Vincoli sostanzialmente espropriativi

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 1. Nascita dei vincoli espropriativi.

La Corte costituzionale, con decisione del 20 gennaio 1966, n. 6, ha contraddetto il proprio precedente indirizzo, affermando la necessità di indennizzare non solo le espropriazioni che riguardano la traslazione della proprietà del bene, ma anche le “espropriazioni sostanziali” che, seppure lasciano all’originario proprietario la titolarità del bene, pongono forti limitazioni al diritto di proprietà, svuotandolo di contenuto1.

Con la citata sentenza la Corte, in materia di servitù militari imposte senza indennizzo, affermò la necessità di indennizzare le espropriazioni sostanziali che “pur non disponendo una traslazione totale o parziale di diritti, imponga limitazioni tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso o determinando il venir meno o una penetrante incisione sul valore venale”.

Detta statuizione, però, lasciava aperto il problema della durata dei vincoli posti dal piano regolatore generale. Ed è per questo che la stessa Corte, con sentenza 29 maggio 1968, n. 55, confermata dalla n. 56, dichiarò: “l’illegittimità costituzionale dei nn.2, 3 e 4 dell’art.7 della L.17 agosto 1942, n.1150, e dell’art.40 della stessa legge, nella parte in cui non prevedono un indennizzo per l’imposizione di limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato nei confronti del diritto di proprietà, quando le limitazioni stesse abbiano contenuto espropriativo nei sensi indicati in motivazione”2.

Conseguentemente, secondo la Corte costituzionale, la durata indeterminata dei vincoli preordinati all’esproprio genera un effetto sostanzialmente espropriativo, in violazione dell’articolo 42, comma 3, della Costituzione, che prevede, in tali casi, la corresponsione di un indennizzo.

Ed ancora, la garanzia del diritto di proprietà è violata quando “singoli diritti, che all’istituto si ricollegano, vengano compressi o soppressi senza indennizzo, mediante atti di imposizione che, indipendentemente dalla loro forma conducano ad una traslazione totale o parziale del diritto, ovvero ad uno svuotamento di rilevante entità del suo contenuto pur rimanendo intatta l’appartenenza del diritti”. Quindi, sono da ritenersi illegittime le imposizioni, in sede di piano regolatore generale, di vincoli urbanistici immediatamente operanti, “quando ben più che disciplinare le modalità di utilizzazione della proprietà o limitarne l’impiego per il tempo normalmente necessario ad una prossima diversa utilizzazione, previo trasferimento della proprietà, comprimano questa, a titolo particolare, in modo rilevante, senza previsioni di indennizzo, ovvero con la previsione di un indennizzo da liquidare in un tempo indeterminato”.

Di contro, devono ritenersi legittimi tutti quei vincoli, previsti dalla legge urbanistica, “che possono ritenersi connaturati con la proprietà urbana, in quanto hanno per scopo una disciplina dell’edilizia urbana nei suoi molteplici aspetti inerenti all’ intensità estensiva e volumetrica, alla localizzazione, al decoro e simili”.

Con detta decisione n. 55 ha, altresì, ritenuto contrario a Costituzione la circostanza che l’approvazione del piano regolatore generale comporti, in assenza di indennizzo, l’apposizione “di vincoli che, pur consentendo la conservazione della titolarità del bene, sono tuttavia destinati a operare immediatamente una definitiva incisione profonda, al di là dei limiti connaturali, sulla facoltà di utilizzabilità sussistenti al momento dell’imposizione”.

 

 

2. Durata del vincolo preordinato all’esproprio: decadenza.

Con la dichiarazione di parziale incostituzionalità degli articoli 7 e 40 della legge urbanistica, il legislatore, con l’articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, fissò in cinque anni la durata dei vincoli preordinati all’esproprio3.

Detta decisione, tuttavia, non conteneva alcun divieto di prorogare o riproporre il vincolo espropriativo, né risolveva il problema della destinazione urbanistica delle aree dopo la decadenza del termine quinquennale.

La Corte costituzionale, solo a distanza di diversi lustri, ha affrontato la questione con la nota pronuncia 20 maggio 1999, n.179.

La Consulta, con detta statuizione ha ritenuto che l’indennizzo, non dovuto solo per il primo periodo di efficacia del vincolo preordinato all’esproprio, deve corrispondersi con la reiterazione del vincolo, dato che vi è una diminuzione del valore del bene, da commisurarsi alla mancata o ridotta utilizzazione, o alla diminuzione di prezzo di mercato, locativo o di scambio, rispetto alla situazione giuridica antecedente all’apposizione del vincolo.

