Tar Catanzaro, II, Pres. Schillaci, Rel. Anastasi, Sentenza n. 1/2015

Redazione 22/01/15
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N. 00001/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01691/2014 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso R.G. n. 1691 del 2014, proposto da “Consigliera ***************** della Calabria” – avv. ****, ****, ****, ****, ****, ****, ****, ****, rappresentati e difesi dagli avv.ti ****, ****, **** e ****, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. ****, in Catanzaro;

contro

Comune di Montalto Uffugo, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti **** e ****, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Cosenza;

nei confronti di

****, ****, ****, ****; ****, rappresentati e difesi dall’avv. ****, con domicilio eletto presso Tar Segreteria in Catanzaro, via De Gasperi, n. 76/B;

per l’annullamento

del Decreto n. 8 del 27/6/2014, con cui il Sindaco del Comune di Montalto-Uffugo ha designato i componenti della Giunta Comunale, assegnando le deleghe assessorili e di vicesindaco in favore di quattro uomini e di una sola donna;

della Delibera del Consiglio Comunale n. 18 del 30/6/2014, di presa d’atto della compagine giuntale;

– di ogni altro atto preliminare, presupposto, consequenziale, derivato e, comunque, connesso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Montalto Uffugo e di ****;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, alla camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2014, il cons. ***************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

1. I ricorrenti, la Consigliera di ***************** della Calabria, alcuni cittadini residenti nel Comune di Montalto Uffugo, di cui l’avv. **** anche nella qualità di consigliere comunale, il ****, hanno impugnato l’epigrafato decreto sindacale del Comune di Montalto Uffugo, con cui sono state assegnate le deleghe assessorili e di vicesindaco in favore di quattro uomini e di una sola donna, sulla base della motivazione secondo cui non sarebbe stato “rinvenuto, nel tessuto territoriale di Montalto Uffugo, disponibilità sufficiente a soddisfare la percentuale richiesta dalla norma”, cioè dall’art.1, comma 137 della legge 7.4.2014 n. 56.

Hanno dedotto illegittimità sotto svariati profili, fra cui violazione di legge, violazione dell’art. 51 della Cost.; degli artt. 6 e 46 del D. Lgs. n. 267/2000; difetto di istruttoria e di motivazione; eccesso di potere.

Si è costituito il Comune di Montalto Uffugo per resistere al presente ricorso, evidenziando, tra l’altro, che il proprio Statuto, con l’art. 25 (così come modificato ed approvato con Deliberazione n. 12 del 29 febbraio 2000) contiene un espresso divieto di nominare assessore “i candidati non eletti alle ultime elezioni Amministrative per il rinnovo del Consiglio comunale dell’Ente“, con ciò limitando fortemente le possibili scelte del Sindaco.

2. Sussiste la legittimazione ad agire sia della Consigliera di Parita’ Regionale della Calabria in base ai poteri riconosciuti dal D. Lgs. 11.4.2006 n. 198 (“Codice delle pari opportunità fra uomo e donna), sia degli altri ricorrenti, fra cui il **** – avente come scopo la tutela delle donne, ai sensi dell’art. 2 del proprio Statuto – in base al “principio di sussidiarietà orizzontale”, riconducibile all’art. 118, comma 4, Cost., per la piena valorizzazione dell’apporto diretto dei singoli e delle loro formazioni sociali (costituzionalmente rilevanti ai sensi dell’art. 2 Cost.), che consente la tutela di un interesse collettivo e superindividuale, diretto, attuale e concreto, per poter sindacare, anche in sede giurisdizionale, la funzione amministrativa, dopo il suo esercizio da parte dei poteri pubblici.

3. La questione dedotta in giudizio, sul piano internazionale, trova un primo riconoscimento nel Preambolo della Carta dell’ONU, che sancisce tra gli obiettivi principali la “fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti di uomini e donne“, ribadito poi dalla Convenzione sui Diritti Politici delle Donne – adottata dall’ Assemblea Generale della Nazioni Unite il 20 dicembre 1952, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 24.4.1967, n. 326- e poi anche nella Convenzione sull’Eliminazione di ogni Forma di Discriminazione contro le Donne (CEDAW), adottata il 18 dicembre 1979 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed entrata in vigore nel 1981 a livello internazionale.

La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza, nel riconoscere i diritti contemplati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ha consacrato il divieto di ogni discriminazione sulla base del sesso (art. 21) ed il principio di parità tra uomini e donne (art. 23) come diritti fondamentali di tutti gli individui, da assicurare in ogni ambito, anche mediante l’adozione di misure a sostegno del genere sottorappresentato (art. 23, comma 2).

Anche il Trattato di Amsterdam afferma la parità di genere ed il divieto di discriminazione basata sul sesso (artt. 2 e 3) e prevede una base giuridica per l’adozione, da parte delle istituzioni comunitarie, di provvedimenti finalizzati a combattere le discriminazioni fondate sul sesso e di misure d’incentivazione, destinate ad appoggiare le azioni degli Stati membri per la realizzazione degli obiettivi di lotta alla discriminazione (art. 19 TCE).

