Una persona, in qualità di dipendente dell’Ente, avuta conoscenza dell’attività illecita e dannosa in svolgimento, deve, per preciso obbligo di servizio, impedirla, soprattutto ricorrendo alla denuncia, in sede amministrativa e anche giudiziaria, consider

Lazzini Sonia 20/04/06
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Comporta l’esclusione della possibilità dell’esercizio del potere riduttivo del danno il fatto di aver commesso l’atto con l’elemento psicologico del dolo.
 
A cura di *************
 
 
Massima a cura dell’associazione magistrati della Corte dei Conti
 
CORTE DEI CONTI – SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – Sentenza n. 266 del 31.8.2005 (conferma la sentenza n. 595 emessa dalla Sezione Puglia in data 8 luglio 2003) – Presidente ******* – Relatore DI PASSIO – Pubblico Ministero CONDEMI – Procura Generale c/ R. E. e S. A. (avv. ********).
 
1. Giudizio di responsabilità amministrativa – azione di responsabilità amministrativo-contabile – rapporto di servizio – personale dell’INPS – sussiste.
 
2. Dipendente di ente pubblico – obbligo di denuncia di fatti reato e di fatti costituenti pregiudizio erariale – sussiste.
 
3. Attività dolosa nella produzione del pregiudizio erariale – uso del potere riduttivo – non consentito
 
4. Procedimento penale conclusosi con la sentenza di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p. – valutabilità in sede di giurisdizione amministrativo contabile – autonomia di apprezzamento del giudice contabile – sussiste.
 
1. La giurisdizione della Corte dei conti, in materia di responsabilità amministrativa, che dà luogo al risarcimento del danno in tutti i suoi profili, si esercita sugli agenti delle pubbliche amministrazioni i quali, in inadempimento degli obblighi di servizio, arrecano danno alle amministrazioni pubbliche dalle quali dipendono o per le quali agiscono; conseguentemente questa disciplina si applica anche ai dipendenti degli enti pubblici funzionali, fra i quali si ricomprende l’INPS, così come stabilito dall’art. 8, comma 3, della legge n. 70/1975.
 
2. Un dipendente di un Ente pubblico funzionale (nella specie l’INPS), una volta avuta conoscenza di un’attività illecita e dannosa contro la propria amministrazione deve, per preciso obbligo di servizio, impedirla, soprattutto ricorrendo alla denuncia, in sede amministrativa e anche giudiziaria, considerato che incombe sugli agenti pubblici l’obbligo personale di denuncia dei reati alla competente procura della Repubblica e della Corte dei conti, per il danno patrimoniale alle pubbliche amministrazioni.
 
3. In presenza di attività dolosa nella produzione del pregiudizio erariale, in inadempimento di preciso obbligo di servizio, comporta l’esclusione della possibilità dell’esercizio del potere riduttivo del danno.
 
4. La sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. è, in genere, irrilevante, avendo rilevanza esclusivamente gli accertamenti circa la sussistenza del fatto e la sua attribuzione, quando il fatto-reato ed il fatto dannoso coincidono, ferma restando l’autonomia di apprezzamento del giudice contabile della documentazione probatoria formata in sede amministrativa ed in sede giudiziaria penale (1).
 
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(1) La massima relativa la parte riguardante la valutazione, in sede di responsabilità amministrativa, della sentenza di patteggiamento emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. non si discosta dall’orientamento prevalente della giurisprudenza contabile sul principio di autonomia dei giudizi (Corte dei conti, sezione Abruzzo, n. 663 del 6.9.2004) ed anche dall’orientamento seguito alla novella dell’art. 445 c.p.p. ad opera dell’art. 2 della legge 27 marzo 2001, n. 97 che, in presenza della condanna applicata nel giudizio penale dal GIP sull’accordo delle parti, impone al convenuto di provare – fornendo gli elementi necessari a sua discolpa – che non sussiste una sua responsabilità finanziaria, dal momento che dopo la sentenza di patteggiamento in sede penale sussiste tanto l’illiceità del fatto, quanto la colpevolezza dell’autore del reato da cui discendono i profili di pregiudizio erariale (Corte dei conti, I sezione, n. 334 del 20.9.2004).
 
Ebbene, tale orientamento, decisamente proiettato ad offrire una forte valenza probatoria degli effetti della sentenza di patteggiamento in sede contabile, trova ulteriore conforto ed illuminata persuasione nella recentissima sentenza della Cassazione, sezione V civile, n. 19251 del 30.9.2005, la quale ha affermato che «…la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. (cd. patteggiamento) costituisce un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione. Pertanto, detto riconoscimento, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dell’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità…».
 
