“Unitarietà” e suddivisione in lotti degli appalti pubblici: regole applicative e soluzioni

Ruffini Andrea 05/10/12
Scarica PDF Stampa

Attraverso le ultime novelle normative, il legislatore non ha lesinato interventi in materia di contratti pubblici nell’evidente convincimento che la promozione e lo sviluppo della competitività del sistema produttivo nazionale e del mercato interno passino inevitabilmente attraverso il rilancio delle opere pubbliche, indispensabili all’ammodernamento del Paese.

A partire dal Decreto Legge n. 70/2011 sino all’ormai nota a tutti Spending review 2, il trend che ha contraddistinto l’azione del Governo – nell’obiettivo di coniugare l’esigenza di rigore nei conti dello Stato e la crescita economica del Paese – è sempre stato proteso ad agevolare l’accesso delle piccole e medie imprese alle procedure di affidamento delle commesse pubbliche.

In questo senso, la presente analisi non può che prendere le mosse dall’art. 44, comma 7 del Decreto Monti (recante “disposizioni in materia di appalti pubblici”), il quale ha inserito nell’alveo dell’art. 2, il comma 1-bis, il nuovo principio regolatore della materia dei contratti pubblici: la suddivisione in lotti degli appalti.

Nello specifico, detto comma dispone che “nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l’accesso delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali”.

A ciò si aggiunga che il D.L. n. 95/2012 convertito con modificazioni nella L. n. 135/2012 – meglio nota come Spending review 2) ha ulteriormente modificato l’art. 2, comma 1 bis, del Codice degli Appalti, aggiungendo, in fine, il seguente periodo: “i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le piccole e medie imprese”.

La novella in parola imprime, dunque, una decisa e significativa virata nella direzione della suddivisione in lotti delle commesse pubbliche, imponendo in tal senso un preciso obbligo (“devono”) per le stazioni appaltanti, ove possibile ed economicamente conveniente, in vista dell’obiettivo di favorire il massimo accesso delle piccole e medie imprese alle commesse pubbliche.

In buona sostanza, spinto dall’esigenza di garantire la massima accessibilità alle procedure di gara, il legislatore ha voluto introdurre, quale principio generale dell’ordinamento, ciò che prima era considerata l’eccezione: la suddivisione in lotti delle commesse pubbliche.

Ora, siffatto intervento normativo s’innesta nella discussa tematica afferente la concreta possibilità per le stazioni appaltanti di frazionare in più lotti un’opera pubblica e si pone in antitesi con il principio generale – dettato da varie disposizioni normative, come vedremo non abrogate – che sin’ora ha regolato l’agire amministrativo: trattasi del principio dell’unitarietà e non frammentazione dell’appalto pubblico.

Assistiamo, dunque, nel nostro ordinamento a due contrastanti orientamenti normativi: uno proteso al favor per l’unitarietà delle commesse, l’altro rivolto a favorire la concorrenza tra operatori economici attraverso la suddivisione in lotti degli appalti.

Entrambi gli orientamenti si pongono a tutela di interessi giuridicamente rilevanti e impongono vincoli all’Amministrazione appaltatrice.

A questo punto, è lecito chiedersi come si coniugano tra loro tali due antitetici principi, anche al fine di comprendere gli effetti pragmatici che la novella legislativa avrà sulle modalità di azione della P.A..

Il tutto ovviamente, prendendo le mosse dalla normativa di riferimento e dai più significativi interventi giurisprudenziali in materia.

Il principio della non frammentazione dell’appalto.

Fino alla novella in esame, la suddivisione in lotti degli appalti pubblici è sempre stata guardata con sospetto dal legislatore.

La spinta verso l’unitarietà dell’affidamento ha origini antiche, basti pensare alla disciplina contabilistica ex R.D. n. 827/1934 – artt. 37 e 43 – secondo cui il frazionamento in lotti è ammesso solo “quando ciò sia riconosciuto più vantaggioso per la P.A.”.

Tornando ai nostri giorni, ricordiamo l’art. 29, comma 4, 6, 7 lett. a) e b) del Codice degli Appalti, secondo cui:

Nessun progetto d’opera nè alcun progetto di acquisto volto ad ottenere un certo quantitativo di forniture o di servizi può essere frazionato al fine di escluderlo dall’osservanza delle norme che troverebbero applicazione se il frazionamento non vi fosse stato.

Per i contratti relativi a lavori, opere, servizi:

a) quando un’opera prevista o un progetto di acquisto di servizi può dare luogo ad appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti distinti, è computato il valore complessivo stimato della totalità di tali lotti;

b) quando il valore cumulato dei lotti è pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 28, le norme dettate per i contratti di rilevanza comunitaria si applicano all’aggiudicazione di ciascun lotto.