In merito alla sorte dei beni, oggetto di vincoli, si è ritenuto che detti beni ricadessero tra le cosiddette “zone bianche”, prive di pianificazione urbanistica, con un regime di quasi assoluta inedificabilità, essendo consentiti, all’interno dei centri abitati, i soli interventi di recupero dell’esistente o di inedificabilità assai ridotta, nella misura di 0,03 mc/mq, relativamente alle aree esterne ai centri abitati.

La giurisprudenza, ancora una volta, ha colmato i vuoti normativi presenti nel sistema, equiparando tali situazioni a quelle relative ai comuni sprovvisti di piano regolatore generale.

Conseguentemente, nel caso in cui un piano urbanistico preveda un vincolo preordinato all’espropriazione, il decorso del quinquennio, in mancanza della dichiarazione di pubblica utilità, comporta la decadenza di detto vincolo, ai sensi dell’articolo 2, della legge n. 1187 del 1968, ritenendosi applicabile l’articolo 4, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977.

Per i tribunali amministrativi, ai sensi del citato articolo 4, per le aree poste all’interno del centro abitato e sottoposti a vincoli preordinati all’esproprio, il divieto di alterare lo stato dei luoghi in dipendenza della natura del vincolo, veniva sostituito, a seguito della decadenza dello stesso, dal divieto assoluto di edificare, consentendo una limitata edificazione, secondo il coefficiente di mc 0,03 per mc, solo all’esterno del centro abitato4.

Oggi, la soluzione fornita dalla giurisprudenza trova previsione nell’articolo 9 del testo unico sull’esproprio, che fa espresso rinvio all’articolo 9 del testo unico sull’edilizia.

In ogni caso la scelta di applicare il regime di edificabilità delle zone prive di regolamentazione urbanistica non elimina l’obbligo dell’Amministrazione di procedere ad una nuova pianificazione dell’area rimasta senza disciplina urbanistica5.

In merito, il Consiglio di Stato ha stabilito che “la decadenza dei vincoli urbanistici che comportano la inedificabilità ovvero che privano il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, determinata dall’inutile decorso del termine quinquennale previsto dall’articolo 2 comma 1, legge n. 1187 del 1968, decorrente dall’approvazione del piano regolatore generale, comporta l’obbligo per l’Amministrazione comunale di reintegrare la disciplina urbanistica dell’area già interessata dal vincolo decaduto.

Ne deriva che ogni disciplina che, per la fase successiva alla decadenza dei vincoli a seguito del quinquennio, prevedesse una ulteriore destinazione vincolata, non potrebbe essere ritenuta in grado di produrre l’esonero dell’Amministrazione dall’obbligo di provvedere; in caso contrario, tale disciplina si porrebbe in fraudem legis sia rispetto a tale obbligo, che rispetto all’affermato principio dei limiti al diritto di proprietà, in quanto costituirebbe un surrettizio tentativo di protrarre i vincoli oltre il termine massimo consentito”.

Inoltre, se l’Amministrazione non dovesse provvedere alla reintegrazione della disciplina urbanistica, il proprietario interessato può promuovere gli interventi sostitutivi dell’ente sovracomunale o adire il giudice amministrativo6.

Ne deriva che, allo scadere del vincolo, i proprietari di aree sottoposte a vincoli preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, sono legittimati a censurare il silenzio-inadempimento, per contrastare l’inerzia dell’amministrazione che non ha inteso ripianificare l’area7.

 

3. La reiterazione del vincolo espropriativo.

Il legislatore, con l’articolo 2 della legge 1187 del 1968, previde il termine quinquennale di efficacia di vincoli espropriativi, con conseguente decadenza degli stessi nel caso in cui entro detto termine, decorrente dalla data di approvazione del piano regolatore generale, non fosse stata avviata la procedura espropriativa.

La giurisprudenza amministrativa, tuttavia, dato il prevalente interesse pubblico a disporre di spazi da destinare a usi collettivi, ha ritenuto legittima la prassi di reiterare i vincoli dopo la scadenza dei cinque anni, prescrivendo il solo limite dell’obbligo di motivazione adeguata, con riguardo in merito alle esigenze urbanistiche da soddisfare.

In merito, va rilevato che il limite di cinque anni è da riferire al singolo vincolo e che per la reiterazione dello stesso non è previsto alcun limite, dato che la sentenza n. 55 del 1968 non ha dichiarato incostituzionale l’articolo 11 della legge urbanistica, che prevede la durata indeterminata delle previsioni del piano regolatore. Ne consegue che basta reiterare il vincolo ogni cinque anni per renderlo “a tempo indeterminato“.