La vicenda affrontata dalla Cassazione, con la predetta decisione, riguardava la tassazione di proventi illeciti percepiti da un funzionario pubblico attraverso diffusi episodi di corruzione provati e documentati in sede penale, i quali proprio perché accertati dalla sentenza ex art. 444 c.p.p., per i giudici tributari di I e di II grado (Commissione provinciale e Commissione tributaria regionale) non erano sufficienti per la sottoposizione di questi introiti alla cd. tassazione da attività illecita.
 
Nell’occasione, la Cassazione ha riordinato la questione (ripristinando così la legalità sostanziale, n.d.r.) annullando le pronunce dei giudici tributari di merito con il rigetto del ricorso del contribuente, ricordando che quando il giudice (a questo punto, civile, tributario, contabile e amministrativo) si discosta dalle risultanze delle sentenza di patteggiamento ha il «dovere» di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione.
 
Di certo, nel giudizio di responsabilità amministrativa si dovrà, comunque, dimostrare la sussistenza di un pregiudizio finanziario per l’amministrazione, ma resta sicuramente difficile per il convenuto, in presenza di fatti reato come la corruzione, la concussione, il peculato, etc… sui quali si è patteggiato dimostrare che non si è prodotto un danno pubblico e, in caso di proscioglimento del responsabile, sarà il giudice contabile a dover motivare con precisione e puntualità sia la ragione dell’assunzione di una responsabilità penale, sia la causa per cui il giudice penale avrebbe assentito a tale ammissione, oltre la circostanza che dovrà essere provata anche l’insussistenza di qualsivoglia pregiudizio economico. (*************, magistrato della Corte dei conti).
 
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SENTENZA
 
nei giudizi di appello, iscritti ai nn. 18967, 18968 del registro di segreteria, proposti dai sigg. A. S. e E. R., rappresentati e difesi dall’avv. **************;
 
avverso
 
la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia n. 595 del 6.2 – 3.7.2003, depositata in data 8.7.2003;
 
Visti gli atti di causa;
 
Uditi, nella pubblica udienza del 14 giugno 2005, il consigliere relatore, il difensore degli appellanti e il P.M. di udienza dott. *************;
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con l’appellata sentenza, i sig.ri ***** e S. A., in qualità di dipendenti dell’INPS, sono stati condannati al risarcimento, il sig. E. R. per € 1.121.065,76 e, in solido con il sig. A. S., per € 18.560,42., per il danno arrecato al suddetto Ente, a seguito di indebite erogazioni di indennità ad assicurati affetti da TBC.
 
Il sig. R., addetto ai servizio TBC presso la sede lNPS di Taranto, mediante l’inserimento nell’apposita procedura informatizzata, ha consentito di percepire le indennità per la suddetta malattia a 155 soggetti del tutto privi dei requisiti previsti dalla legge.
 
Alla produzione del danno erariale hanno il sig. S. ed altro soggetto, nei cui confronti il primo Giudice ha dichiarato l’improcedibilità della domanda per cessazione della materia del contendere.
 
Avverso la sentenza appellata, il sig. A. S. deduce quanto segue:
 
– tardiva riassunzione, in quanto, nei propri confronti, il processo penale era stato definito con sentenza n. 688 del 1998, emessa dal GIP presso il Tribunale, venuta a conoscenza della Procura regionale in data 11/2/1999; pertanto, dalla data della sua notifica, decorre il termine perentorio semestrale, previsto dall’art. 307 del c.p.c., per la riassunzione, potendo tenersi conto della definizione del giudizio penale anche nei confronti di **********, in quanto non sussisteva un litisconsorzio necessario;
 
– in subordine, il difetto di giurisdizione della Corte dei conti, in quanto i propri compiti di ufficio non riguardavano le situazioni in questione;
 
– la violazione del dovere di fedeltà poteva implicare solo un’eventuale attivazione del procedimento disciplinare e non essere posta a base del giudizio risarcitorio, soprattutto considerando il fatto che non aveva posto in essere alcuna attività materiale diretta a favorire le pratiche dei propri congiunti. In definitiva, ha agito non in qualità di impiegato dell’I.N.P.S. ma alla stregua di un comune cittadino;
 
– l’erroneità della sentenza, in quanto alla propria condotta non poteva essere attribuita alcuna efficienza causale nella produzione del danno. L’appellante sig. E. R. deduce quanto segue:
 
– in via principale, l’estinzione del processo per tardività della riassunzione, sulla base degli stessi motivi evidenziati dallo S.;
 
– contraddittorietà motivazione della sentenza impugnata, in quanto quest’ultima sarebbe stata fondata esclusivamente sulla valutazione,assolutamente libera, di risultanze processuali inutilizzabili, quali gli atti dell’indagine preliminare penale, e sulla sentenza penale di patteggiamento, che non ha efficacia di giudicato nei giudizi civili o amministrativi.
 