La disposizione di cui sopra va letta in combinato disposto con l’art. 125 del Codice degli Appalti il quale ha previsto che nessuna prestazione di beni, servizi e lavori, ivi comprese le prestazioni di manutenzione può essere “artificiosamente frazionata allo scopo di sottoporla alla disciplina delle acquisizioni in economia”.

Non solo; in ordine alla programmazione dei lavori pubblici, il successivo art. 128, comma 7, del Codice dispone che: “un lavoro può essere inserito nell’elenco annuale, limitatamente ad uno o più lotti, purché con riferimento all’intero lavoro sia stata elaborata la progettazione almeno preliminare e siano state quantificate le complessive risorse finanziarie necessarie per la realizzazione dell’intero lavoro”.

L’intento del legislatore è senza dubbio quello di evitare che, attraverso il frazionamento dell’appalto, si possa artatamente ridurre l’importo della gara al fine di aggirare la normativa vigente in tema di soglia comunitaria ovvero consentire il ricorso alla trattativa privata in violazione dei principi di libera concorrenza e accesso alle commesse pubbliche.

Tale ratio è stata fatta propria anche dalla giurisprudenza amministrativa più recente; si ricorda, a titolo esemplificativo, la pronuncia del Consiglio di Stato (sez. VI, sentenza n. 1681 del 18 marzo 2011) secondo cui: “ferma la libertà di frazionare l’unitaria opera tranviaria in più lotti, al fini dell’indizione delle gare d’appalto, la stazione appaltante deve comunque in sede di bando considerare i lotti come parti di un’opera unitaria al fine di determinare la soglia comunitaria”.

Altra ragione concreta in favore dell’unitarietà dell’appalto va rintracciata, senz’altro, nella difficoltà per la Stazione Appaltante – in caso di frazionamento – di procedere alla gestione di più affidamenti, sia riguardo all’aspetto meramente conclusivo del contratto, sia riguardo l’esecuzione dello stesso, con tutte le problematiche derivanti dal coordinamento e gestione di più cantieri.

Ed invero, da un punto di vista prettamente tecnico – organizzativo, la presenza di più imprese nel cantiere può generare problemi di coordinamento e quindi un maggior impegno per la stazione appaltante.

L’esperienza professionale maturata sul campo induce a ritenere che la frammentazione della commessa possa essere gestita con successo da una pubblica amministrazione che si dimostri “forte”, che agisca con autorità e, soprattutto, competenza nei riguardi degli operatori economici; tale forza non sembra effettivamente contraddistinguere la pubblica amministrazione nostrana.

Ma, al di là di ogni valutazione soggettiva, rimane comunque il fatto che alla stregua della normativa richiamata, la regola di fondo è quella di procedere all’affidamento unitario dell’appalto, preferendo la suddivisione in lotti solamente nei casi in cui questa sia economicamente più conveniente per l’Amministrazione e, soprattutto, sia rispettato il requisito dell’autonomia funzionale del lotto.

In tal senso, si richiamano le indicazioni contenute nella determinazione n. 5 del 9.6.2005 con cui l’Autorità di vigilanza ha fornito la nozione di “lotto funzionale” inteso come quella parte di un lavoro generale la cui progettazione e realizzazione sia tale da assicurarne funzionalità, fruibilità, fattibilità indipendentemente dalla realizzazione delle altre parti, così richiedendo che ogni singolo lotto abbia una sua propria autonomia, cioè una sua specifica utilità, di modo che non vi sia “il rischio di inutile dispendio di denaro pubblico in caso di mancata realizzazione della restante parte d’intervento”.

Sulla scorta di ciò, la giurisprudenza si è espressa unanimemente nel ritenere obbligata la stazione appaltante di turno a fornire un’esaustiva motivazione delle ragioni che hanno indotto alla deroga del principio generale di unitarietà della commessa, favorendo il frazionamento dell’appalto.

Si ricorda in tal senso (ultima in ordine di tempo) la pronuncia del TAR Sardegna (Cagliari 15 giugno 2010, n. 1527) secondo cui è illegittimo, in quanto finalizzato ad eludere i principi generali sull’evidenza pubblica, il frazionamento dell’importo di un appalto pubblico, allorquando esista una sostanziale omogeneità tecnico-operativa delle prestazioni richieste alle imprese e, inoltre, non sia mai stata adottata alcuna motivazione a supporto della determinazione di scindere le prestazioni richieste e di procedere addirittura a separati affidamenti diretti per brevi periodi, onde contenere l’importo di riferimenti stessi”.

***

La spinta giurisprudenziale verso il frazionamento dell’appalto.

Il divieto alla suddivisione delle commesse pubbliche è stato, tuttavia, temperato nel tempo dalla giurisprudenza amministrativa, la quale ha più volte ribadito come, in linea di principio, la suddivisione in lotti di un’opera non sia in sé illegittima, afferendo all’esercizio della discrezionalità della stazione appaltante, nei limiti in cui la stessa non si risolva nella violazione dei principi della libera concorrenza.

Pronunciandosi sull’impugnazione di un bando di gara, il Consiglio di Stato (Sez. IV, 13 marzo 2008, n. 1101) così si è espresso: “In sede di gara d’appalto di lavori pubblici, la suddivisione in lotti di un’opera non è in sé illegittima, imponendo comunque l’applicazione del diritto comunitario se la somma degli importi dei singoli lotti supera la soglia comunitaria..”

In tema di c.d. “global service”, il TAR Lazio ha ritenuto che: “i bandi di gara sono lesivi dei principi generali in materia di appalti quando vi sia la concreta impossibilità per le imprese di formulare offerte consapevoli a cagione dell’eccessiva diversità, dell’assoluta eterogeneità delle prestazioni, dell’oggettiva indeterminatezza dell’oggetto del contratto, della carenza e dell’illogicità e conseguente inapplicabilità dei criteri selettivi previsti dal bando … (omissis)… L’assoluta impossibilità di assumere in un unico appalto diverse prestazioni di lavori, di servizi e di forniture rende necessaria una scissione della gara in lotti omogeneamente separati per settori e per tipologie di prodotti. Di qui l’illegittimità di un procedimento di gara basato su un capitolato “ab origine” illegittimo. (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 8 maggio 2009, n. 4924).

Ed ancora, è stato ritenuto legittimo il frazionamento in lotti disposto dalla stazione appaltante laddove la diversità delle opere evidenzi, di per sé, la giustificazione della parcellizzazione dell’appalto e risulti contrario all’interesse pubblico che un unico operatore economico possa svolgere insieme attività che presentino profili di oggettiva incompatibilità in ragione della destinazione funzionale delle opere da realizzare (nella specie, realizzazione di un impianto di potabilizzazione e del relativo impianto di telecontrollo, in T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 22 aprile 2009, n. 329).

I casi concreti sottoposti all’attenzione del Giudice Amministrativo hanno dimostrato come l’applicazione tout court del principio dell’unitarietà dell’appalto determinava un’eccessiva restrizione del mercato con rafforzamento di posizioni dominanti, soprattutto quando l’oggetto della commessa si presentava troppo ampio.

Lo scenario desunto da tali pronunce giurisprudenziali può essere cosi riassunto:

  • si incrina il convincimento secondo cui l’unitarietà è la regola e la frammentazione è l’eccezione;

  • si conferma la legittimità della suddivisione nei casi in cui il lotto abbia una propria autonomia e funzionalità;

  • vi è una maggiore tutela della concorrenza.

La novella legislativa. Conseguenze applicative.

Sulla scorta di ciò, il legislatore si è sentito in dovere di recepire la progressiva apertura giurisprudenziale verso la suddivisione in lotti, adeguandosi anche agli ordinamenti comunitari (francese e tedesco su tutti, dove il frazionamento dell’appalto è la regola).

Una prima sostanziale inversione di tendenza legislativa va rintracciata nel c.d. Statuto delle Imprese, art. 13 comma 2, lett. a) L. n. 180/2011 il quale dispone: “Nel rispetto della normativa dell’Unione europea in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l’accesso delle micro, piccole e medie imprese, la pubblica amministrazione e le autorità competenti, purché ciò non comporti nuovi o maggiori oneri finanziari, provvedono a: a) suddividere, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 29 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, gli appalti in lotti o lavorazioni ed evidenziare le possibilità di subappalto, garantendo la corresponsione diretta dei pagamenti da effettuare tramite bonifico bancario, riportando sullo stesso le motivazioni del pagamento, da parte della stazione appaltante nei vari stati di avanzamento”

Seguendo tale tracciato, con il D.L. n. 201/2011 ed il D.L. 6 luglio 2012, il legislatore si è ulteriormente mosso nella direzione di garantire la massima partecipazione alle gare pubbliche da parte delle imprese piccole / medie, inserendo all’art. 2 del Codice degli Appalti, il comma 1 bis il quale prevede che le stazioni appaltanti devono:

– suddividere gli appalti in lotti funzionali, ove tanto risulti possibile sul piano tecnico e conveniente sul piano economico;

– garantire l’accesso alla gare pubbliche alle piccole e medie imprese.

