Verso una Corporate Social Responsability strategica

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Già all’inizio del nuovo millennio nell’entusiasmo generale per la new economy e sulla fiducia assoluta della superiorità del modello capitalista, emergevano segnali di clamorosi malfunzionamenti interni, come le ripetute crisi di alcuni paesi emergenti, i casi Enron, Worldcom ed altri in ambito internazionale e i casi Cirio, Parmalat, nonché di alcuni gruppi bancari, per dirne solo alcuni, in ambito nazionale, dove sembrano esistere strutturali problemi di equilibrio da conoscere e correggere; prima che normativo il problema appare istituzionale dovendo l’economia di mercato basarsi su alcuni prerequisiti che combinino un contesto normativo coerente ed efficace ad un’autoregolamentazione delle imprese, nella loro necessità di creare un clima di fiducia nell’innovazione e nei rapporti con gli utenti e i vari stakeholder (Perrini), il senso strategico di tale visione si riflette non solo sulla sostenibilità dei singoli processi e attività, ma anche sul sistema in cui sono inserite, questo porta a far sì che non possa esservi un’unica strada normativamente fondata sulla volontarietà dell’azione responsabile quale interiorizzazione strategica all’impresa.

Osservava Demattè che “l’impresa in quanto singolo istituto chiede la concorrenza nei propri mercati di approvvigionamento ma vorrebbe sopprimerla in quelli di sbocco, e ha una naturale aspirazione a raggiungere uno stato di monopolio”, tanto che un regime di concorrenza “presuppone un intervento esterno”, anche l’informativa è sottoposta a pressioni manipolative al fine di indurre i mercati a proprio favore, la tendenza è infatti “verso la segretezza”, il sommarsi di comportamenti scorretti, atteggiamenti opportunistici delle società di auditing ed interventi sporchi degli intermediari conducono all’implosione, sebbene ciascun attore creda di compiere il bene della propria impresa e di non avere alternative di fronte ad una pressione concorrenziale sempre più intensa.

Altro elemento sono le “diseconomie” prodotte dall’azione industriale e scaricate sul contesto sociale a cui si cerca di porre rimedio attraverso tre strade, la correzione per via normativa, non adeguata in quanto solitamente in ritardo rispetto alla velocità dell’evoluzione del mercato e sottoposta da una parte a un lento  processo di appesantimento burocratico e dall’altra alle pressioni lobbistiche nella procedura di formazione; la regolazione sociale attraverso la pressione dei consumatori e degli investitori sebbene specialmente i primi facilmente manovrabili per la loro disinformazione; infine per internalizzazione alle imprese dei valori sociali quali elemento strategico di crescita sul mercato, sebbene vi sia in questo filone da parte di alcuni un dubbio sulla sua praticabilità in presenza di una forte concorrenza; notava Demattè  che “nessuno dei tre filoni di lavoro, da solo, è in grado di contenere le diseconomie esterne causate dalle imprese”.

Vi è un progressivo spostarsi del dibattito dall’aspetto puramente tattico a quello strategico nel riconoscimento di un valore economico al CSR, tanto che si parla di gestione integrata della CSR tale da produrre vantaggi competitivi duraturi fondati sull’incremento delle risorse immateriali della fiducia e delle relazioni, vi deve essere tuttavia in questo un impegno congiunto tra vari attori che vanno dalle imprese, alle autorità pubbliche, ai sindacati e alle varie organizzazioni sociali (Perrini); gli strumenti tipici per promuovere la RSI (CSR), risultano essere il codice etico, le certificazioni in materie ambientali, sociali e di sicurezza del lavoro e alcune forme di rendicontazione al pubblico costituite dal bilancio ambientale e sociale, dove vi è una diffusione presso le PMI più lenta rispetto alle imprese oltre i 250 dipendenti se si considera il rapporto con la diffusione della certificazione di qualità che già nel 1998 avevano ottenuto tale certificazione nella misura del 50%, arrivando al 68,3% nel 2000, per giungere al 76,7% nel 2002, contro un 20,1% nel 1998, un 41,2% nel 2000 e un 55,5% nel 2002 per le PMI (Molteni).

