vi sia necessità della trascrizione, il relativo processo verbale debba essere autenticato da un pubblico ufficiale.

Di converso, la negoziazione stipulata dinanzi al sindaco quale ufficiale dello stato civile, conferisce all’atto natura di atto pubblico[9]. La circolare 6/15 ha recuperato a questo procedimento (altrimenti destinato ad un ovvio fallimento) la possibilità di prevedere il mantenimento tra i coniugi; resta, invece, in ombra la possibilità di prevedere l’assegnazione della casa coniugale, non trattandosi di atto di natura reale ma obbligatoria[10].

La giurisprudenza formatasi in questi anni riflette l’assenza di chiarezza circa la natura della negoziazione forense e manifesta divisioni circa l’idoneità della stessa a essere trascritta quando preveda trasferimenti immobiliari: secondo un orientamento restrittivo ma forse dominante, è necessaria l’autentica notarile della firma per procedere a tale adempimento[11], mentre secondo una diversa posizione l’imporre la formalità in questione sarebbe disincentivante all’uso dell’istituto[12].

[1] M. Crescenzi, La degiurisdizionalizzazione nei procedimenti di famiglia. Il nuovo procedimento: negoziazione assistita da un avvocato e richiesta congiunta innanzi all’ufficiale dello stato civile, Questione giustizia, può leggersi al seguente indirizzo internet http://questionegiustizia.it/articolo/la-degiurisdizionalizzazione-nei-procedimenti-di-famiglia_14-01-2015.php; B. Poliseno, La convenzione di negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione e divorzio, Foro it., 2015, V, 34 ss. Per un primo commento al d.l. 132/2014, tra i molti: C. Consolo, Un d.l. processuale in bianco e nerofumo sull’equivoco della “degiurisdizionalizzazione”, Corriere giur., 2014, 1173 e ss.; D. Borghesi, La delocalizzazione del contenzioso civile: sulla giustizia sventola bandiera bianca?, www.judicium.it; A. Briguglio, Nuovi ritocchi in vista per il processo civile: mini-riforma ad iniziativa governativa, con promessa di fare (si confida su altri e più utili versanti) sul serio, www.giustiziacivile.com, editoriale del 15 settembre 2014, 1 ss.; L. D’Agosto-S. Criscuolo, Prime p>, www.ilcaso.it, 2014.; A. Carratta-P. D’Ascola, Nuove riforme per il processo civile: il d.l. n. 132/2014 , http://www.treccani.it/diritto; B. Capponi, A prima lettura sulla delega legislativa al Governo «per l’efficienza della giustizia civile» (collegato alla legge di stabilità 2014), Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, 361 ss.; AA.VV., Degiurisdizionalizzatione e altri interventi per la definizione dell’arretrato: la riforma del 2014, Giappichelli, 2015; F. Danovi, Il d.l. 132/14: le novità in tema di separazione e divorzio, Fam e dir., 2014, 950; I nuovi modelli di separazione e divorzio: una intricata pluralità di protagonisti, id., 2015, 1147; M. Gradi, Inefficienza della giustizia civile e fuga dal processo, Messina, 2014, 103 ss.; AA.VV., AA.VV., Degiurisdizionalizzatione e altri interventi, D. Dalfino, La procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, in www.treccani.it; G. Trisorio Luzzi, La negoziazione assistita, Foro it., 2015, V, 1, 22 ss. Si vedano anche le riflessioni di A. Proto Pisani, Verso la residualità del processo a cognizione piena?, Foro it., 2006, V, 53.

[2] La procédure participative francese è stata sostenuta da studiosi del calibro di S. Guinchard, cui è stata conferita la presidenza della Commission sur la répartition des contentieux. Il suo rapporto del 2007, «L’ambition raisonée d’une justice apaisée», http://www.ladocumentationfrancaise.fr/var/storage/rapports-publics/084000392/0000.pdf. Per un quadro sugli strumenti alternativi di risoluzione delle liti in Francia: L. Cadiet, E. Jeuland, Droit judiciaire privé, Parigi, 2013, 314 e ss.; L. Cadiet, Panorama des modes alternatifs de règlement des conflits en droit français, Ritsumeikan law review, 2011, 28, 147 ss., http://www.ritsumei.ac.jp/acd/cg/law/lex/rlr28/CADIET2.pdf; J. Casey, Le décret du 20 janvier reltif à la résolution amiable des différends : que d’opportunités à saisir ! Examen sous l’angle du droit de la famille, Gazette du Palais, 2012, 5 ; V. Larrybau-Terneyre, Nouvel essor pour les modes alternatifs et collanoratifs de règlement des litiges en matière familiale ?, Droit de la famille, 2012, étude 12 ; si veda anche, per il diritto del lavoro: H. Sauret, La convention de procédure participative: une nouvelle règle de traitement à l’amiable de certains différends survenant en droit social, Gazette du Palais, 2011, 33 ss.