La novella in questione assume significativa rilevanza alla luce del fatto che il legislatore ha scelto di introdurre tale disposizione all’interno dell’art. 2 del Codice degli Appalti pubblici, il quale detta i “Principi” regolatori della contrattazione pubblica.

Pertanto, attraverso un colpo di spugna, la c.d. suddivisione degli appalti in lotti funzionali, originariamente vista con sospetto da parte del legislatore, si impone ora quale principio generale degli affidamenti pubblici, ponendosi in netta antitesi con la visione unitaria dell’appalto sin’ora preferita.

Riflessioni conclusive.

Accanto all’interesse della Stazione Appaltante ad eseguire l’appalto alle condizioni tecnicamente ed economicamente più vantaggiose, il legislatore ha voluto inserire anche una tutela rafforzata per le piccole e medie imprese, agevolando la loro partecipazione alla competizione pubblica, anche e soprattutto attraverso la suddivisione in lotti delle commesse.

Attenzione però a non cadere nell’errore di ritenere la frammentazione dell’appalto quale nuovo e indiscusso principio regolatore della materia.

Ed invero, si precisa che gli artt. 29, 125 e 128 del Codice degli Appalti – che militano in favore dell’unitarietà dell’appalto – non possono affatto considerarsi abrogati, neppure implicitamente.

Inoltre, a ben vedere, l’art. 2 comma 1 bis del Codice non sembra essersi spinto oltre il criterio dell’autonomia funzionale del lotto, prevedendo espressamente che le stazioni appaltanti devono suddividere la commessa in lotti “funzionali, ove possibile ed economicamente conveniente”; riguardo alla definizione di autonomia e funzionalità dei lotti, non può che tornare d’attualità la Delibera della AVCP n. 5/2005.

Senza dimenticare, poi, che l’art. 13, comma 2, del Codice richiama l’esigenza di non determinare a carico della P.A. “nuovi o maggiori oneri finanziari”.

Non vi è dubbio dunque che la spinta normativa verso la unitarietà delle commesse pubbliche ancora resiste – per certi versi, in maniera quasi inalterata – all’interno del nostro ordinamento.

Tali considerazioni, tuttavia, non devono indurre a credere che, nonostante la novella legislativa, nulla sia cambiato, concretamente, nella materia in esame.

Ed invero, la tutela delle piccole e medie imprese nella contrattazione pubblica è ora esplicitata nell’art. 2 Codice degli appalti e costituisce, pertanto, principio regolatore della materia imponendo alla Pubblica Amministrazione di uniformarsi alla nuova regolamentazione.

Nel concreto, dunque, ogni qual volta l’Amministrazione ritenga di non poter dare attuazione a tale principio, preferendo l’affidamento unitario, sarà sicuramente chiamata ad esprimere in maniera puntuale e chiara le ragioni che l’hanno spinta ad una scelta di tal genere.

Ciò ovviamente modifica radicalmente l’agire amministrativo.

Ed infatti, mentre prima – anche sulla scorta degli insegnamenti giurisprudenziali – la stazione appaltante era solita motivare espressamente le scelta della suddivisione dell’appalto, allo stato, si ritiene che l’obbligo di motivazione della determina a contrarre (di cui all’art. 11 del Codice) debba osservarsi anche quando si opti per la gara unica.

Ma al di là di tali accorgimenti procedurali, si ritiene, comunque, che anche a seguito dell’entrata in vigore della nuova formulazione dell’art. 2 del Codice, il principio cardine della materia rimanga sempre l’unitarietà della commessa pubblica.

Per l’Amministrazione, dunque, rimarrà preferibile continuare ad indire procedure pubbliche per l’affidamento unitario delle commesse – con puntuale motivazione circa l’economicità di tale procedura – preferendo la suddivisione dell’appalto in vari lotti solamente nei casi in cui tale scelta sia sostenibile e maggiormente vantaggiosa non solo a livello finanziario ma anche e soprattutto dal punto di vista realizzativo dell’impresa.

Ciò in quanto la scelta del contraente della P.A. – nonostante il favor mostrato dal legislatore verso la tutela della concorrenza – è ancora oggi dominata dai principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione che pongono come interesse primario l’economicità dell’azione amministrativa.

Roma, 26 settembre 2012.

Avv. Andrea Ruffini

Ruffini Andrea

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento