Tra “Government” e “Governance”: “Il governo locale” di L. Vandelli. Recensione.

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1. Un’introduzione all’amministrazione ed alla politica locale italiana: Comune, Provincia ed altri Enti locali.
Traffico, trasporti, strade, piazze, scuole, centri per gli anziani, rifiuti e verde pubblico: su tutto questo, e su molto altro ancora, si concentra l’attività di Comuni, Province ed altri enti locali. Essi forniscono ai Cittadini (ed, a particolari condizioni, agli stranieri presenti in Italia) gran parte dei servizi e delle attività amministrative che riguardano la loro vita quotidiana; curano la difesa e gli interventi sul territorio, le attività produttive, i servizi sociali; gestiscono ingenti risorse e impegnano un gran numero di amministratori e dipendenti. Il contributo del Prof. L. Vandelli[1], “Il governo locale. Il luogo più vicino dove far sentire la nostra voce” (Bologna, 2005, II edizione, pp. 121, € 8,00 [I edizione: 2000]), si propone di descrivere sinteticamente (fa parte, infatti, della Collana “Farsi un’idea”: “E’ una collana che aiuta il lettore a orientarsi nella selva di stimoli, notizie e sollecitazioni cui è quotidianamente sottoposto. Per leggere il giornale, ascoltare la radio, guardare la TV in maniera meno passiva, per interpretare i fatti in modo più consapevole”) il funzionamento degli Enti Locali italiani, anche alla luce delle più recenti modifiche costituzionali del 2001: chi li governa, di che cosa si occupano, i rapporti con lo Stato, le Regioni, i Cittadini.
Il lavoro è strutturato in sette capitoli ed una breve Nota bibliografica (“Per saperne di più”: pp. 119-121). Il primo capitolo (“I soggetti dell’amministrazione locale: gli enti”) descrive i principali soggetti dell’Amministrazione Locale italiana, cioè i Comuni[2], i vari Livelli Intercomunali (Consorzi, Unioni di Comuni, Comunità Montane, Convenzioni) e le Province[3]. Il secondo capitolo (“Chi governa l’amministrazione locale: gli organi”) considera dettagliatamente gli organi e le forme di governo degli Enti Locali (in particolare: Consigli, Sindaci e Presidenti di Province, Giunte ed Assessori, Dirigenti[4], City Managers e Segretari Comunali[5]).  Il terzo capitolo (“Che cosa fa l’amministrazione locale: le funzioni”) espone le principali funzioni e materie di competenza locale[6]: 1) territorio, ambiente e infrastrutture; 2) sviluppo economico ed attività produttive; 3) servizi alla persona ed alla comunità. Inoltre, l’Autore evidenzia altresì le più importanti attività poste in essere: “L’ente locale produce regole”; “… produce piani e programmi”; “… atti amministrativi”; “… servizi”[7]. Il quarto capitolo (“I cittadini e l’amministrazione locale”), premesso che “… gli enti locali rappresentano, per le comunità locali, il terminale delle istituzioni più vicino …” (p. 69), considera i diversi status che il cittadino può assumere o le più importanti tipologie di relazioni nei rapporti con questi ricordati enti (“Il cittadino-elettore”, “Il cittadino e la partecipazione”, “Il cittadino-cliente”, “Il cittadino e la burocrazia”, “Il cittadino e la semplificazione”, “Il cittadino e la tecnologia”, “Il cittadino e l’informazione”, “Il cittadino-contribuente”[8]). Il quinto capitolo (“L’amministrazione locale tra Stato e regioni”) considera i diversi modelli istituzionali di rapporto fra centro e periferia (sistemi più o meno accentrati: dall’esperienza americana a quella francese) e si sofferma, in particolare, sui rapporti fra Enti Locali/Stato ed Enti Locali/Regioni in Italia, anche alla luce del c.d. “principio di sussidiarietà” (art. 118 Costituzione). Il sesto capitolo (“Come cambia l’amministrazione locale: le riforme”) sviluppa un dettagliato percorso di storia amministrativo-istituzionale sulle “tappe del cambiamento” degli Enti Locali in Italia. Il settimo capitolo (“Governo locale e sistema dei partiti”) approccia il tema in esame con una prospettiva metodologica politologica, anche alla luce dei più recenti accadimenti politici intervenuti.