Fondamentale è la capacità di comunicazione particolarmente scadente nelle PMI, vi è la necessità di trasmettere all’esterno le qualità acquisite dall’impresa, in modo che interiorizzazione aziendale del CSR e comunicazione all’estero vadano parallele creando la sinergia necessaria per un miglioramento delle capacità concorrenziali e quindi di riflesso un radicamento nell’impresa stessa, se la complessità del mondo moderno ha incoraggiato di fatto un bisogno crescente di nome (Berthoz) l’eccessiva normazione può indurre ad un rigetto delle stesse nella necessità di una sopravvivenza aziendale, l’aspetto etico difficilmente può essere solo imposto se innanzitutto non è sentito, a riguardo sono stati segnalati quali ostacoli la mancanza di tempo, la complessità regolamentare e burocratica, l’impatto dei costi (Molteni).

Nell’evitare che il CSR si trasformi in una pratica retorica atta a nascondere nel pubblico le inefficienze e altri obiettivi, l’Amministrazione pubblica deve chiarire e rendere esplicita le strategie adottate, individuare i principali destinatari e attori di tali azioni, quantificare e comunicare l’entità dell’impatto della propria azione, individuare le modalità della rendicontazione e i termini della sua comunicazione, nonché le sedi e le modalità di coinvolgimento dei stakeholders  (Marcuccio), si deve comunque evitare il più possibile la strumentalizzazione che un eccesso normativo non coordinato comporta, l’attuale crisi frutto anche delle mancanze innanzi richiamate se da un lato rende più difficile in termini di costi la pratica del CSR, dall’altra non può impedire che almeno nei paesi economicamente avanzati la sensibilità sociale che progressivamente viene ad espandersi, anche a seguito dei cambiamenti ecologici in atto, crei la giusta pressione perché non normativamente ma economicamente diventi un elemento sempre più internalizzato di una visione strategica e non puramente tattica delle imprese.

Nei radicali cambiamenti avvenuti nelle attuali dinamiche competitive si è creata l’esigenza di fidelizzare gli stakeholter mediante aspettative di affidabilità, fondate anche su chiarezza e trasparenza sociale, elementi strettamente legati ad un miglioramento della comunicazione, la descrizione del report CSR passa dall’assetto istituzionale alla storia, dal mercato alla missione e ai relativi valori, dai piani programmatici agli obiettivi raggiunti e alle sfide ancora in atto, il tutto integrato ai principali obiettivi socio-ambientali che si intende perseguire, nel 64% dei report (2009) sono le risorse umane a prevalere nella sistemazione dei dati, seguite da comunità, clienti, ambiente, fornitori, attori pubblici, azionisti e finanziatori, il report assume pertanto anche una valenza interna a fini gestionali in cui accanto ai temi classici degli impatti ambientali e alla sicurezza dei lavoratori si affianca un insieme più ampio di stakeholder e tematiche, deve tuttavia osservarsi una notevole staticità degli indicatori tale da rendere difficoltosa una lettura gestionale in un’ottica di lungo periodo (Perrini – Vurro).

 

Bibliografia

  • F. Perrini, Corporate Social Responsability: l’Europa e lo sviluppo di imprese competitive e sostenibili, in E & M., 11-17, n. 3, Etas  2006;
  • C. Demattè, L’impresa schiacciata fra la pressione dei mercati e la responsabilità sociale, in E & M., 5-19, n. 4, Etas  2002;
  • F. Perrini, Corporate Social Responsability: nuovi equilibri nella gestione d’impresa, in E & M., 7-14, n. 2,  Etas 2006;
  • M. Molteni, PMI: Quale responsabilità sociale?, in E & M., 111-125, n. 1, Etas 2004;
  • A. Berthor, La vicarianza, Codice ed. 2015;
  • A. Tencati, Sostenibilità, impresa e performance. Un modello di evaluation and reporting, Egea, 2002;
  • M. Marcuccio, Amministrazioni pubbliche e Corporate Social Responsability, 49-50, in E & M., Etas 2003;
  • F. Perrini – A. Tencati, Corporate Social Responsability. Un nuovo approccio strategico alla gestione di impresa, Egea 2008;
  • F. Perrini – C. Vurro, CSR reporting in Italia: dalla rendicontazione alla creazione di valore, in E & M., 77-90, n. 4, Etas 2009;
  • A. Anzivino – G. Baldassarre, Stakeholder engagement e impresa sociale, in E & M., 66-67, n. 3, Etas 2011.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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