Violenza durante incontro di calcio: la condanna del calciatore

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Un fallo di gioco si è trasformato in una sentenza che certamente farà giurisprudenza.

Anzitutto è utile ripercorrere i fatti che risalgono al dicembre del 2010: partita di calcio tra Lovispresiano e Rovere valevole per il campionato di seconda categoria disputata nel Trevigiano. A cinque minuti dal termine, il Lovispresiano è in vantaggio uno a zero e il Rovere tenta un ultimo disperato attacco in occasione di un calcio d’angolo. Sale in area avversaria per tentare il colpo di testa vincente anche M.S., difensore del Rovere. Lo marca M.B del Lovispresiano: nel campo si sente un colpo sordo e secco. M.S. stramazza al suolo. Dirà di esser stato raggiunto da un pugno al volto sferrato da un avversario. L’arbitro non ha visto nulla. Niente rigore, niente espulsione. E’ possibile? Certo, succede anche nelle serie maggiori, ove però ci si può avvalere della prova tv per sanzionare comportamenti violenti.

Trasportato al Pronto Soccorso dell’ospedale di Treviso, il giovane riportò tre fratture tra zigomo e setto nasale, un edema alla palpebra destra, contusioni al naso e all’occhio destro e tumefazione del labbro. Dopo essere stato dimesso dal reparto di chirurgia maxillofacciale, il ragazzo presentò denuncia contro M.B. il quale, qualche giorno dopo la gara, gli aveva inviato una lettera di scuse sostenendo che si fosse trattato di un incidente involontario e non di un gesto violento e gratuito.

Nell’aprile del 2012 ebbe inizio il procedimento penale a carico di M.B. che lo vedeva imputato per lesioni aggravate.

La tesi difensiva di M.B. si fondava sull’involontarietà della gomitata inferta durante la marcatura in un’azione di calcio d’angolo ovvero in un normale contrasto di gioco, che giuridicamente costituisce presupposto per l’applicazione della cd. scriminante sportiva. La tesi del pubblico ministero, al contrario, sosteneva che lesioni come quelle riportate dalla vittima non possono in alcun modo esser state frutto di una semplice gomitata involontaria.

In aula sono state ascoltate numerose testimonianze. Molti compagni di squadra di M.B. dicono di non aver visto alcun pugno. Idem arbitro e guardalinee. Altri presenti, invece, hanno detto di aver visto chiaramente l’azione violenta. Tra questi, il Presidente del Rovere ed un compagno di squadra che stava effettuando il riscaldamento a bordo campo che, dinanzi al giudice, hanno affermato di aver visto M.B. colpire M.S. con un pugno sferrato a braccio teso.

Pesanti erano state le richieste avanzate dall’accusa (sei mesi di pena detentiva) e dalla costituita parte civile (26.000 euro di risarcimento danni alla vittima).

Il giudice non ha creduto alla difesa di M.B.. L’accusa non è stata derubricata. Non si è trattato di normale contrasto di gioco, come sostenuto dall’imputato, bensì di un pugno in faccia vero e proprio. Un colpo violento e soprattutto volontario, che esclude qualsiasi tipo di scriminante. Per queste ragioni, il giudice di primo grado ha emesso sentenza di condanna a carico di M.B.: 20 giorni di reclusione per lesioni aggravate e risarcimento danni da valutare in sede civile, con provvisionale immediata di 5.000 euro a cui aggiungere 2.500 euro per spese legali. Per M.B., incensurato, la pena è stata sospesa. L’avvocato di M.B. ha comunque annunciato l’intenzione di presentare ricorso in Appello.

Tale pronuncia rappresenta un netto e deciso passo in avanti della giurisprudenza affinché i campi da gioco non rimangano territori dove non vige alcuna legge e dove tutto è consentito, come spesso (purtroppo) accade soprattutto nei campionati minori.

Avv. Destratis Giulio

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