 
2. L’analisi di due capitoli ritenuti significativi: il cambiamento amministrativo e politico degli ultimi decenni.
La lettura del contributo porta, quasi in un crescendo espositivo-argomentativo, alla considerazione delle più recenti riforme amministrative e politiche, parte del lavoro che si ritiene la più significativa ed innovativa in quanto affianca il consueto metodo giuridico descrittivo all’ampia considerazione di criticità, comparazioni ed ipotesi di reale o auspicabile sviluppo.
 
2.1 Le riforme dell’amministrazione locale (capitolo sesto).
Particolare attenzione merita la sintetica disamina storico-istituzionale di quelle che l’Autore definisce le “tappe del cambiamento”: “Pur se la Costituzione del ’48 affermava solennemente il valore dell’autonomia locale, collocandola tra i principi fondamentali che la ispirano, a lungo gli enti locali si sono trovati ad operare nell’ambito di norme (testi unici del 1915 e del 1934) risalenti a periodi in cui dominavano ben diverse sensibilità. Ed è stato necessario attendere l’inizio degli anni ’90 per l’approvazione della prima legge di riforma organica dell’ordinamento delle autonomie. Con questa legge,peraltro, si è aperto un periodo di intensa innovazione del sistema; sì che, da quel periodo, possiamo individuare già diverse fasi di significativa trasformazione: 1) nel ’90, la legge 142 sull’ordinamento delle autonomie locali delinea il nuovo impianto complessivo, aprendo il percorso delle riforme; 2) nel ’93, nel momento di massima crisi del sistema dei partiti, la legge 81 sull’elezione diretta del sindaco imprime una svolta netta al sistema di governo locale; 3) nel biennio ‘97-98, le riforme ‘Bassanini’ (dal nome del ministro della Funzione pubblica del governo Prodi) proseguono avviando un imponente processo di decentramento di funzioni dallo Stato a regioni e agli enti locali, e alleggerendo i controlli le ingerenze sugli enti locali; 4) nel ’99, si riordina complessivamente (con la legge 265) la legge 142, con innovazioni importanti, in particolare, per quanto concerne l’autonomia statutaria e regolamentare, le forme di cooperazione, le città metropolitane; 5) nel 2000, a sintesi di questo percorso di riforme, il testo unico approvato con il decreto 267 riunisce e coordina in un organico corpo normativo le disposizioni che variamente e spesso disordinatamente si riferiscono agli enti locali; 6) nel 2001, la riforma del titolo V tende a riformulare complessivamente la disciplina della Costituzione in materia di autonomie, in una prospettiva di trasformazione in senso ‘federalista’ del sistema italiano motivato da esigenze di modernizzazione del paese, di adeguamento alle tendenze del quadro europeo, di avvicinamento delle decisioni ai cittadini, di responsabilizzazione dei governanti”  (pp. 86-87). Le ricordate tappe del cambiamento sono poi analiticamente considerate con evidenziazione dei criteri istituzionali fondativi e di eventuali criticità. Per quanto attiene al punto 1) (legge 142 del 1990), l’Autore distintamente evidenzia: “Autonomia statutaria”, “Organi di governo”, “Dirigenza amministrativa”, “Ruolo dei comuni e delle province”, “Piccoli comuni e forme di cooperazione”, “Aree metropolitane”, “Rapporto tra istituzioni locali e cittadini”, “Servizi locali” e “Controlli”. Con attenzione al punto 2) (la Legge n. 81 del 1993) il Prof. Vandelli collega le vicende storiche italiane[9] al cambiamento elettorale ed istituzionale, partito “dal basso”[10], cioè dal livello locale. Con riferimento al punto 3) (“federalismo amministrativo” e riforme degli anni ’97-98) l’Autore sottolinea come si sia trattato di un “processo di completamento della riforma delle autonomie”, rivelatosi necessario in ragione di particolari esigenze, “… tra le quali, particolarmente, quelle concernenti il rafforzamento dei poteri e del ruolo degli enti locali, da un lato, e la eliminazione o la robusta riduzione di vincoli, limiti, controlli, dall’altro” (p. 93)[11], e che è intervenuto su diversi piani: “funzioni”, “raccordi centro-periferia”, “valorizzazione dell’autonomia decisionale ed organizzativa”, “completamento dell’ordinamento delle autonomie” e “finanze”[12]. Sui punti 4) e 5) (le modifiche del ’99 ed il Testo Unico sulle Autonomie Locali del 2000) il Prof. Vandelli rappresenta l’importanza, non solo sistemica, delle Leggi nn. 120 e 265 del 1999, sino a giungere al Decreto n. 267 del 2000, vera e propria “sintesi” normativa della materia in esame[13]. Particolare rilievo espositivo assume l’analisi, infine, del punto 6) (la riforma costituzionale del 2001) dove, dopo aver ricordato le innovazioni di settore della precedente Legge Costituzionale del ’99, l’Autore considera analiticamente il contenuto innovativo della riforma del 2001 (Legge Costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3)[14] ed i momenti della successiva “difficile attuazione”[15], con uno sguardo anche alla – fallita (ma il contributo è stato redatto prima di conoscere l’esito della consultazione referendaria del recente giugno 2006) – proposta di c.d. “Devolution”[16].  