4. Nell’ordinamento interno, l’art. 51 Cost, nel testo novellato con la legge costituzionale 30 maggio 2003 n. 1, prevede che, al fine del pari accesso dell’uno o dell’altro sesso alle cariche elettive, “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Tale principio è altresì ribadito dall’art. 117, comma 7° Cost, per quel che attiene alla composizione degli organi di governo regionale (“Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”) .

A tale stregua, il principio della parità di accesso alle cariche amministrative tra uomini e donne costituisce espressione di un principio fondamentale del nostro ordinamento costituzionale, sancito dagli artt. 3, 49, 51 e 97 Cost., sicché lo stesso opera direttamente quale limite conformativo all’esercizio del potere amministrativo, anche in mancanza di specifiche disposizioni attuative.

Sul piano legislativo, l’art. 1 del D. Lgs. 11.4.2006 n. 198 (“Codice delle pari opportunità fra uomo e donna”) come modificato sul punto ad opera dell’art. 1, comma 1, lettera b), del D. Lgs. n. 5/2010, stabilisce:

“1. Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad eliminare ogni discriminazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza o come scopo di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo.

2. La parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione.

3. Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.

4. L’obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività”.

L’art. 6, comma 3°, del D. Lgs.18.8.2000, n. 267, nel testo modificato dall’art.1, comma 1, della Legge 23.11.2012 n. 215, stabilisce: “Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonchè degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti”.

L’art. 46, comma 2°, del precitato D. Lgs.18.8. 2000, n. 267, nel testo introdotto dall’art.2, comma 2°, lett. b) della Legge 23.11.2012 n. 215, stabilisce:” Il sindaco e il presidente della provincia nominano, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della Giunta, tra cui un vicesindaco e un vicepresidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva alla elezione.”

L’art. 1, comma 137°, della Legge 7 aprile 2014, n. 56 (“Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”), pubblicata sulla GU Serie Generale n. 81 del 7 aprile 2014, stabilisce: “Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico.

La norma, in assenza di ulteriori precisazioni, va intesa nel senso che, nel computo della percentuale, devesi tenere conto anche del Sindaco, in quanto componente della giunta (così ritenuto anche dalla nota 24 aprile 2014, par. 3 del Ministero dell’Interno).

Invero, la scelta del legislatore di collocare la disposizione al di fuori del Testo Unico Enti Locali denota la volontà di attribuire alla norma la finalità non solo di assicurare la corretta composizione delle giunte, ma anche il loro riequilibrio, in coerenza con i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza 14.1.2010 n. 4, secondo cui gli articoli della Costituzione 51, comma 1, e 117 comma 7 hanno la finalità di ottenere “un riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi”, con conseguente carattere permanente e finalistico della disposizione di cui al comma 137° dell’art.1 della Legge 7 aprile 2014, n. 56, che costituisce la trasposizione in sede normativa dei precitati principi.

Ad avviso del Collegio, da una mera interpretazione letterale e sistematica del precitato comma 137° dell’art. 1, della Legge n. 56 del 2014, emerge chiaramente l’intenzione del legislatore di attribuire valore cogente e precettivo alla percentuale indicata (“nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento”), come altresì rimarcato dall’endiadi “arrotondamento aritmetico“, che denota la scelta di voler ancorare la percentuale minima di rappresentanza ad un valore numerico oggettivo, preciso e puntuale.

La Circolare del Ministero dell’Interno del 24 aprile 2014, al punto 3 “Rappresentanza di genere”, stabilisce: “Per completezza, si soggiunge che occorre lo svolgimento da parte del sindaco di una preventiva e necessaria attività istruttoria preordinata ad acquisire la disponibilità allo svolgimento delle funzioni assessorili da parte di persone di entrambi i generi. Laddove non sia possibile occorre un’adeguata motivazione sulle ragioni della mancata applicazione del principio di pari opportunità”, il provvedimento avversato non risulta supportato da adeguata attività istruttoria né da congrua motivazioni per il mancato adeguamento alla Legge”.

Invero, la Circolare Ministeriale del 24 aprile 2014 sembra compendiare i principi elaborati dalla giurisprudenza in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 56 del 2014 (nel medesimo solco, specifica ed approfondisce le modalità di svolgimento dell’istruttoria la successiva circolare 18/EL del 30.5.2014 della Direzione Centrale delle Autonomie Locali del Friuli-Venezia ******), ma, a fronte del chiaro ed inequivocabile testo normativo, non può ammettersi alcuna deroga generale all’obbligo normativo.

5. Nella specie, il Comune di Montalto Uffugo, con 18.958 abitanti ( fonte: wikipedia), ricade nella sfera di applicazione dell’art. 1, comma 137°, della Legge 7 aprile 2014, n. 56, come, peraltro, non è in contestazione tra le parti.

L’avversato Decreto sindacale risulta così motivato: “Visto infine l’art. 1, comma 137, della Legge 7-4-2014, n. 56, per effetto del quale, nella giunta dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessun dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico; Considerato che ai fini del rispetto della norma sopra citata la Giunta dovrebbe essere composta almeno da due rappresentanti per ogni genere; Rilevato per come si evince da atti di rinuncia alla proposta di nomina di assessore depositati presso la Segreteria Generale, che né tra i consiglieri comunali/donna elette né tra personalità del mondo culturale, politico e sociale inserite nel tessuto territoriale del Comune di Montalto Uffugo si è rinvenuta disponibilità sufficiente a soddisfare la percentuale richiesta dalla norma”.

