Tempus commissi delicti nei reati a distanza

Redazione 16/04/19
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Con la sentenza Sez. U, n. 40986 del 19 luglio 2018, Pittalà, Rv. 273934, le Sezioni Unite hanno fornito la soluzione al quesito, del tutto peculiare, relativo al criterio di riferimento del tempus commissi delicti nei reati “a distanza” o di evento: “se, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta ovvero quella vigente al momento dell’evento“.

Il quesito giuridico

La questione riguarda l’applicabilità del principio di successione di leggi nei reati d’evento, in cui si registra un significativo iato temporale tra la realizzazione della condotta tipica e la verificazione dell’evento lesivo, nell’ipotesi in cui intervenga una disciplina sfavorevole, segnatamente una nuova incriminazione o l’inasprimento del trattamento sanzionatorio di un fatto già previsto come reato.

Secondo un primo orientamento ritiene applicabile la legge penale sfavorevole in vigore al momento dell’evento, fissando in corrispondenza di quest’ultimo il tempus commissi delicti; secondo un diverso orientamento, l’interpretazione dell’art. 2 c.p. in conformità al principio di irretroattività sfavorevole impone di fissare il tempus commissi delicti al momento della condotta, ancorché precedente a quello della consumazione.

Sul punto:” Successioni di leggi penali nel tempo: principio di irretroattività”

La pronuncia a Sezioni Unite

Le Sezioni Unite con la pronuncia in oggetto accolgono il secondo orientamento, pervenendo dunque all’affermazione del seguente principio:”in tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta“. In forza di tale principio, la Cassazione annulla la sentenza di condanna che, in un caso di incidente stradale da cui era derivata la morte di un pedone a distanza di alcuni mesi dall’investimento, aveva applicato all’automobilista, in luogo dell’omicidio colposo aggravato dalla violazione della disciplina del codice della strada (disciplina vigente al momento del sinistro), la più severa norma incriminatrice dell’omicidio stradale (art. 589-bis), entrata in vigore medio tempore, prima della verificazione dell’evento lesivo.

La Corte si concentra su due argomenti che militano conclusivamente a sostegno dell’adozione del “criterio della condotta” ai fini della determinazione del tempus commissi delicti nei reati ad evento c.d. differito.

Primo tra tutti, è la disciplina relativa alla garanzia del principio di irretroattività sfavorevole, in base al quale il Supremo Concesso stabilisce, secondo il consolidato insegnamento della Corte Costituzionale e della Corte di Strasburgo, che:” un’istanza di preventiva valutabilità da parte dell’individuo delle conseguenze penali della propria condotta, istanza, a sua volta, funzionale a preservare la libera autodeterminazione della persona». È infatti necessariamente la condotta «il punto di riferimento temporale essenziale a garantire la “calcolabilità” delle conseguenze penali e, con essa, l’autodeterminazione della persona“. Sul punto, si osserva che prevedere far discendere l’operatività del principio di irretroattività al momento dell’evento comporterebbe l’applicazione retroattiva del jus superveniens sfavorevole intervenuto dopo l’esaurimento della condotta, “con l’inevitabile svuotamento dell’effettività della garanzia di autodeterminazione della persona e della ratio di tutela del principio costituzionale di irretroattività“.

La predilezione nel principio del tempus commissi delicti del criterio della condotta può essere inoltre ancorato alle funzioni della pena, segnatamente quella general-preventiva  e quella rieducativa.

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Il criterio dell’azione nel reato permanente e abituale

La sentenza coglie l’occasione per individuare la disciplina applicabile ai reati con evento differito, tra cui si ricorda il reato abituale e quello abituale.

Con riferimento, anzitutto, al reato permanente, la Corte ribadisce che occorre avere riguardo alla “cessazione della permanenza” sulla base di quanto stabilito dall’art. 156 c.p.. Ciò in quanto “il protrarsi della condotta sotto la vigenza della nuova, più sfavorevole, legge penale, assicura la calcolabilità delle conseguenze della condotta stessa“; continua, la Corte, “sotto la vigenza della legge più severa si siano realizzati tutti gli elementi del fatto-reato (e quindi, per il sequestro di persona, ad esempio, un’apprezzabile durata della limitazione della libertà personale della vittima)“.

Quanto al reato abituale, in linea di principio occorre avere riguardo alla “realizzazione dell’ultima condotta tipica integrante il fatto di reato“. Tuttavia – prosegue la Corte facendo in particolare riferimento al discusso problema dell’applicazione del reato di atti persecutori ai fatti parzialmente commessi prima della sua entrata in vigore, in caso di nuova incriminazione l’applicabilità del jus superveniens sfavorevole “presuppone la realizzazione, dopo l’introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, di tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 612-bis cod. pen. (e non solo, ad esempio, dell’ultima condotta persecutoria)“.

Nelle ipotesi descritte, ove sotto la vigenza della norma sfavorevole sia stata realizzata una porzione compiuta di condotta di reato, l’intero “fatto” non può che ricadere nell’ambito di applicazione della nuova norma, in armonia con la ratio della prevedibilità (o “calcolabilità”) da parte dell’agente delle conseguenze penali (più gravi) derivanti dalla prosecuzione della condotta permanente, o di reiterazione della condotta abituale.

 

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