 
2.2 Le riforme nella politica locale (capitolo settimo).
I mutamenti istituzionali appena descritti hanno comportato anche delle profonde modificazioni politiche, in particolare dei “sistemi politici locali”.
Secondo l’Autore, il momento discriminante è da rinvenirsi nel 1993, con l’introduzione dell’elezione diretta del Sindaco ed il progressivo venir meno dei tratti essenziali del sistema politico precedente, caratterizzato dalla c.d. “partitocrazia”, ovvero una “totale compenetrazione tra istituzioni e partiti”: “una compenetrazione cui le riforme, alla ricerca di una nuova trasparenza e responsabilità, hanno opposto una prospettiva di distinzione di ruoli: tra istituzioni e partiti, appunto, ma anche tra maggioranze di governo e opposizioni, tra esecutivi ed assemblee, tra organi politici e dirigenti” (p. 111). Il Prof. Vandelli pone altresì in rilievo come, fra i più importanti elementi che hanno contrassegnato lo sviluppo del ricordato sistema politico locale, sia da annoverarsi il fenomeno della c.d. “personalizzazione”: cioè, il “passaggio dalla diffusa assenza di leadership esterna ai partiti e dalla fungibilità dei sindaci (chi ricorda, in tante città italiane, il nome dei primi cittadini che si sono succeduti negli anni ’70 o ’80?) alla personalizzazione. Diffusamente, il sindaco ha conquistato un ruolo di reale punto di riferimento delle identità civiche e del senso di appartenenza dei cittadini; presentandosi, nel quadro istituzionale italiano, come figura dotata di un particolarissimo grado di legittimazione e di rappresentatività … accanto … si è affermata la concezione di una coessenziale esigenza di periodico ricambio … del resto, l’incidenza della personalità prescelta dall’una o dall’altra coalizione si accentua in un quadro di appannamento delle valenze ideologiche del voto (particolarmente locale) e di forte mobilità degli elettori … in un contesto di grande deideologicizzazione e mobilità dell’elettorato” (pp. 111-113). L’Autore prosegue, quindi, affrontando nello specifico i temi del “bipolarismo” e della “frammentazione della rappresentanza politica locale”[17], sino a giungere a considerare il rapporto tra “elezione diretta del sindaco e professionismo politico”[18]. Il discorso poi si sofferma sull’analisi del passaggio da un modello di “democrazia [locale] mediata” ad un modello di “democrazia [locale] immediata”[19]. Conclude il capitolo la considerazione, ampiamente motivata e circostanziata, che i Sindaci (ed i Presidenti di Province) costituiscono ormai una “classe politica nazionale”: ovvero, in opposizione al passato – recente – in cui l’incarico sindacale (ed assimilati) costituiva una tappa del “cursus honorum” verso la politica centrale, ora si configura anche quale punto d’ “arrivo” o di “transito”: “… In realtà, credo piuttosto che i mutamenti dell’ultimo decennio abbiano inserito l’incarico di sindaco [e di Presidente della Provincia] in un circuito che connette i diversi livelli, senza soluzione di continuità: consentendo transiti in diversa direzione e con diversi significati e permettendo di svolgere la funzione di primo cittadino di una grande città [o Provincia] senza rinunciare a svolgere un ruolo rilevante nel paese. In un certo modo, potrebbe dirsi che ormai la classe politica locale, in Italia, non è (soltanto) la classe politica nazionale del domani; ma piuttosto – e semplicemente – che è classe politica nazionale, come componente integrante di un sistema nel quale porta utilissime esperienze amministrative, conoscenze dei problemi del territorio, capacità di gestire efficacemente le relazioni con i cittadini e le collettività locali” (pp. 117-118)[20].