Ed è per questo che la Consulta ha sollevato nuovamente la questione di legittimità costituzionale, visto che la riproposizione dei vincoli ledeva il principio del necessario indennizzo in relazione al divieto di edificabilità sine die8.

C’è da dire, però, che se da un lato la Consulta riteneva costituzionale la reiterazione, dall’altro, non forniva soluzioni agli interessi dei proprietari.

Sarà la decisione 20 maggio 1999, n. 179, ad affermare l’obbligo di indennizzo in caso di reiterazione del vincolo dopo la scadenza del termine di cinque anni.

Con detta statuizione, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui consente all’amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo.

Inoltre, la Corte ha chiarito che “l’esigenza di un intervento legislativo sulla quantificazione e sulle modalità di liquidazione dell’indennizzo non esclude che – anche in caso di persistente mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e parametri per la liquidazione delle indennità – il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati, possa ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo”.

La Consulta, però, ha omesso di indicare le modalità di determinazione della misura dell’indennizzo, facendo cenno solo all’esigenza della sua commisurazione al sacrificio subito, che consiste nella diminuzione di valore di mercato del bene.

Ha, però, ammesso il ricorso all’autorità giudiziaria competente, che “può ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione delle obbligazioni indennitarie9.

Per il resto, la Corte costituzionale ha demandato al legislatore la scelta tra misure risarcitorie, indennitarie, riparatorie, anche in forma specifica, ovvero mediante altri sistemi compensativi che non penalizzino i soggetti incisi dalle scelte urbanistiche.

 

1 Devesi considerare di carattere espropriativo, a sensi dell’art. 42, terzo comma, Cost., anche l’atto che, pur non disponendo un trasferimento totale o parziale di diritti, imponga limitazioni (intesa l’espressione in senso ampio, e cioè comprensiva sia delle servitù che dei limiti) tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene, in misura da renderlo inutilizzabile in rapporto alla sua naturale destinazione, o sul suo valore di scambio. Nei criteri di identificazione dell’atto espropriativo indennizzabile ai sensi dell’art. 42, terzo comma, Cost., ha indubbiamente parte notevole un elemento quantitativo ed anzi detto elemento è immanente al concetto stesso di espropriazione, intesa non soltanto come trasferimento ma anche come sottrazione o menomazione del godimento del diritto: sottrazione e menomazione che deve essere prevista ed accertata anche in rapporto alla concretezza del sacrificio imposto (…). La nozione di espropriazione enunciata nell’art. 42, terzo comma, Cost., non può essere ristretta al concetto di trasferimento coattivo né l’obbligo della indennizzabilità può essere ricondotto esclusivamente a tale concetto (Corte cost., 20 gennaio1966, n. 6, in CED Cassazione, 1966).

2 Quando le limitazioni immediatamente operative nei confronti di diritti reali di cui ai nn. 2, 3 e 4 dell’art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, abbiano contenuto espropriativo, le predette norme, nonche’ l’art. 40 della stessa legge nella parte in cui non ne prevedono l’indennizzabilita’, sono costituzionalmente illegittime. Ferme restando che non possono farsi rientrare nelle fattispecie espropriative le limitazioni del genere di quelle ammesse dall’art. 42, comma secondo, Cost. (ad es., gli indici di fabbricabilita’ delle singole proprieta’ immobiliari). Spettera’ agli organi di giurisdizione ordinaria desumere, dalla casistica delle imposizioni, la rispettiva inserzione nei “vincoli di zona” contemplati nel n. 2 del citato art. 7 della legge n. 1150 del 1942, ovvero in una delle altre categorie indicate (Corte cost., 29 maggio 1968, n. 55, in CED Cassazione, 1968);

3 È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 7, n. 2, 3, 4, e 34, 36, 40 l. 17 agosto 1942 n. 1150, in relazione all’art. 2 l. 19 novembre 1968 n. 1187, alla l. 7 novembre 1973 n. 756, al d.l. 29 novembre 1975 n. 562, convertito nella l. 22 dicembre 1975 n. 966, al d.l. 26 novembre 1976 n. 781, convertito nella l. 24 gennaio 1977 n. 6, e degli art. 1, 3, 4, 6, 11, 12 e 13 l. 28 gennaio 1977 n. 10. Invero la legge indicata da ultimo non disciplina la materia dei vincoli urbanistici, relativamente ai quali vale il principio, desumibile dall’art. 42, comma 3 cost., secondo cui la proprietà non può rimanere indefinitamente vincolata, senza alcun indennizzo. Le altre fonti primarie citate sopra non dispongono nel senso della permanenza dei vincoli urbanistici (Corte cost., 12 maggio 1982, n. 92, in Foro amm., 1983, I, 275).

