Il diritto di cronaca, definizione e caratteri

Scarica PDF Stampa

Il diritto di cronaca consiste nel diritto a pubblicare quello che è collegato a fatti e avvenimenti di interesse pubblico o che accadono in pubblico, ed è riconosciuto nell’ordinamento italiano tra le libertà di manifestazione del pensiero.

La funzione della cronaca consiste nel raccogliere le informazioni per diffonderle alla collettività. Le norme sul diritto di cronaca si applicano a chiunque descriva un avvenimento, o un evento di pubblico interesse, attraverso un mezzo di diffusione e si estende a chiunque, anche non iscritto all’albo dei giornalisti, si intenda rivolgere alla collettività.

La linea di demarcazione che separa il diritto di ognuno a manifestare il proprio pensiero, riconosciuto dall’articolo 21 della Costituzione della Repubblica Italiana, e dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani, e il reato di diffamazione, è labile ed è stata soggetta nel tempo a numerose interpretazioni.

Da una parte, il regime di circolazione “controllata” delle informazioni personali non deve costituire un ostacolo alla garanzia della libertà di stampa, dall’altra, la libertà di manifestazione del pensiero non si deve risolvere in libertà di diffamazione.

L’accusa di reato di diffamazione può scattare se si comunica a più persone qualcosa relativa a un’altra persona che offende la sua reputazione, indipendentemente dalla verità del fatto raccontato (ex art. 595 c.p.).

La legge recepisce il diritto dei cittadini ad essere informati.
Si può parlare di obbligo d’informazione con riferimento a quei soggetti che esercitano un servizio dichiarato pubblico dalla legge, perché inteso in favore della collettività.
Ad esempio, l’attività radiotelevisiva ha sempre costituito un servizio di preminente interesse collettivo, e le leggi di disciplina del sistema radiotelevisivo attribuiscono alla relativa attività di informazione la massima importanza.
Lo stesso discorso vale anche per la carta stampata, in considerazione della circostanza che molti quotidiani e periodici a diffusione nazionale assolvono a una funzione informativa indispensabile.
Si deve però precisare che nella legge n. 47/1948 (“legge sulla stampa”) non c’è una norma sulla quale fondare un obbligo di informazione analogo a quello dei concessionari radiotelevisivi nazionali.

I diritti e i doveri dei giornalisti italiani sono contenuti nella legge n. 69/1963, “Ordinamento della professione di giornalista”.

L’articolo 48 della legge 69/1963 dispone il procedimento disciplinare per gli iscritti all’Albo che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro o alla dignità professionale, o di fatti che compromettano la propria reputazione o la dignità dell’Ordine.

La Carta dei doveri del giornalista, risale al 1993 e ha fissato un elenco dei criteri fondamentali in relazione alla divulgazione delle notizie

La tutela della personalità altrui.

L’obbligo inderogabile del rispetto della verità sostanziale dei fatti.

Il rispetto degli ideali della lealtà e della buona fede.

L’obbligo a ratificare notizie inesatte e a riparare eventuali errori.

Il rispetto del segreto professionale sulle fonti delle notizie.

La legge 675/1996 ha prodotto importanti conseguenze in materia di diritto di cronaca.

Il suo scopo è tutelare la riservatezza (delle persone fisiche e giuridiche) rispetto al trattamento delle informazioni personali.

La legge intende assicurare una serie di diritti protetti dall’articolo 2 della Costituzione.

L’argomento coinvolge però la libertà di informazione, ed anch’essa è garantita costituzionalmente, e perché un diritto non limiti l’altro, la legge individua le rispettive sfere d’influenza.

In particolare

Colui che effettua un’attività giornalistica (sporadica, non professionale o professionale) è tenuto a rendere nota la propria identità, professione e la finalità della raccolta delle informazioni, a meno che questo possa fare correre rischi per la sua incolumità o vanificare l’esito del suo lavoro.

Non è però tenuto a chiedere all’interessato il consenso al trattamento dei dati, né al Garante per la privacy l’autorizzazione per potere trattare le cosiddette “informazioni sensibili”.

A patto che il trattamento delle informazioni sia effettuato “nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità

In relazione ai minori è prescritto il divieto assoluto di pubblicare nomi o informazioni che possano portare alla loro identificazione.

Si prevede la redazione di un Codice deontologico sulla privacy, che regolamenta il trattamento delle informazioni personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (il codice è entrato in vigore nell’agosto 1998).