 
3. Dal “Government” alla “Governance”: auspicio o realtà?
La prima impressione che la lettura del contributo recensito suscita è quella che si tratti di una materia, quella del “governo locale”, in profondo divenire, perlomeno con attenzione agli avvenimenti ed alle modifiche normative intervenute negli ultimi quindici anni, e non solo in Italia. Una situazione storicamente statica, con un approccio nello sviluppo delle politiche pubbliche tendenzialmente “top-down”, vede progressivamente affiancarsi una nuova modalità di formazione, implementazione e controllo delle ricordate politiche pubbliche locali sempre più “bottom-up” e con l’evidenziazione di sistemi amministrativi (ma anche politici) a rete (“networks”): usando due noti termini-concetto, dal significato plurimo (ma, proprio per questo, dalla valenza espressiva piena e problematica), è possibile riassumere la situazione affermando che il sistema degli Enti Locali italiani si stia gradualmente spostando – come nel resto dei Paesi OCSE – dal “Government” alla “Governance”. Che l’Amministrazione Pubblica, anche Locale, sia – come autorevoli e noti giuristi hanno sottolineato –“in cammino”, non vi è ombra di dubbio, pure dalla lettura del presente lavoro: anzi, a volte sembra quasi “correre”, alla luce delle nuove sfide globali (o, più correttamente da un punto di vista contenutistico, e con neologismo ormai in uso, “glocali”: “globali e locali”) dei tempi contemporanei.
Il lavoro del Prof. Vandelli, a carattere prevalentemente giuridico-amministrativistico (che contiene altresì utili riferimenti critici di storia amministrativo-istituzionale e di politologia), si pone quale interessante e sintetico strumento introduttivo al tema del “governo locale” in Italia, fruibile sia da comuni cittadini (senza particolare preparazione giuridica) che da studenti universitari, ed aperto al costruttivo confronto – in ragione dei molteplici contenuti problematici esposti – di lettori più esperti in argomento.  
 
 
 
Marco Rondanini
                 
Le opinioni espresse nel presente scritto sono da ricondursi unicamente all’autore dello stesso, restando impregiudicate le posizioni delle Istituzioni formative e/o lavorative di riferimento (Università Cattolica ed Agenzia delle Entrate). Eventuali errori grammaticali o sintattici, non evidenziati in sede di rilettura, sono anch’essi da attribuirsi all’autore. Il presente scritto è stato sottoposto, preventivamente, al sommario esame del Tutor universitario dottorale Prof. M. Scazzoso, che si ringrazia per le osservazioni critiche formulate in argomento.
  
 


[1] “Insegna diritto amministrativo nell’Università di Bologna. Ha ricoperto cariche istituzionali in amministrazioni locali e regionali in Emilia-Romagna. Tra le sue pubblicazioni con il Mulino “Sindaci e miti” (1997), “Devolution e altre storie” (2002), “Il sistema delle autonomie locali” (Luciano VANDELLI: dalla retrocopertina).
[2] “… Che cos’è un comune? … è un ente ‘autonomo’ … è un ente ‘territoriale’ … è un ente ‘esponenziale’ …’l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo’ … rappresenta la prima linea delle istituzioni pubbliche, è il terminale più vicino ai cittadini … Il cittadino ne fa il punto di riferimento del complesso dei propri problemi, esigenze, aspettative, drammi … è l’istituzione più conosciuta (e più amata) dagli italiani” (pp. 7-9).
[3] “… Non a caso il legislatore – nell’affermare che la provincia ‘ente locale intermedio fra comune e regione, cura gli interessi e promuove lo sviluppo della comunità provinciale’ – fa riferimento a concetti analoghi a quelli usati per il comune … Così, molto vicina al comune quanto a natura giuridica, la provincia se ne differenzia tuttavia profondamente nelle dimensioni (ogni provincia italiana comprende, in media, quasi un’ottantina di comuni) e, soprattutto, nel ruolo: qui non rileva più il contatto quotidiano con i cittadini, ma piuttosto una funzione di coordinamento, di pianificazione, di gestione di quei servizi e compiti che necessariamente richiedono un servizio su area vasta” (pp. 29-30). Risultano di particolare interesse espositivo, inoltre, la storia ed il dibattito sull’istituto, sino a giungere agli anni più recenti, proposti nelle pp. 30-34, cui si rinvia. In sintesi, si apprezza una progressiva valorizzazione del ruolo provinciale, a dispetto di risalenti (vedi il periodo dell’Assemblea Costituente e degli anni ’70, in coincidenza con la c.d. “prima regionalizzazione”) e recenti ipotesi di soppressione (il dibattito è tuttora in corso, ad esempio, sui più importanti quotidiani politico-economici, con specifica attenzione ai c.d. “costi della politica”: si cfr., ad esempio, l’indagine sui costi della politica – e degli enti locali quali la Provincia in specie – pubblicata sul Sole 24 Ore a partire dalla scorsa estate).
[4] “Del resto, la distribuzione dei compiti, nell’ambito del comune, è oggi fortemente condizionata dalla tendenza, che si è affermata negli ultimi quindici anni, alla valorizzazione della dirigenza, mediante una distinzione di ruoli tra questa e gli organi politici …In definitiva, tutti i provvedimenti puntuali, che riguardano il singolo cittadino, tendono in questi termini ad essere sottratti agli organi politici: i quali, ormai, sono chiamati non a decidere se concedere un certo beneficio o se imporre un certo sacrificio a Tizio, a Caio o a Sempronio, ma piuttosto a indicare gli indirizzi, i presupposti, i parametri in base ai quali i dirigenti dovranno valutare le situazioni concrete e, dunque, stabilire se adottare quel determinato provvedimento nei confronti di Tizio, di Caio o di Sempronio” (pp. 53-54).
[5] “In sostanza, dunque, l’organizzazione di vertice degli enti locali può articolarsi secondo tre distinti modelli: a) un modello ‘bicefalo’, con coesistenza del direttore generale, per le funzioni gestionali, e del segretario, per le funzioni giuridico-amministrative: modello, questo, applicato spesso nei grandi comuni; b) un modello ‘monocratico’, con concentrazione, per espressa volontà del sindaco, di entrambe le funzioni in capo al solo segretario: caso assai frequente nei piccoli comuni (che, per poter nominare un direttore, dovrebbero associarsi, in modo da superare il limite dei 15.000 abitanti), ma talora presente anche in enti di rilevanti dimensioni; c) un modello ‘policentrico’, con rafforzamento del ruolo dei dirigenti di massimo livello, in assenza di un direttore e di un conferimento delle relative funzioni al segretario (il quale comunque eserciterà, in questa ipotesi, compiti di sovrintendenza e di coordinamento)” (pp. 55-56).
[6] “… discipline di ciascun settore, ormai in larghissima misura rientranti nella competenza legislativa – concorrente o esclusiva – delle regioni …” (p. 59).
[7] “Tradizionalmente, alla gestione dei servizi assunti direttamente l’ente locale provvedeva mediante ‘aziende speciali’ (municipalizzate), dotate di una propria autonomia imprenditoriale, ma nell’ambito di poteri d’indirizzo, di nomina, di controllo degli organi fondamentali del comune. Ora, in seguito ad una serie di complessi (e contraddittori) interventi legislativi … la gestione dei servizi pubblici locali si effettua secondo alcuni moduli, tra i quali si colloca l’affidamento diretto a società a capitale interamente pubblico (c.d. ‘in house’) … Le altre forme di gestione sono diverse a seconda che si tratti di servizi a rilevanza economica o di servizi privi di tale rilevanza. Per i primi (quali gas, energia, rifiuti ecc.), il servizio può essere conferito a società di capitali privata, scelta tramite gara, oppure a società a capitale misto pubblico-privato nelle quali il socio privato sia scelto tramite gara. Per i servizi privi di rilevanza economica, il servizio è gestito mediante affidamento diretto a istituzioni … ed aziende speciali … In certa misura, dunque, gli enti locali si ritraggono dalla gestione, nel perseguimento di obiettivi di efficienza, di tutela della concorrenza e creazione di un mercato aperto, di coinvolgimento dei capitali privati; ma sono chiamati ad esercitare un fondamentale ruolo di indirizzo, programmazione e vigilanza” (pp. 67-68).
