Usucapione di beni: come si prova la continuità del possesso?

Redazione 05/05/17
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Come si diventa proprietari a titolo originario? L’usucapione è sicuramente un modo di acquisto della proprietà a titolo non derivativo. Tuttavia, è necessario che si perfezionino alcuni requisiti, senza i quali il diritto reale vantato dal neo proprietario potrebbero essere vanificati. Tra questi, vi è sicuramente la continuità del possesso del bene, che deve necessariamente essere dimostrata in sede giudiziale. Vediamo in cosa consiste ricorrendo ad un estratto del manuale di Riccardo Mazzon, Usucapione di beni mobili e immobili, II Edizione, Maggioli Editore, 2017.

Quanto al requisito della c.d. continuità del possesso, inteso quale esercizio (sulla cosa), per tutto il tempo previsto dalla legge, di un potere corrispondente a quello del proprietario (o del titolare di un diritto reale), v’è da dire, innanzitutto, che esso riguarda non il comportamento del proprietario (com’è, invece, per l’interruzione), bensì esclusivamente quello del possessore: ai fini della continuità del possesso, necessaria per l’acquisto a titolo di usucapione, dunque, quel che rileva è il comportamento del possessore, non già la volontà contraria del proprietario.

 

La continuità del possesso ai fini dell’usucapione

La continuità del possesso è da valutarsi in relazione alla natura del bene posseduto, con ciò non restando esclusa da intermittenze ontologicamente connesse con l’utilizzo proprio del bene; si pensi, ad esempio, al possesso di un fondo boschivo (come nel caso di terreno boschivo utilizzato soprattutto mediante taglio di legname) ovvero di un parcheggio (nel caso di non utilizzazione di un’area di parcheggio durante la circolazione dei veicoli, infatti, l’intermittenza dei relativi atti di godimento non esclude, in sé, la persistenza del potere di fatto sulla cosa).

 

Possesso: quando è continuo?

Il difetto di continuità del possesso, che può essere rilevata d’ufficio, qualora risulti ex actis, può conseguire alla rinunzia – anche tacita, potendo la stessa esser liberamente effettuata – dell’azione a difesa del diritto d’usucapire, purché, peraltro, detta rinuncia sia espressa in maniera non equivoca: infatti, colui che ha acquistato per usucapione un bene immobile è libero di rinunziare, anche tacitamente – cioè senza la necessità di un atto 24 Capitolo I scritto ad substantiam – alla azione a difesa di tale diritto (nella pronuncia che segue, ad esempio, in applicazione del riferito principio la Suprema Corte ha cassato la sentenza del giudice di appello che, pur in presenza di un giudizio favorevole alla tesi del ricorrente, espresso dal giudice di primo grado, aveva totalmente omesso di motivare la conclusione raggiunta sulla base delle argomentazioni difensive della parte attrice in primo grado); la rinuncia, tuttavia, risolvendosi in un atto che viene a incidere sulla tutela del possesso, interrompendo il requisito della continuità, necessario ai fini della tutela giudiziaria del relativo diritto, deve essere espressa in maniera non equivoca, “tenendo conto di tutti gli elementi posti a sostegno delle rispettive tesi e, soprattutto, del comportamento delle parti” (Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 2010, n. 3446, GDir, 2010, 16, 86; conforme, nel senso che la rinunzia tacita alla usucapione è configurabile soltanto allorché sussista incompatibilità assoluta fra il comportamento del possessore e la volontà del medesimo di avvalersi della causa di acquisto del diritto, senza possibilità di diversa interpretazione: Cass. civ., sez. II, 10 luglio 2002, n. 10026, GCM, 2002, 1192; conforme, nel senso che la rinuncia all’usucapione può essere espressa liberamente: Cass. civ., sez. I, 28 maggio 1996, n. 4945, GI, 1997, I, 1, 646).

 

Come si prova l’interruzione del possesso?

In effetti, in tema di usucapione, vige la presunzione, posta dall’art. 1142 c.c., della continuità del possesso e, pertanto, si determina un’inversione dell’onere della prova, non essendo il possessore, sia che agisca come attore o che resista come convenuto, tenuto a dimostrare la continuità del possesso, ma è onere della controparte che neghi essersi verificata l’usucapione, provare l’intervenuta interruzione; peraltro, ove il difetto della continuità del possesso risulti ex actis dalla produzione della parte che quella continuità invochi, il giudice, anche se l’interruzione non sia stata dedotta dalla controparte – e pur in contumacia della stessa –, deve rigettare la domanda o l’eccezione, giacché, in tal caso, non giudica ultrapetita in violazione dell’art. 112 c.p.c. – rilevando, cioè, un fatto che avrebbe dovuto essere eccepito ad iniziativa della controparte –, bensì si limita a constatare il difetto, risultante dagli atti del giudizio fornitigli dalla parte interessata, di una delle condizioni necessarie all’accoglimento della domanda o dell’eccezione.

In giurisprudenza, recentemente Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 2016, n. 21015, ha confermato che, in tema di possesso ad usucapionem, il requisito della pacificità del possesso medesimo non può essere escluso per la sola circostanza che il preteso titolare del diritto manifesti una volontà contraria all’altrui possesso, trattandosi di elemento rilevante al diverso fine di evidenziare la mala fede del possessore sicché, anche ai fini della continuità del possesso, necessaria per l’acquisto a titolo di usucapione, quel che rileva è L’usucapione 25 “il comportamento del possessore, non già la volontà contraria del proprietario” (Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 2016, n. 21015, QG, 2016 […]).

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