La Concorrenza tra Imprese

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1) La tutela della libertà di concorrenza

 

Introduzione e fonti della normativa antitrust

Il principio di libera iniziativa economica dell’imprenditore (art. 41 c.1 cost.) incontra il suo maggiore ostacolo nella limitazione alla libera concorrenza, derivante dalla concentrazione del potere economico in capo a pochi soggetti.

Il sogno dell’economia liberale, infatti, è quello di una totale assenza di barriere all’entrata del mercato, anche se alcuni imprenditori non vogliono la concorrenza; queste regole hanno lo scopo di proteggere la libertà di iniziativa economica da se stessa, per evitare che i vantaggi della stessa derivanti alla collettività e ai consumatori vengano annullati dalla naturale tendenza al monopolio o alla collusione tra operatori.

Le fonti della normativa sulla libera concorrenza sono lo Sherman Act del 1890, primo esempio di atto antitrust e il Trattato CE del 1957; in Italia per lungo tempo è stato possibile applicare solo il Trattato CE fino all’entrata in vigore della L. 287/1990, la c.d. legge antitrust, che si limita a disciplinare i fatti anticoncorrenziali presenti sul mercato italiano.

Le fattispecie anticoncorrenziali previste sia dal Trattato CE sia dalla L. 287/1990 sono: le intese restrittive della libertà di concorrenza, l’abuso di posizione dominante e le operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza.

Nel nostro ordinamento, l’accertamento è effettuato da un’autorità amministrativa indipendente, un ente pubblico strumentale, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM); i provvedimenti dell’AGCM possono essere impugnati con ricorso davanti al TAR, anche se controversa è la posizione del giudice amministrativo nel sindacare delle valutazioni tecniche.

Per quanto riguarda invece l’esercizio di azione volte a far dichiarare la nullità di fatti anticoncorrenziali, competente è l’autorità giudiziaria ordinaria; sono previsti invece dei regimi di tutela diversi per il settore bancario e assicurativo.

 

 

Le intese restrittive della concorrenza (art. 2 L. 287/1990)

Sono accordi e pratiche concordate tra imprese, vietate se hanno per oggetto o effetto quello di impedire, restringere, falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno sul mercato nazionale o in una sua parte rilevante.

Di particolare importanza sono le pratiche concordate delle imprese che uniformano il loro comportamento sul mercato; sia la normativa italiana che quella comunitaria contengono un elenco esemplificativo di intese anticoncorrenziali come: le intese sui prezzi di acquisto e di vendita, le intese che limitano la produzione, gli sbocchi, l’accesso al mercato o agli investimenti.

Non rientrano nelle intese vietate quelle tra società dello stesso gruppo e ovviamente quelle che non ostacolano la concorrenza sui mercati.

Il divieto può essere oggetto di deroghe, se le intese portano a dei miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato, con l’effetto di un sostanziale beneficio per i consumatori.

Nel nostro ordinamento l’AGCM può concedere autorizzazioni in deroga sia per le categorie sia per le singole intese; si tratta tuttavia di provvedimenti temporanei e revocabili.

Anche la Commissione CE può emettere provvedimenti autorizzativi di ordine generale.

Se l’AGCM dovesse accertare la violazione del divieto di intese, allora può emettere i provvedimenti necessari a rimuoverne gli effetti anticoncorrenziali ed infliggere sanzioni pecuniarie o, in caso di reiterata inosservanza, la sospensione dell’attività d’impresa fino a 30 giorni.

 

 

L’abuso di posizione dominante (art. 3 L. 287/1990)

E’ vietato l’abuso, da parte di una o più imprese, di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.

Non è illecito il raggiungimento di una posizione dominante, ma il suo abuso.

Il concetto di posizione dominante presuppone l’identificazione del mercato rilevante; una volta identificato, la valutazione della posizione dominante viene effettuata confrontando la quota di mercato dell’impresa, calcolata in base al suo fatturato, con quella complessiva del settore.

L’abuso di posizione può riguardare l’imposizione dei prezzi, limitazioni o impedimenti alla produzione, agli sbocchi, all’accesso al mercato e l’applicazione di condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti.

L’AGCM sanziona anche l’abuso di dipendenza economica, che a differenza del caso della posizione dominante, si riferisce a rapporti tra imprese e nello specifico alla situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra, un eccessivo squilibrio tra diritti e obblighi.

 

 

Le concentrazioni (art. 6 L. 287/1990)

Sono vietate le operazioni di concentrazione che comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominate sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre la concorrenza.

A differenza delle intese e dell’abuso di posizione dominante in cui l’attività di controllo e repressione dei comportamenti anticoncorrenziali avviene ex post, il sistema di controllo delle concentrazioni prevede, sia in sede nazionale che comunitaria, un obbligo di comunicazione delle operazioni di concentrazione che superino le soglie stabilite dalla Commissione CE.

Dopo la comunicazione l’autorità decide se avviare o meno un’istruttoria; la risposta negativa legittima l’operazione mentre quella negativa comporta una valutazione più approfondita del contrasto tra operazione e norme.

Gli effetti dell’avvio dell’istruttoria sono diversi nei due ambiti: in Italia l’AGCM può sospendere il compimento dell’operazione durante l’istruttoria mentre a livello comunitario, la sospensione opera automaticamente salvo deroghe specifiche.

Al termine del procedimento l’operazione può essere: a) autorizzata, b) autorizzata a condizioni idonee ad impedire la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominate sul mercato, c) vietata.

L’inosservanza dei provvedimenti dell’AGCM comporta l’irrogazione di sanzioni amministrative calcolate sul fatturato delle imprese coinvolte.

Le operazioni di concentrazione possono essere:

–         La fusione tra imprese

–         L’acquisizione da parte di soggetti che controllano una o più imprese, del controllo di un’impresa o di una sua parte.

–         La costituzione di un’impresa comune, come strumento di coordinamento tra imprese indipendenti, che porta ad un’intesa

 

Il concetto di concentrazione si basa sugli effetti economici dell’operazione; per questo le operazioni suddette sono irrilevanti, se avvengono fra soggetti che appartengono allo stesso gruppo.

Quindi si ha concentrazione quando l’acquisizione totale o parziale di un’impresa prima indipendente comporta un ampliamento della quota di mercato dell’operatore in questione, diminuendo, allo stesso tempo, il numero degli operatori economici indipendenti.

 

 

Il monopolio legale e di fatto

Solo in particolari settori (es. i trasporti), la legge consente a determinate imprese la creazione di un monopolio per la produzione e lo scambio di beni o di servizi.

Il c.d. monopolio legale non è soggetto alla disciplina della L. 287/1990, ma deve adempiere l’obbligo di contrarre con chi fruisce dei suoi servizi e garantire la parità di trattamento nei confronti della clientela e per quanto riguarda le condizioni economiche.

Tali regole non si applicano al c.d. monopolio di fatto che invece è disciplinato dalla L. 287/1990 e dalla normativa comunitaria in materia.

 

 

Il patto di non concorrenza (art. 2596 c.c.)

L’art. 2596 c.c. stabilisce i limiti contrattuali che possono essere applicati alla libertà di concorrenza in modo da evitare eccessive restrizioni della libera iniziativa economica individuale.

Il patto di non concorrenza deve essere provato per iscritto; esso è valido se circoscritto a una determinata zona o attività e non può eccedere la durata di 5 anni.

Se la durata non è determinata o è stabilita per un periodo superiore, il patto è valido sempre 5 anni.

Sono previste delle eccezioni a questa norma per quanto concerne discipline speciali di particolari forme contrattuali: il patto di preferenza o esclusiva nel contratto di somministrazione, il patto di non concorrenza dell’agente o del rappresentante al momento della cessazione del rapporto, i patti di non concorrenza accessori ad un contratto.

 

 

 

2) La concorrenza sleale

Libertà di concorrenza non significa che ogni condotta concorrenziale sia lecita; infatti gli artt. 2598 e ss. sono dedicati alla repressione degli atti di concorrenza sleale, indicando le fattispecie tipiche e gli strumenti di tutela per il soggetto leso.

L’art. 2598 c.c. elenca le fattispecie di concorrenza sleale:

 

–         la confusione: compie atti di concorrenza sleale chiunque usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con quelli legittimamente usati da altri, o imita i prodotti di un concorrente, o compie, con qualsiasi altro mezzo, atti idonei a creare confusione con l’attività e i prodotti di un concorrente.

–         La denigrazione e appropriazione di beni altrui: è un atto di concorrenza sleale la diffusione di notizie o apprezzamenti sull’attività o i prodotti di un concorrente, idonei a determinarne il discredito o l’appropriazione di pregi di prodotti o dell’impresa di un concorrente.

 

In questa categoria non rientra la c.d. pubblicità comparativa, che confronta i prodotti per determinarne la superiorità.

Dott. La Marchesina Dario

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