[8] “Ognuno di noi partecipa alle entrate comunali. E lo fa in due modi: indirettamente, come contribuente dello Stato, che poi trasferisce ogni anno una quota alle casse dei comuni; e direttamente. Tradizionalmente, erano le entrate del primo tipo – i trasferimenti dello Stato – a costituire la parte decisamente preponderante; progressivamente, tuttavia, i rapporti si sono invertiti, e ormai le entrate proprie sono largamente dominanti, rappresentando oltre i 2/3 del bilancio comunale (ma in alcune regioni, queste entrate superano il 90%). I modi e le occasioni in cui si versano tributi al comune sono vari. Ma l’entrata più importante riguarda i proprietari di case, uffici, garage o altri immobili, tenuti a pagare l’imposta comunale sugli immobili (Ici), per un importo calcolato sul valore catastale del fabbricato, secondo un’aliquota stabilita dal comune (in concreto: per una media annuale di circa 170 euro per abitante). Chi svolge forme di pubblicità, poi, versa al comune una specifica imposta, e tasse sono previste per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap) e per lo smaltimento di rifiuti (tra 100 e 230 euro per abitante). Alle province, d’altronde, è destinato il gettito dell’imposta sulle assicurazioni delle auto. La crescita dell’autonomia fiscale di comuni, province e regioni (c.d. ‘federalismo fiscale’) tende a stringere più direttamente il rapporto tra cittadini e governo locale, aumentando il grado di responsabilizzazione di quest’ultimo nei confronti dei primi. In questo senso, vanno e previsioni dell’art. 119 della Costituzione (come riformato nel 2001), secondo cui le entrate degli enti locali – che devono consentire di finanziare integralmente le funzioni ad essi attribuite – sono costituite da: a) tributi propri; b) compartecipazioni a tributi erariali; c) fondo perequativo statale a favore dei territori a minore capacità fiscale. L’art. 119, tuttavia, non è ancora attuato; anche se la Corte costituzionale ha affermato che in ogni caso esso, quanto meno, impedisce a governo e parlamento di assumere misure che impongano vincoli e restrizioni all’autonomia in senso contrastante con quanto indicato dalla Costituzione” (pp. 77-78).
[9] “… ma fu necessario attendere l’esplosione di tangentopoli e la crisi di importanti partiti di governo, perché l’insofferenza nei confronti della malamministrazione, degli oscuri circuiti del potere romano, dell’invadenza partitica, delle lottizzazioni, degli eccessi della proporzionale creasse le condizioni per la ricerca di un sistema più chiaro, più moderno, più europeo: un sistema che consentisse ai cittadini di distinguere le responsabilità, di scegliere tra poli ben distinti, di decidere che dovesse governare e chi stare all’opposizione” (p. 92).
[10] “”E in questa direzione arrivò il cambiamento: partendo, appunto, dal livello locale, ancora una volta assunto come punta avanzata del cambiamento istituzionale. Arrivò con la legge 81 del ’93 che, nell’introdurre in Italia l’elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia, tracciava un disegno ambizioso, basato su alcuni elementi fondamentali, quali: la riforma del sistema di elezione dei consigli, tendendo a garantire una solida maggioranza alle forze politiche che appoggiano il sindaco; lo stretto collegamento tra la durata in carica del sindaco e quella del consiglio; e le dimissioni del sindaco, così come la sfiducia approvata dal consiglio comportano la cessazione, e dunque elezioni anticipate per entrambi gli organi; la distinzione netta tra esecutivo e assemblea (quanto meno nelle province e nei comuni maggiori), sottraendo al sindaco il tradizionale compito di presiedere il consiglio (che ora elegge autonomamente il proprio presidente) e stabilendo la incompatibilità tra la carica di consigliere e quella di assessore; il rafforzamento dei poteri del sindaco, attribuendogli la responsabilità della nomina (ed eventualmente della revoca) degli assessori, dei dirigenti e, in via di massima, dei rappresentanti del comune presso enti, aziende e istituzioni” (pp. 92-93).
[11] “Le disposizioni sulla delega per il conferimento di funzioni (legge 59 del ’97, ‘Bassanini uno’), e sullo snellimento (legge 127 dello stesso anno, c.d. ‘Bassanini bis’), modificate ed integrate in seguito (legge 191 del ’98 e 50 del 1999, c.d. ‘Bassanini ter’ e ‘quater’), i decreti legislativi che ne sono derivati (a partire dal decreto 112 del ’98 sui conferimenti) intervengono in maniera incisiva …” (p. 94).
[12] “… sul piano finanziario, si sono definite linee di significativo rafforzamento dell’autonomia tributaria, di regioni, comuni e (in misura più limitata) province, passando da una dipendenza prevalente dei trasferimenti statali ad un sistema di finanza locale basata essenzialmente su tributi propri, mentre ai trasferimenti rimarrebbe una funzione essenzialmente perequativa” (p. 97).