Il contenuto di tali atti avrebbe dovuto essere oggetto, nel processo contabile, di una verifica in contraddittorio delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, avvenuto innanzi al Gip, e fatte per sottrarsi al carcere. Inoltre, nel periodo in contestazione, era addetto al servizio Tbc dell’l.N.P.S. anche un altro dipendente e tutto il personale dell’ufficio aveva la possibilità materiale di inserire dati al fine della concessione dei benefici in questione;
 
– in via principale, chiede la dichiarazione di estinzione del processo o l’assoluzione dalla domanda attrice;
 
– In via subordinata, chiede l’applicazione del potere riduttivo.
 
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni depositate il 18.2.2004, ritiene tali considerazioni non fondate per i seguenti motivi:
 
– in merito alla presunta estinzione del processo di primo grado eccepita da entrambi gli appellanti, rileva che la sospensione del processo è stata disposta in attesa della definizione del processo penale nei confronti di tutti e tre i presunti responsabili, indipendentemente dalla sussistenza di un litisconsorzio necessario. Pertanto, il primo giudice ha correttamente considerato il termine semestrale per la riassunzione, decorrente dal deposito della sentenza emessa dal Tribunale di Taranto nei confronti del De Giorgio;
 
– circa il presunto difetto di giurisdizione della Corte di primo grado, evidenzia che il comportamento contestato all’appellante non ha interrotto il rapporto di servizio con l’amministrazione danneggiata, poiché, come dipendente dell’INPS, l’attività illecita commessa in concorso con il R., è posta in essere in violazione dell’obbligo di fedeltà derivante dal rapporto di servizio, la cui violazione ben può essere fonte, in presenza degli ulteriori presupposti di legge, di una responsabilità amministrativa. L’appellante ha approfittato della posizione di impiegato per ottenere indebiti benefici per i parenti, inducendo il R. ad inserire i nominativi dei parenti, di cui era evidente la mancanza dei requisiti, nell’elenco dei beneficiari delle indennità in questione.
 
Per quanto riguarda, in particolare, il valore della sentenza penale, emessa ex art. 444 c.p.p., è da dire che la stessa, pur non avendo forza di giudicato, e perciò efficacia vincolante nel giudizio di responsabilità amministrativa, ex art. 445 c.p.p., tuttavia, per consolidato orientamento giurisprudenziale, è utilizzabile dal giudice contabile, secondo il suo prudente apprezzamento, come fonte di prova, al fine della formazione del suo convincimento.
 
Circa l’ammissione di responsabilità effettuata nel corso delle indagini penali, premesso che le motivazioni interne delle stesse non sono verificabili, è da dire che la stessa, come risulta dal verbale di interrogatorio del 7/6/1996, reso innanzi al G.I.P., è stata piena e particolareggiata e non è stata mai, successivamente, smentita, anzi ha trovato il suo logico sviluppo nella richiesta di patteggiamento.
 
L’affermazione di generiche possibilità di intervento nella procedura di inserimento dei dati dei beneficiari delle provvidenze in discorso, anche da parte di altri, è contraddetta da quanto affermato in sede penale (verbale di interrogatorio di cui sopra, pag. 3) dallo stesso appellante, secondo cui, per accedere al programma, era necessario la parola personale ed il numero del programma di accesso.
 
Infine, considerato il comportamento doloso e l’illecito arricchimento, non si ritiene applicabile alcuna riduzione.
 
In conclusione, chiede il rigetto degli appelli.
 
Nell’udienza di discussione, le parti hanno ribadito le argomentazioni e le richieste formulate nei rispettivi atti scritti; in particolare, il difensore degli appellanti ha fatto presente che gli interessati, nei cui confronti sono state revocate le concessioni dell’indennità, hanno proposto ricorso in sede giudiziaria e sono in attesa del giudizio; inoltre, nei confronti degli stessi, sono in atto i recuperi delle indennità concesse.
 
MOTIVAZIONE
Gli appelli vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., poiché sono stati proposti avverso la stessa sentenza.
 
Dagli atti, risulta che il primo Giudice, con ordinanza n. 13 del 19.2 – 4.6.1998, ha sospeso il giudizio “in attesa della definizione del procedimento penale pendente innanzi al tribunale di Taranto R.G. n. 1241/96”, concernente gli appellanti ed un terzo non appellante, nei cui confronti il primo Giudice, con la sentenza appellata, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere. Il giudizio ha dato luogo alla sent. n. 668 del 1998 del GIP presso il tribunale di Taranto, con applicazione della pena su richiesta delle parti, nei confronti degli appellanti, e con sent. n. 776 del 13.6.2002 dello stesso tribunale, pronunciata all’esito del giudizio abbreviato, nei confronti del non appellante.
 
Il giudizio penale, in relazione al quale è stata disposta, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., la sospensione nel quale i convenuti hanno optato per distinte soluzioni, si è concluso con la sentenza n. 776 depositata il 13.6.2002; l’istanza di riassunzione (richiesta di fissazione di nuova udienza) è stata depositata il 6.9.2002, nei termini di cui all’art. 297 c.p.c.
 
Di conseguenza, l’eccezione di estinzione del giudizio, per tardività della riassunzione, non merita accoglimento.
 
La giurisdizione della Corte dei conti, in materia di responsabilità amministrativa, che dà luogo al risarcimento del danno in tutti i suoi profili, si esercita sugli agenti delle pubbliche amministrazioni i quali, in inadempimento degli obblighi di servizio, arrecano danno alle amministrazioni pubbliche dalle quali dipendono (artt. 19 e 20 D.P.R. 10.1.1957 n. 3; art. 55 comma 1 D.L.vo 30.3.2001 n. 165; artt. 13 e 52 r.d. 12.7.1934 n. 1214; artt. 81-83 r.d. 18.11.1923 n. 2440) o per le quali agiscono (art. 1 comma 4 legge 14.1.1994 n. 20). Questa disciplina è stata estesa ai dipendenti degli enti pubblici funzionali, fra i quali si ricomprende l’INPS, dall’art. 8 comma 3 della legge n. 70/1975.
 
Nella specie, l’appellante A. S., pur essendo estraneo alla specifica attività direttamente connessa alla causazione del danno patrimoniale, ha concorso direttamente alla sua produzione, incentivando, per fini estranei al servizio, l’attività dannosa posta essere dal diretto responsabile della stessa.
 
Egli, in qualità di dipendente dell’Ente, avuta conoscenza dell’attività illecita e dannosa in svolgimento, avrebbe dovuto, per preciso obbligo di servizio, impedirla, soprattutto ricorrendo alla denuncia, in sede amministrativa e anche giudiziaria, considerato che incombe sugli agenti pubblici l’obbligo personale di denuncia dei reati alla competente procura della Repubblica e della Corte dei conti, per il danno patrimoniale alle pubbliche amministrazioni (art. 53 cit. r.d. n. 1214/1934; art. 83 r.d. n. 2440/1923 cit.).
 
Il rapporto di servizio intercorrente fra l’Ente danneggiato e l’appellante ed il concorso nella produzione del danno, in inadempimento di preciso obbligo di servizio, implicano la giurisdizione di questa Corte; le modalità di svolgimento del concorso nella produzione del danno, sopra delineata ed ampiamente sviluppata dal primo Giudice, denotano il dolo nel comportamento dello stesso, che esclude la possibilità dell’esercizio del potere riduttivo.
 
Pertanto, l’eccezione di difetto di giurisdizione ed il gravame di erroneità della sentenza per estraneità alla causazione del danno, non meritano accoglimento.
 
Circa l’utilizzazione nel processo dinanzi alla Corte dei conti degli atti acquisiti in altra sede giudiziaria, in particolare penale, per economia processuale, il primo Giudice ha dettagliatamente esplicitato; dinanzi alla Corte dei conti, non rilevano le qualificazioni penalistiche del fatto-reato, avendo rilievo esclusivamente quelle del fatto dannoso, rimesse a questa Corte, per cui ogni tipo di sentenza, in particolare quella emessa ex art. 444 c.p.p., è, in genere, irrilevante, avendo rilevanza esclusivamente gli accertamenti circa la sussistenza del fatto e la sua attribuzione, quando il fatto-reato ed il fatto dannoso coincidono, ferma restando l’autonomia di apprezzamento di questo Giudice.
 
Nella specie, oltre agli accertamenti autonomamente esperiti dal Procuratore regionale e dal primo Giudice, è stata acquisita la documentazione probatoria formata in sede amministrativa ed in sede giudiziaria penale, che ha formato oggetto di libero e autonomo valutazione del primo Giudice.
 
Le modalità di svolgimento dell’attività dannosa posta in essere dall’appellante E. R., dettagliamene evidenziate dal primo Giudice e alle quali si rinvia, denotano il comportamento doloso adottato dallo stesso, che non rendono possibile l’uso del potere riduttivo.
 
Pertanto, gli appelli non meritano accoglimento.
 
Le spese seguono la soccombenza.
 
P.Q.M.
 
la Corte dei conti – Sezione prima giurisdizionale centrale di appello, riuniti gli appelli di cui in epigrafe, rigetta gli stessi.
 
Omissis

Lazzini Sonia

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