[3] Nelle materie diverse da quelle di famiglia, l’accordo di negoziazione completo effettua un passaggio giurisdizionale di omologa che si svolge mediante la chiamata dello stesso ad una «udience de jugement» (art. 1559, Code procédure civile) promossa dalle parti con una richiesta congiunta o ad opera della parte più diligente; se le parti hanno raggiunto un accordo parziale, il jugement d’omologa può combinarsi ad un jugement contenzioso (art. 1560, Code procédure civile).

[4] La scelta del rito applicabile costituisce una fase dell’introduzione dell’azione civile ed avviene in occasione della «première conference»; questa non è considerata una vera e propria udienza, pur implicando il contraddittorio tra gli avvocati e il giudice, solitamente il presidente di sezione cui è assegnato l’affare, e l’occasione nella quale, in ragione della complessità dell’affare è scelta la via procedurale, tra quella più complessa e lunga (circuit long, art. 761, Code de procédure civile) e quella più semplice (circuit court, art. 758, Code de procédure civile). L’informatizzazione del processo ha, tuttavia, inciso negativamente su questa fase implicando un rinvio pressoché automatico al circuito lungo indipendentemente dalla caratteristica della lite. Si vedano i rilievi di P. Labée, Procédure civile, dispense del corso Droit judiciaire privé, anno accademico 2012/2013, Università di Lille, 12 ss. http://droit.univ-lille2.fr/fileadmin/user_upload/enseignements/resumes/procedure_civile_licence3.pdf; interessante anche il Protocolle de procédure civile, tra l’Ordre des Avocats de Paris e il Tribunal de grande istance, 2012, http://proxy.siteo.com.s3.amazonaws.com/www.droitetprocedure.com/file/protocoleprocedurecivile2012.pdf; più in generale, sulle modalità d’introduzione dell’istanza nel giudizio civile, L. Cadiet, E. Jeuland, Droit judiciaire privé, Parigi, 2013, 441 ss.

[5] Con un meccanismo definito «alquanto singolare» da Dalfino, La procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, cit., 19.

[6] La Corte di Cassazione riconosce da tempo, segnatamente dalla pronuncia del 20 novembre 2003, n. 17607 (Guida al dir., 2003, fasc. 49, 31) da cui è tratto il passo riportato di seguito, la natura negoziale degli accordi di separazione e divorzio, nonché l’applicabilità agli stessi delle azioni negoziali: «L’accordo di separazione ha natura negoziale e a esso possono applicarsi, nei limiti della loro compatibilità, le norme del regime contrattuale che riguardano in generale la disciplina del negozio giuridico o che esprimono principi generali dell’ordinamento, come quelle in tema di vizi del consenso e di capacità delle parti (…)». L’indirizzo è confermato e alimentato dalla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione la quale ha, a più riprese, riconosciuto una sempre maggiore autonomia negoziale alle parti tendo conto sia dell’esperienza degli ordinamenti stranieri, in particolare di tradizione anglosassone «dove essi svolgono una proficua funzione di deflazione delle controversie familiari e divorzili», sia della «stessa evoluzione del sistema normativo, ormai orientato a riconoscere sempre più ampi spazi di autonomia ai coniugi nel determinare i propri rapporti economici, anche successivi alla crisi coniugale, ferma ovviamente la tutela dell’interesse dei figli minori», pervenendo a confermare che «Come si è detto, l’accordo delle parti in sede di separazione o di divorzio (e magari quale oggetto di precisazioni comuni, in procedimento originariamente contenzioso) ha natura sicuramente negoziale, e talora dà vita ad un vero e proprio contratto» (Cass., 20 agosto 2014, n. 18066, cui appartengono le parti virgolettate; v. anche Cass., 19 agosto 2015, n. 16909, entrambe in De iure, banca dati on line).

[7] Sul novero dei provvedimenti suscettibili di essere adottati dinanzi al Sindaco, regna una certa confusione: la 2° circolare ministeriale 19/2014 aveva “chiarito” che il divieto di traslazioni immobiliari si accompagnava ad divieto di ogni altra clausola di disposizione patrimoniale, sia pure che traesse origine dal matrimonio, come la previsione del mantenimento e dell’uso della casa coniugale; la circolare 6/15 ha, poi, precisato (oltre alla possibilità di avvalersi di questo procedimento quando non vi sono figli in comune tra i coniugi o ex coniugi) che sia, invece, possibile prevedere la corresponsione del mantenimento -ma non la dazione una tantum prevista come possibile nel divorzio- trattandosi di previsioni ad effetti meramente obbligatori; nulla ha detto la circolare con riferimento all’uso della casa coniugale, peraltro normalmente considerato anch’esso ad effetti obbligatori.

[8] Sono riconducibili all’atto pubblico (art. 2699, c.c.), ad esempio, i rogiti notarili, i verbali di udienza (Cass., 11 settembre 1999, n. 9696, De iure, banca dati on line); l’apposizione del numero di protocollo progressivo nei registri dei pubblici uffici (Cass., sez. un., 12 novembre 1999, n. 759, Giust. civ., 2000, I, 2040), le relate di notifica dell’ufficiale giudiziario; ed ancora sono considerati pubblici ufficiali, oltre, naturalmente ai notai, ai magistrati nell’esercizio delle loro funzioni, agli appartenenti alle forze armate, anche i consulenti tecnici, i periti d’ufficio, gli ufficiali giudiziari e i curatori fallimentari, quali ausiliari del giudice (Cass. pen., 16 giugno 1983, in De iure, Banca dati on line), i portalettere e i fattorini postali (Cass. pen., 5 ottobre 1982, in De iure, Banca dati on line), i capotreni delle ferrovie (Cass. pen., 18 settembre 2009, n. 38389, Foro it., 2010, 2, II, 76) gli insegnanti delle scuole pubbliche (Cass. pen., 12 febbraio 2014, n. 15367, in De iure, Banca dati on line). In molti casi la natura del documento resta dibattuta; in tema possono vedersi F. Buzzi, C. Sclavi, La cartella clinica: atto pubblico, scrittura privata, o tertium genus?, Riv. ital. di med. leg., 1997, 1161 ss.; A. Vallini, Il difensore che verbalizza un’intervista difensiva è pubblico ufficiale, il suo falso è in atto pubblico, Dir. pen. proc., 2007, 351 ss.; M. Scaparone, Indagini difensive e falso in atto pubblico, Quest. giust, 2003, 845. Per una rassegna della giurisprudenza penalistica in materia R. Panozzo, Pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio ed esercente un servizio di pubblica necessità (agli effetti penali): le posizioni della Cassazione (sezioni penali), pubblicato il 17dicembre 2015) Diritto.it, file:///C:/Documents%20and%20Settings/Utente/Documenti/Downloads/doc_37650.pdf. Sulla questione si vedano anche le sempre attuali osservazioni della dottrina tradizionale: F. Carnelutti, Documento, Nov. dig. it., vol. VI, Torino, 1957, 85 ss.; C. Angelici, Documentazione e documento, (voce) Enc. giur. Treccani, XI, Roma, 1989, 2; A. Candian, Documentazione e documento, (voce) Enc. dir., vol. XIII, Milano, 1964, 579.

[9] Per un compendio delle competenze degli ufficiali di stato civile, Massimario per l’Ufficiale di Stato Civile, a cura di R. Mazza, Ministero dell’inteno, 2012, http://servizidemografici.interno.it/sites/default/files/Massimario-Ufficiale-Stato-Civile_2012_0.pdf.

[10] Tra le molte: Cass., 22 luglio 2015, n. 15367, Guida al diritto, 2015, 36, 48 (s.m.); 11 settembre 2015 n. 17971, ibidem, 52 (s.m.), entrambe in Banca dati De Iure per la versione integrale; Cass., 22 novembre 2007, n. 24321, Giust. civ., 2008, 5, I, 1198. In dottrina, specificamente sulla opponibilità dell’assegnazione della casa coniugale: A. Greco, L’assegnazione della casa coniugale è opponibile al compratore anche in mancanza di trascrizione, Diritto e Giustizia online, 2013, 1650 ss.; P. Sirena, L’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare dopo la legge sull’affidamento condiviso, Riv. dir. civ., 2011, 559 ss.; V. Vacirca, L’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio. L’opponibilità del provvedimento di assegnazione al successivo acquirente dell’immobile e al proprietario comodante, Riv. Not, 2008, 1433.

[11] App. Trieste, 6 giugno 2017, n. 207, in Foro it., 2017, I, 2825; Trib. Venezia, 21 novembre 2017, in Dir. fam. e pers., 2018, I, 963; Trib. Genova, 8 aprile 2016, in Foro it., 2017, I, 1772; Id., 29 marzo 2016, in Riv. not., 2017, II, 832.

[12] Trib. Pordenone, 17 marzo 2017, in Foro it., 2017, I, 1772, ammette la trascrizione successivamente al nulla osta da parte della Procura della Repubblica; Trib. Roma 17 marzo 2017, n. 2176, in Ilfamiliarista.it 19 aprile 2017.

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