[13] “… il decreto 267 del 2000 si è posto come elemento chiave, nella evoluzione dell’ordinamento locale in Italia: l’elemento destinato a riunire in un quadro finalmente sistematico, a chiusura del decennio delle riforme locali, le disposizioni in materia di: ordinamento ‘in senso proprio’ e la struttura istituzionale degli enti locali; sistema elettorale, ivi comprese l’ineleggibilità e l’incompatibilità; stato giuridico degli amministratori; sistema finanziario e contabile; controlli; norme fondamentali sull’organizzazione degli uffici e del personale, ivi compresi i segretari comunali” (p. 99). 
[14] “In sintesi, la riforma del titolo V della Costituzione: a) riconosce a tutti i livelli territoriali il carattere di componenti costitutivi della Repubblica, affermando che essa ‘è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane e dallo Stato’; b) identifica il carattere di ‘enti autonomi’ come elemento che contrassegna la posizione istituzionale di comuni, province, città metropolitane e regioni (ma evidentemente non dello Stato) (art. 114, co. 2); c) sottolinea la priorità del comune e, quindi, degli altri enti locali nel disegno delle funzioni amministrative: funzioni che sono riconosciute, in primo luogo, ai comuni, salvo che – in base a principi di ‘sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza’ – non vengano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato (art. 118); d) afferma il ruolo legislativo della regione, esteso a tutte le materie non riservate allo Stato (art. 117, co. 4); mantenendo allo Stato stesso la funzione di legislatore unificante (art. 117, co. 2 e 3), di garante della perequazione, della coesione e della solidarietà sociale (art. 119, co. 3 e 5), di responsabile ultimo della unità giuridica ed economica, del rispetto dei trattati internazionali e delle norme comunitarie, dell’incolumità e della sicurezza pubblica (art. 120, co.2), di custode del rispetto della Costituzione e delle leggi nei confronti di eventuali gravi violazioni da parte delle regioni(art. 126); e)introduce una novità importante per quanto concerne l’individuazione degli enti autonomi territoriali, aggiungendo a comuni, province e regioni la categoria delle ‘città metropolitane’, soggetti che, previsti sino dalla (inattuata, sul punto) legge 142 del 1990, vengono ora sanciti nella Costituzione stessa; f) riconosce espressamente l’autonomia (anche) statutaria di comuni, province, città metropolitane (art. 114); g) afferma un principio di sussidiarietà ‘orizzontale’, nei confronti dei cittadini e delle organizzazioni sociali, assegnando a tutte le istituzioni pubbliche, dallo Stato ai comuni, il compito di favorire ‘l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale’ (art. 118); h) esige il coinvolgimento delle autonomie locali nelle decisioni regionali, demandando agli statuti regionali il compito di istituire un organo rappresentativo di comuni e province, il ‘consiglio delle autonomie locali’, quale centro della consultazione tra regione ed autonomie (art. 123); f) opera un superamento dei controlli, in una prospettiva di forte potenziamento dell’autonomia, abrogando le precedenti disposizioni che imponevano controlli di carattere formale sui singoli atti delle regioni e degli enti locali; f) riconosce a comuni, province, città metropolitane e regioni autonomia di entrata e di spesa. Tra l’altro, essi stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri, nel quadro del coordinamento della finanza pubblica, e dispongono di compartecipazione al gettito di tributi erariali. Per i territori svantaggiati è istituito … un fondo perequativo (art. 119); k) prevede la partecipazione delle regioni e delle autonomie locali ai procedimenti legislativi statali, attraverso la presenza di rappresentanti … alla Commissione parlamentare per le questioni regionali (commissione composta paritariamente da deputati e senatori); aggiungendo che nel caso in cui la Commissione, integrata in questo senso, esprima parere contrario o parere favorevole condizionato alla introduzione di modifiche specificamente formulate, e il parlamento non intenda adeguarsi, il progetto deve essere approvato, per le parti corrispondenti, a maggioranza assoluta” (pp. 100-102).
[15] “L’attuazione della riforma costituzionale del 2001 si è rivelata, nell’esperienza, complessa e contrastata. E, in assenza della integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con i rappresentanti delle regioni e delle autonomia locali, questa attuazione si è trovata stretta, da un lato, da comportamenti tendenti ad un significativo accentramento sia nelle politiche relative alle funzioni (tra le quali, ad esempio, risulta significativa la sospensione del trasferimento delle competenze relative al catasto), sia soprattutto nelle politiche finanziarie,, contraddistinte – in attesa dell’attuazione del ‘federalismo fiscale’ – da vincoli e riduzione di risorse. E in questo (intricato) contesto, una legge ‘per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica’ alla riforma costituzionale del 2001 (legge 131 del 2003) ha delegato il governo, da un lato, ad adottare una complessiva revisione del testo unico e, in generale, della legislazione vigente in materia di autonomie locali, al fine di adeguarne i contenuti alle novità introdotte dalla riforma costituzionale; dall’altro, a fissare, in particolare, le ‘funzioni fondamentali’ di comuni, province e città metropolitane” (pp. 102-103).