La pubblicazione delle informazioni sui giornali (e su ogni altro mezzo d’informazione) deve essere effettuata nel rispetto dei “limiti al diritto di cronaca” posti a tutela della riservatezza (in particolare, viene menzionato espressamente il principio di “essenzialità dell’informazione relativo a fatti di interesse pubblico”) e nel rispetto del codice di deontologia.

Sono salvaguardate le norme relative al segreto professionale, limitatamente alla fonte della notizia.

I cosiddetti limiti del diritto di cronaca, ai quali rinvia la legge sono stati individuati dalla giurisprudenza.

Il decreto legislativo che ha abrogato e sostituito la legge n. 675/96, ha introdotto altre norme a tutela della privacy e della riservatezza delle informazioni di ciascuna persona.

Il decreto è un importante strumento per contemperare i diritti fondamentali della persona con il diritto dei cittadini alla piena informazione e con la libertà di stampa.

L’interessato deve essere preventivamente informato, anche oralmente, attraverso un’informativa che riporti il trattamento che verrà compiuto sulle sue informazioni personali, nonché gli scopi dello stesso.

Egli si potrà opporre oppure fornire il proprio consenso che non è obbligatorio in casi che adempiono a un obbligo di legge, come ad esempio il diritto di cronaca.

Un giornalista non può essere costretto a pubblicare una notizia, né può essere ritenuto responsabile nei confronti della collettività per non averla informata.

In relazione al campo sessuale, il Codice tutela in modo rigido le persone comuni, ma non i personaggi pubblici, obbedendo a questa massima giurisprudenziale:

“Chi ha scelto la notorietà come dimensione esistenziale del proprio agire, si presume abbia rinunciato a quella parte del proprio diritto alla riservatezza direttamente collegata alla sua dimensione pubblica” (Tribunale di Roma 1992).

Si pensi al caso di artisti, campioni dello sport e personaggi collegabili a eventi culturali.

Sin dagli anni settanta la Corte di Cassazione è stata chiamata a contemperare la disciplina relativa alla riservatezza con la garanzia costituzionale della libertà di stampa e con la libertà di manifestazione del pensiero.

Nel 1975 la Suprema Corte ha individuato i limiti ragionevoli che non deve oltrepassare chi produce notizie, stabilendo che da una parte, la “personalità pubblica” non si può sottrarre a una verifica (anche lesiva della reputazione) cronachistica o critica del suo agire, dall’altra, l’esigenza di una maggiore conoscenza della persona nota “non si può identificare nella morbosa curiosità che parte del pubblico ha per le vicende piccanti o scandalose, svoltesi nell’intimità della casa della persona arrivata alla notorietà” .

Negli anni ottanta, la Corte di Cassazione ha fissato il punto di equilibrio tra la doverosa tutela del diritto di cronaca e l’altrettanto doverosa tutela della persona con due note sentenze:

Cass. pen. 30/06/1984 n. 8959 e Cass. civ. 18/10/1984 n. 5259.

La sentenza della Cassazione Civile, detta anche “sentenza decalogo”, afferma che l’esercizio della libertà di diffondere alla collettività notizie e commenti è legittimo, e può anche prevalere sul diritto alla riservatezza, se il cronista rispetti coscienziosamente le seguenti condizioni:

Che la notizia pubblicata sia vera (“verità del fatto esposto”).

Che esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro attualità e utilità sociale (“rispondenza a un interesse sociale all’informazione”, oppure requisito della pertinenza).

Che l’informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obbiettività (“rispetto della riservatezza e onorabilità altrui”, oppure “correttezza formale della notizia o della critica”).

Altre sentenze della Suprema Corte hanno affermato i seguenti principi:

“In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esercizio del diritto di critica presuppone una notizia che ad esso preesiste (momento relativo ancora al diritto di cronaca), con la conseguenza che sussiste l’obbligo dell’articolista di esercitare la propria opinione esclusivamente su fatti del quale nucleo fondamentale ha verificato la corrispondenza al vero” .

L’interesse collettivo all’informazione sugli avvenimenti politici comprime la tutela della reputazione e può legittimare la critica di un fatto ancora da verificarsi, ma forse, se questo avviene, oppure se il giornalista si comporta, nell’interesse della collettività.

Anche “ la persona non nota ha diritto al risarcimento del danno per violazione del diritto alla riservatezza, ma deve provare il pregiudizio subito”.

Dott.ssa Concas Alessandra

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento