Cassazione: lo spamming non integra il reato di molestie

Redazione 17/10/11
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di Lucia Nacciarone

A deciderlo è stata la prima sezione della Corte di cassazione con la sentenza n. 36779 del 12 ottobre 2011. I giudici di legittimità con questo pronuncia hanno assolto due giovani condannati per aver inviato una serie di e-mail indesiderate ad una ragazza.

Ad avviso della suprema Corte, ai fini della configurabilità del reato di molestie occorre fare un distinguo fra telefono, sms e internet.

Nel caso di molestie arrecate col mezzo della posta elettronica non sussiste nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario mancando una diretta intrusione nella sua sfera di attività. Il destinatario dei messaggi di posta, infatti, non è costretto a riceverli, cosa che avviene solo quando effettua l’accesso tramite internet.

Invece, nel caso della molestia arrecata tramite telefono si realizza una forzata intrusione nella libertà di comunicazione del destinatario, al quale egli può opporsi unicamente disattivando l’apparecchio telefonico.

Tuttavia, sottolineano i giudici di legittimità, oggi la tecnologia è in grado di veicolare, in entrata ed in uscita, tramite apparecchi telefonici, sia fissi che mobili, sia sms che e-mail.

Ed in questi casi è più difficile distinguere se la comunicazione è sincronica o a-sincronica, carattere, quest’ultimo, che determina l’esclusione della condotta dal reato di molestie (art. 660 del codice penale).

Invero, «entrambe le comunicazioni sono sempre segnalate da un avvertimento acustico che ne indica l’arrivo, e che può, specie nel caso di spamming, costituito dall’affollamento indesiderato del servizio di posta elettronica con petulanti e-mail, recare quella molestia e quel disturbo alla persona che di questa lede con pari intensità la libertà di comunicazione costituzionalmente garantita. In tal caso è palese l’invasività dell’avvertimento al quale il destinatario non può sottrarsi se non dismettendo l’uso del telefono, con conseguente lesione, per la forzata privazione, della propria tranquillità e privacy, da un lato, con la compromissione della propria libertà di comunicazione, dall’altro.

Nel caso di specie i giudici hanno ritenuto che gli invii indesiderati non creassero un disturbo diretto, ed hanno perciò assolto gli imputati.

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