[16] “… In questo testo, si prevede la ‘devoluzione’ alle regioni di competenze esclusive in materia di istruzione, sanità, polizia regionale e locale; ma la ‘devoluzione’ è inserita in un contesto assai più ampio, che investe ben 43 articoli della Costituzione …” (p. 104): l’Autore, nelle pp. 104-106 (cui doverosamente si rinvia), propone una dettagliata ma sintetica ricostruzione della proposta devolutiva della allora maggioranza di centro-destra, al momento della redazione del contributo non ancora “rifiutata” dalla sede referendaria (giugno 2006).
[17] “L’elezione diretta del sindaco, d’altronde, ha portato e consolidato un assetto bipolare nella competizione politica locale, inducendo le forze politiche, in generale, a raggrupparsi attorno all’uno o all’altro candidato. La bipolarizzazione, peraltro, non ha comportato alcuna semplificazione nella panoramica politica locale. Il sistema di elezione dei consigli, del resto, ha assicurato la presenza di consistenti maggioranze, ma ha anche prodotto marcate frantumazioni delle rappresentanze politiche. Il numero delle liste presentate alle elezioni locali, in questo periodo, si è configurato vistosamente come il più elevato nel contesto dei grandi paesi europei …I consigli comunali che ne sono derivati presentano una parallela tendenza alla frammentazione …” (pp. 113-114).
[18] “… l’elezione diretta del sindaco si è ricollegata fortemente ad esigenze di ricambio della classe politica locale, e di valorizzazione delle competenze e delle esperienze reperibili nella ‘società civile’ … Poi, progressivamente, i ‘professionisti della politica’ hanno ripreso le posizioni per qualche tempo cedute ai ‘dilettanti’ … In questo processo, la presenza di ‘tecnici’ nelle giunte si è via via ridimensionata, sino a divenire generalmente minoritaria, in un nuovo riemergere di logiche squisitamente politiche. Così, le giunte, passate nel ’93 da un ruolo tradizionale di organi politici a quello di organi di collaborazione del sindaco, tendono progressivamente a recuperare il primo, alla ricerca di faticosi equilibri con il secondo” (pp. 115-116).
[19] “D’altronde, il passaggio da un modello di democrazia ‘mediata’ ad una democrazia ‘immediata’, in cui la scelta della coalizione e della persona stessa chiamate a governare è affidata direttamente agli elettori, ridimensiona inevitabilmente il ruolo dei partiti, concentrandolo anzitutto sulla selezione dei candidati. Un ridimensionamento di ruolo di questo tipo ha potuto realizzarsi in una fase in cui i partiti si presentavano duramente provati da una crisi senza precedenti. Ma nel momento del ‘ritorno della politica’, del recupero del ruolo dei partiti, la ricerca di nuovi equilibri e di nuovi modi di convivenza diviene essenziale. E, nei suoi vari aspetti, è precisamente il rapporto con il sistema dei partiti a costituire il nodo di fondo del nuovo disegno di governo locale”  (p. 116).
[20] La lettura del presente settimo capitolo ha suscitato nel recensore un parallelismo contenutistico ed espositivo con un altro recente contributo – di taglio più politologico/istituzionale e dal respiro manualistico – in argomento (D. Della Porta, “La politica locale”, Bologna 2006, II ed.), che risulta strutturarsi – quasi specularmente – in maniera opposta, con la maggior parte degli approfondimenti e delle riflessioni riservati alla politica locale e con diffusi cenni – anche in un apposito capitolo, l’ottavo (“Le istituzioni del governo locale”, pp. 189-218), ai profili giuridico-istituzionali (si segnala che, ad una più attenta lettura, un Autore menziona spesso l’altro, con una reciproca e proficua volontà integrativa): l’auspicio, quindi, si palesa quello di una lettura sincronica dei due ricordati lavori, per una migliore e più ampia comprensione del complesso fenomeno denominato “governo locale”.
 

Rondanini Marco

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