4 La l. 28 gennaio 1977 n. 10 non ha abrogato l’art. 2 l. 19 novembre 1968 n. 1187 sul limite quinquennale di durata dei vincoli di piano regolatore generale preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità e, lungi dal sancire genericamente l’edificabilità di aree per le quali siano scaduti i vincoli di piano regolatore, ha stabilito che, in tal caso, alle aree rimaste prive di destinazione si applica la disciplina dettata dalla legge per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici, ovvero l’art. 4 comma ultimo l. n. 10 del 1977 (T.A.R. Firenze, Toscana, sez. III, 14 settembre 2004, n. 3767, in Foro amm., TAR, 2004, 2514).

55 La decadenza di un vincolo urbanistico che comporta l’inedificabilità assoluta, ovvero che priva il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, determinata dall’inutile decorso del termine quinquennale previsto dall’art. 2, comma 1, l. 19 novembre 1968 n. 1187, obbliga l’Amministrazione a procedere ad una nuova pianificazione dell’area rimasta priva di disciplina urbanistica. Infatti la disciplina dettata dall’art. 4, ultimo comma, lett. a) e b), l. 28 gennaio 1977 n. 10, e prevista per i comuni privi di strumenti urbanistici generali, ha natura provvisoria e non esime pertanto l’Amministrazione dal delineato obbligo di provvedere ad una nuova pianificazione urbanistica dell’area (Cons. Stato, sez. IV, 17 luglio 2002, n. 3999, in Riv. giur. edil., 2003, I, 244).

66 In caso d’inerzia del comune a dettare nuove previsioni urbanistiche, nel caso di decadenza dei vincoli di durata quinquennale previsti dall’art. 2 l. 19 novembre 1968 n. 1187, il proprietario dell’area interessata, dato il carattere di provvisorietà delle limitazioni dettate dall’art. 4 comma ultimo l. 28 gennaio 1977 n. 10, ben può promuovere gli interventi sostitutivi della regione ovvero attivare il procedimento del silenzio-rifiuto nei confronti del comune, al quale comunque spetta discrezionalmente la scelta della nuova destinazione (ovvero di confermare quella precedente) da imprimere all’area mediante adeguata motivazione (Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 226, in Foro amm., 1992, 409).

7 La decadenza dai vincoli urbanistici che comportano l’inedificabilità assoluta, ovvero che privano il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, determinata dall’inutile decorso del termine quinquennale di cui all’art. 2 comma 1, l. 19 novembre 1968 n. 1187, decorrente dall’approvazione del piano regolatore generale, obbliga il comune a procedere alla nuova pianificazione dell’area rimasta priva di disciplina urbanistica. Con la conseguenza che, ove l’amministrazione non si doti dello strumento urbanistico occorrente, i cittadini proprietari delle aree assoggettate dallo strumento urbanistico ai vincoli in questione, hanno titolo, allo scadere dei medesimi, a diffidare l’amministrazione a dotarsi dello strumento urbanistico e, qualora ciò non avvenga, possono accedere alla tutela giurisdizionale mediante impugnazione del silenzio rifiuto formatosi su tale diffida (Cons. Stato, sez. IV, 24 febbraio 2004, n. 745, in Foro amm., CDS, 2004, 408).

8 I due requisiti della temporaneità e della indennizzabilità dei vincoli di inedificabilità assoluta su beni individuali sono tra loro alternativi, per cui l’indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potestà di reiterarli indefinitivamente nel tempo anche se con diversa destinazione o con altri mezzi, è costituzionalmente legittima a condizione che l’esercizio di detta potestà non determini situazioni incompatibili con la garanzia delle proprietà secondo principi affermati nelle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968 che condizionavano le protraibilità del vincolo alla previsione dell’indennizzo (Corte costituzionale, 22 dicembre 1989, n. 575, in Riv. giur. edilizia 1989, I, 809).

9 A tale proposito, cfr., sentenza 22 giugno 1990, n.307, 1990, in Foro it, I, 2694, con la quale la Corte costituzionale dichiarò la possibilità di far valere, attraverso l’applicazione diretta dell’art.32 Cost., l’esistenza del diritto di coloro che, a causa della vaccinazione obbligatoria antipolio, avessero riportato conseguenze menomanti.

Cannizzo Carlotta

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