La difesa del Comune produce copia di due atti di rinuncia ad espletare la carica di assessore da parte di cittadine, sottoscritte con firma autografa, non perfettamente leggibile, rispettivamente del 24.6.2014 e del 25.6.2014, entrambe evidentemente rivolte al Sindaco, con l’incipit : “Caro Pietro”.

Appare, quindi, piuttosto verosimile, che tali atti di rinuncia siano riconducibili alle “due donne, delle liste del neo eletto Sindaco, elette alla carica di Consigliere Comunale”, le quali “hanno inteso rifiutare l’incarico di assessore”, come precisato a pag. 9 del controricorso del Comune.

La difesa del Comune evidenzia che il Sindaco ha avuto ristretti margini di scelta, a causa del tenore dlel’art. 25 dello Statuto del Comune di Montalto Uffugo (così come modificato ed approvato con Deliberazione n. 12 del 29 febbraio 2000), il quale contiene un espresso divieto di nominare assessore “i candidati non eletti alle ultime elezioni Amministrative per il rinnovo del Consiglio comunale dell’Ente“.

Il provvedimento sindacale, pur precisando di avere deciso all’esito di un’ attività intesa ad acquisire la disponibilità alla nomina di persone di sesso femminile, non fa alcun concreto riferimento all’attività istruttoria effettivamente espletata né alle modalità di svolgimento della stessa, risultando comprovato, dalle due dichiarazioni allegate, che sono state interpellate soltanto due cittadine di sesso femminile che hanno sostenuto la candidatura del Sindaco risultato vincitore.

Alla luce delle coordinate normative e dei principi già pacificamente enucleati prima dell’entrata in vigore della legge n. 56 del 2014, il Sindaco ha l’obbligo di svolgere indagini conoscitive, intese ad individuare, all’interno della società civile, nell’ambito del bacino territoriale di riferimento del Comune, personalità femminili in possesso di quelle qualità – doti professionali, nonché condivisione dei valori etico-politici propri della maggioranza uscita vittoriosa alle elezioni, idonee a ricoprire l’incarico di componente la giunta municipale (conf.: T.A.R. Sez. I Bari , Puglia 30/04/2014 n. 552; Cons. Stato, Sez. V 24.7.2014 n. 3938; Cons. Stato, Sez. V, 27.7.2011 n. 3146; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 27 dicembre 2010, n. 14384; T.A.R. Puglia, Sez. I, 23.9.2009 n. 740).

Invero, a tale stregua, è pacifico che, di tali indagini e del loro esito, debba darsi conto, anche in sintesi, nel decreto sindacale con il quale viene nominata la giunta (così anche il Parere del Ministero dell’Interno del 31.5.2013), al fine di dare atto di un sincronico punto di convergenza sia delle legittime esigenze connesse al rispetto delle scelte politiche e degli equilibri di coalizione, sia di quelle – altrettanto meritevoli di tutela – di rispetto della parità di sessi nell’accesso ai pubblici uffici, al fine di evitare la anomala formazione di “zone franche”, cioè di aree di sostanziale sottrazione al controllo giurisdizionale garantito dall’art. 113 Cost., che non sia soltanto formale ed estrinseco (la provenienza dell’atto dal sindaco, il rispetto dei tempi normativamente previsti, ecc.), ma anche pieno ed effettivo, in linea con le coordinate costituzionali e comunitarie (art. 111 Cost; 6 CEDU), in punto di effettività della tutela giurisdizionale.

Ma, nella specie, l’epigrafato decreto di nomina degli assessori, oltre a porsi in violazione dell’art.1, comma 137, della Legge n. 56 del 2014, non reca effettiva prova di adeguata istruttoria al fine di reperire, per la nomina di assessori di sesso femminile, idonee personalità di sesso femminile nella società civile, nell’ambito del bacino territoriale di riferimento, limitandosi a comprovare soltanto la rinuncia di due consigliere.

Conseguentemente, anche a voler ritenere l’art. 1, comma 137°, della Legge 7 aprile 2014, n. 56 come non avente valore precettivo e cogente, non può essere ritenuto condivisibile l’operato del Sindaco, che, dopo aver ricevuto la rinuncia all’incarico di assessore da parte delle due consigliere comunali elette nel seno della maggioranza, si è considerato, in sostanza, tout court esonerato dall’obbligo di nomina di assessori di sesso femminile, con sostanziale violazione anche dell’invocata circolare del Ministero dell’Interno del 24.4.2014.

In conclusione, va data una valutazione in termini di illegittimità dell’avversato decreto sindacale, con accoglimento del ricorso e conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati, per quanto di interesse.

Nondimeno, la relativa novità della questione consente di disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli impugnati provvedimenti, per quanto di interesse.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

*******************, Presidente

*****************, ***********, Estensore

****************************, Referendario

Redazione

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